All’inizio del XXI secolo, un’antichissima comunità religiosa di etnia curda, gli yazidi, ha subito una spietata decimazione da parte dell’Isis.

L’amnesia generalizzata, dopo una breve risonanza mediatica e istituzionale (insufficiente a concludere l’iter processuale necessario per la punizione dei colpevoli) si è rivelata, ancora una volta, l’arma più efficace per l’impunità dei carnefici. Il ruolo decisivo assunto dall’ideologia religiosa (nei proclami dell’Isis è la fedeltà rigorosa all’ortodossia l’unico movente della generalizzata punizione degli eretici) dovrebbe legittimare a pieno titolo la supremazia del sedicente califfato statale su qualsiasi ordinamento sacro o profano. Tale asserzione sottintende l’insofferenza per l’alterità considerata come attentato, offesa imperdonabile all’identità monolitica del gruppo dominante che, per affermarsi, deve dipendere dalla distruzione mai definitiva di un avversario disprezzato e criminalizzato. L’epurazione degli infedeli (nel caso degli yazidi storicamente marchiati come «adoratori del diavolo») viene esaltata come obbedienza al volere divino.

«La differenza fra questo genocidio e i massacri del passato» afferma Morgan Palmas «è la sistematicità e la rapidità con la quale è stato portato avanti […] un attacco così feroce, e rivendicato apertamente; uno sterminio di tali proporzioni, può essere concepibile solo in un contesto ideologico e bellico come quello attuale. […] Lo sterminio degli yazidi sarebbe inconcepibile  senza un’ideologia ben precisa, che è figlia tanto di una versione modernizzante e atipica dell’Islam, quanto dell’esperienza del totalitarismo» (1). L’interpretazione sclerotizzata ed estrema della dottrina musulmana, ad uso e consumo della compagine terroristica, diventa un nucleo essenziale nello scenario fortemente militarizzato dei conflitti mediorientali: la sacralizzazione della violenza sistematica costituisce il fulcro identitario e attrattivo per raccogliere combattenti e mercenari, non solo interni ai numerosi e laceranti conflitti dell’area, ma anche esterni, suggestionati dalla possibilità di riscattare la frustrazione derivata dalla crisi sistemica di tutto il mondo. La persecuzione degli yazidi, comunità esigua, priva di appoggi significativi degli  attori internazionali, si presta a occultare le necessità di rapina e di lucro insite nel progetto egemonico dello Stato islamico: l’espulsione violenta dai territori di insediamento (al confine con la Siria, la zona montuosa dello Sinjar o Shingal, scenario del genocidio nell’agosto 2014 e nell’originaria regione di Sheikhan o Shaykhan, nel nord ovest del Kurdistan iracheno), il rapimento di migliaia di donne e ragazze vendute e utilizzate come schiave, bambini yazidi strappati dalle   loro famiglie e addestratati ai dettami della sha’ria sono obiettivi ben presenti nella strategia di conquista propagandata come missione punitiva.

Il nome e la religione

Il termine yezidi o yazidi è molto vicino alla parola persiana/zoroastriana Yazdan che significa Dio, e yazata che significa divino o essere angelico (yazidi può essere associato al nome del califfo musulmano Ommayyadi Yazid bin Muawiyah convertitosi allo yezidismo). Il culto dell’Angelo Pavone (Melek Tā’ūs), di probabile derivazione indiana, causa prima di tanti fraintendimenti e accuse di idolatria e politeismo, sarebbe implicito nel nome allusivo alla relazione tra i membri della comunità e le creature soprannaturali, intermediatore della divinità.

In realtà lo yazidismo – che risente dell’influenza delle tre grandi religioni monoteistiche – rielabora in modo originale le dottrine più disparate confluite nella varietà di popoli e fedi presenti nel Kurdistan iracheno. Gli storici fanno risalire l’origine del piccolo popolo minoritario alla predicazione di Sheikh Adi, un mistico sufi vissuto tra l’XI e il XII secolo che avrebbe dato sistemazione e forma alle antichissime fedi zoroastriane e di derivazione gnostica.

Gli yazidi sono monoteisti. Rientra a pieno titolo nella visione monoteistica della divinità la concezione del male. Non esiste una contrapposizione fra un Dio buono e uno cattivo, che pure è l’asse portante del dualismo iranico: l’Angelo caduto e perdonato (Melek Tā’ūs) non si contrappone al Dio creatore buono, ma anzi ne è addirittura il delegato semidivino, che opera per il bene degli uomini.

Credono in un unico Dio onnipotente che non si rivela direttamente agli uomini. Fin dall’inizio dei tempi il mondo che conosciamo e l’uomo – consegnati in custodia a sette entità sacre, emanazioni divine, gli Angeli (o anche i Sette Misteri) – sarebbero stati prodotti su impulso divino dal primo e più importante delle entità angeliche di natura divina: l’Angelo Pavone, Melek Tā’ūs. In virtù di questo privilegio, Dio gli avrebbe ordinato di non inchinarsi mai a nessuno.

Al primo uomo, Adamo, Dio concesse il soffio vitale, come il Dio della Bibbia. Da questo atto di favore divino verso la nuova creatura scaturì l’evento traumatico della disobbedienza di Melek Tā’ūs. Dio volle sfidare il suo potente emissario attraverso un ordine impartito a tutta la schiera angelica di inchinarsi al cospetto dell’uomo, l’ultima creatura. Melek Tā’ūs si rifiutò per l’amore esclusivo, l’adorazione assoluta, nei confronti dell’Essere supremo. Con un pianto ininterrotto di settemila anni, testimoniato da sette anfore piene delle sue lacrime, Melek Tā’ūs venne perdonato e incaricato di provvedere al destino dell’uomo e del mondo (2).   La storia presenta numerose somiglianze con la tradizione islamica di Iblis: analogo il rifiuto di inchinarsi di fronte al primo uomo ma, a differenza di Melek Tā’ūs, la maledizione è eterna. Caduto dal cielo, subì la condanna a impersonare lo Spirito stesso del Male: nelle religioni abramitiche Satana (in arabo e in curdo Shaytan). Rappresenta l’iniquità perversa da espellere, incompatibile con la natura divina del bene. Per gli yazidi, Melek Tā’ūs non avrebbe alcun legame con il male del mondo, che invece avrebbe origine autonoma nel cuore e nella mente degli uomini. La condanna inappellabile di Lucifero sarebbe dogmatica stabilita  nel Corano, Sura II vv. 34 e 39:

«(34) E quando dicemmo agli Angeli: “Prosternatevi ad Adamo”, tutti si prosternarono, eccetto Iblis, che rifiutò per orgoglio e fu tra i miscredenti. (39) E i miscredenti che smentiscono i Nostri segni, sono i compagni del Fuoco, in cui rimarranno  per sempre» (3).

Da questa divergenza teologica, il culto dell’Angelo Pavone identificato con il diavolo ed ereticamente inserito dai pagani yazidi in un contesto di venerazione e santità, scaturisce l’accusa infamante di idolatria, accusa fondata sulla lettura di passi coranici secondo i quali la caduta dell’Angelo ribelle (il male), espulso dalla corte celeste, è inesorabile e definitiva. Per questa grave blasfemia gli yazidi devono essere sterminati.

L’imperativo di sterminare secondo la propaganda del Califfato

Nella rivista Dabiq, organo di propaganda dell’Isis, nel quarto numero, pubblicato l’11 ottobre 2014, diffuso online fra il 2014 e 20164  il riferimento alla Sura della spada5 (IX, 5) costituisce ordine ineludibile all’eccidio. Il breve resoconto si presenta come una netta sentenza inappellabile sullo scandalo della persistenza  di pagani nei territori islamici:

«Conquistando la regione del Sinjar nella provincia di Ninive, lo Stato Islamico si trovava di fronte a una popolazione di yazidi, una minoranza pagana esistente da secoli nelle regioni di Iraq e della grande Siria (Sham). La loro ininterrotta esistenza fino ad oggi è una questione di cui i musulmani dovranno rispondere quando sarà loro chiesto nel Giorno del Giudizio considerando che Dio aveva rivelato il versetto della spada (ayat al-sayf) oltre 1.400 anni fa» (6).

La Sura della spada impone l’uccisione degli idolatri dopo averli inseguiti e debitamente costretti (non risulta tuttavia che debbano essere maltrattati o torturati), l’alternativa alla condanna a morte (non rispettata dai miliziani dell’Isis) è l’umiliante obbligo di conversione e di pagamento di un tributo, alternativa concessa dal fedele a imitazione della misericordia divina: «Quando poi saranno trascorsi i mesi sacri, uccidete gli idolatri ovunque li troviate, prendeteli, circondateli, appostateli ovunque in imboscate. Se poi si convertono e compiono la Preghiera e pagano la Decima, lasciateli andare, poiché Dio è indulgente e clemente» (7).

Il genocidio e le sue conseguenze


In un articolo dell’agosto 2016 (8), veniva denunciato l’arresto dell’iter procedurale necessario a completare in sede giudiziaria il riconoscimento del genocidio. L’assenza di una procedura internazionale contro l’Isis con l’imputazione di genocidio contrastava clamorosamente con i numerosi interventi delle istituzioni parlamentari e degli organismi internazionali. Fin dal marzo 2015 il Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (UNHRC) aveva consegnato un rapporto nel quale la gravità delle azioni commesse in Iraq dal sedicente Stato islamico nei confronti degli yazidi non lasciavano dubbi sulla configurazione giuridica di crimini di guerra contro l’umanità. Veniva richiesto al Consiglio di sicurezza di investire la Corte penale internazionale del procedimento contro i responsabili del Daesh.

Nel febbraio 2016 l’Unione europea riconosceva il crimine di genocidio perpetrato dall’Isis nei confronti degli yazidi (9) nell’agosto 2014. Nel 2017  l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) e l’organizzazione umanitaria yazida Hawar Help (con sede in Germania) avevano chiesto alle istituzioni tedesche ed europee di aiutare tutti i sopravvissuti all’eccidio (10) al fine di conseguire l’obiettivo principale per gli yazidi: identificare i responsabili del genocidio e portarli davanti alla Corte penale internazionale dell’Aja. L’impegno profuso per la raccolta delle prove da parte dei legali dell’associazione Yazda è stato considerato solo il primo passo di un percorso caratterizzato da numerose incognite. L’attivismo instancabile di Nadia Murad (11), sostenuta dall’avvocato Amal Alamuddin, ha determinato un rilevante esito presso la comunità internazionale.

Le Nazioni Unite, in seguito al contributo determinante del governo britannico, il 25 settembre 2017 con la risoluzione n. 2379 approvata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza, hanno risposto adeguatamente alla richiesta di assistenza avanzata dal governo iracheno in gravi difficoltà nel perseguire le atrocità dell’Isis ai danni della popolazione civile. L’inchiesta internazionale sui crimini del cosiddetto Stato islamico prevede «la nascita di un vero e proprio gruppo investigativo targato Onu,  guidato  da  un  consigliere speciale per la raccolta prove sui reati di Isis in Iraq. Queste prove saranno utilizzate nei processi contro i combattenti jihadisti di tutto il mondo. La risoluzione è un raro esempio di unità per il Consiglio e fornisce una risposta globale a Isis che si estende oltre il campo di battaglia: punire i terroristi nei tribunali» (12). Amal Alamuddin, che ha considerato  la risoluzione una tappa fondamentale per avviare l’iter giurisdizionale, ha segnalato significative limitazioni all’attività investigativa: del gruppo dovranno far parte giudici professionisti iracheni; l’utilizzo delle prove fuori delle corti nazionali – che manterranno la giurisdizione per i reati commessi nel territorio dello Stato – dovrà essere deciso di volta in volta in accordo con il governo.

La sezione del Regno Unito di Amnesty International e l’osservatorio per i diritti umani (Human Rights Watch) hanno rilevato la mancanza nel documento di qualunque riferimento idoneo ad accertare le responsabilità delle forze militari irachene nel corso dei conflitti o delle aggressioni.

Sempre nel settembre 2017 si è svolto nel Krg (Kurdistan Regional Government) un controverso referendum consultivo per l’indipendenza del Kurdistan iracheno fortemente voluto dal Kdp (Kurdistan Democratic Party) di Barzani, con un’affluenza del 72%, nel quale i sì hanno ottenuto oltre il 92%. Il governo centrale di Baghdad, deciso a mantenere l’unità dell’Iraq, ha prontamente reagito con l’avvio di un’operazione militare nei territori contesi, tornati in parte sotto il controllo iracheno per mano dell’esercito regolare e delle milizie sciite Hashd al-Sha’abi. L’intervento ha determinato la sospensione dei risultati e, a novembre 2017, l’iniziativa referendaria di Barzani è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte suprema irachena. Gli artt. 1 e 109 della Costituzione irachena sanciscono che lo Stato federale è pienamente sovrano, ma deve garantire l’unità nazionale, e non consentono nessuna separazione (13). Il referendum – avvertito come un pretesto per confermare la presidenza di Barzani più che per garantire l’autonomia dei curdi – si è rivelato in realtà uno strumento inadeguato agli intenti di un’emancipazione collaborativa nell’ambito del federalismo iracheno. L’autonomia (o l’indipendenza del Kurdistan) – formalmente riconosciuta fin dal 1991 – risulta compromessa sia per la difficile situazione di contrasti interni sia per l’isolamento da parte del governo federale iracheno e delle altre potenze regionali interessate. Dopo essere stati strumentalizzati per arginare l’avanzata dell’Isis nelle zone di Mosul e Raqqa, i curdi iracheni confinanti con la Siria sono stati duramente attaccati dalla Turchia e dall’Iraq.

Il riconoscimento ufficiale degli yazidi nella Costituzione irachena del 2005, il genocidio dell’agosto 2014, il referendum del settembre 2017 insieme alla risoluzione n. 2379, le inconcludenti elezioni del maggio 2018, seguite da disordini (14), non hanno attenuato l’intensa e lacerante conflittualità delle regioni yazide del Kurdistan iracheno, a pieno titolo inserito nelle rivalità regionali e ostaggio di influenze esterne. L’islam militante, culminato nel fanatismo dell’Isis, ha costretto la comunità a rinchiudersi nella propria peculiarità religiosa, distinguendosi dai curdi, ai quali sono accomunati dalla lingua e dall’etnia. Le terribili conseguenze dell’ultimo dei 74 genocidi e, in particolare, la riduzione in schiavitù delle donne yazide, hanno quasi realizzato la soluzione finale della minoranza. Un esito evitato sia per la strenua difesa di fronte alla comunità internazionale dei diritti violati sia per una trasformazione strutturale verificatasi all’interno della comunità minacciata (15).

La discontinuità con la tradizione religiosa gelosamente, conservata come  fattore distintivo e identitario nei secoli di persecuzione, è l’evento che desidero accentuare perché mi pare racchiuda impulsi di speranza per un futuro altrimenti negato. Accogliere le persone marchiate per il loro genere dall’infamia dello stupro significa arginare il contagio del crimine e dare spazio ad una convivenza umana aliena dall’umanissimo sentimento di ritorsione per le offese ricevute. Il divieto endogamico di relazioni e nascite al di fuori della comunità – considerato tradizionalmente un incrollabile imperativo della fede yazida – viene superato.  Nel settembre 2014, l’intervento di Baba Sheik, la maggiore autorità religiosa yazida – in sostegno dell’associazionismo – ha promosso l’iniziativa per restituire la dignità violata alle superstiti dei soprusi jihadisti.

ARIANNE GHERSI – Esperta in Scienze Internazionali Diplomatiche, consulente parlamentare

Note

1 M. Palmas intervista S. Zoppellaro sul genocidio degli yazidi, dal blog «L’Isis e il genocidio di cui nessuno parla: gli yazidi», articolo del 14.11.2017, dal sito http://www.sulromanzo.it/blog/l- isis-e-il-genocidio-di-cui-nessuno-parla-gli-yazidi.

2 S. Zoppellaro , Il genocidio degli yazidi. L’Isis e la persecuzione degli «adoratori del diavolo», Guerrini e Associati, Milano, 2017, p. 55.

3 Corano, II, 34 nella traduzione di Alessandro Bausani, traduttore Corano Editore Radici, bur, 2006, citato in nota 1 da S. Zoppellaro, Op. cit, p.54. cfr. anche http://www.islamicbulletin. org/italian/ebooks/quran/il_corano_it.pdf.

4 http://www.giuntitvp.it/blog/geoblog/l-ombra-dell-isis-yazidi-gli-adoratori-del-diavo- lo/ D. Bianchi, «L’ombra dell’isis. Yazidi, gli “adoratori del diavolo”», 22 gennaio 2015. https://www.giuntitvp.it/blog/geoblog/l-ombra-dell-isis-yazidi-gli-adoratori-del-diavolo/.

5 S. Zoppellaro, Op. cit. p. 87.

6 Ibidem, p. 88.

7 A. Bausani, Il Corano, Bur, 2006, p. 132; cfr. S. Zoppellaro, Op. cit., p. 88.

8  A. Sofri, «La guerra contro l’Isis passa anche dalla definizione del genocidio yazida», Il Foglio, 8 agosto 2016, dal sito https://www.ilfoglio.it/esteri/2016/08/08/news/la-guerra-contro-li- sis-passa-anche-dalla-definizione-del-genocidio-yazida-102580/.

9 Cfr. Risoluzione del Parlamento europeo del 4 febbraio 2016 sullo sterminio sistematico delle minoranze religiose da parte del cosiddetto “ISIS/Daesh” (2016/2529(RSP)) dal sito http:// www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2016-0051+0+- DOC+XML+V0//IT.

10 https://www.pressenza.com/it/2017/08/cerano-volta-gli-yazidi-del-sinjar/pressenza International press agency, «C’erano una volta gli Yazidi del Sinjar», Unimondo, articolo di A. Grazia, 31.08.2017.

11 Sopravvissuta all’Isis, la giovane Nadia è diventata ambasciatore Onu nella lotta al traffico di esseri umani. Nadia è una delle migliaia di yazide che sono state rapite e rese schiave del sesso dai militanti Isis. Sua madre e i fratelli sono stati ammazzati, mentre i suoi nipoti sono stati rapiti per divenire bambini soldato.

12 Cfr. M. G. Labellarte, «Isis: Onu lancia inchiesta internazionale sui crimini dei terroristi», dal sito https://ofcs.report/internazionale/isis-onu-lancia-inchiesta-internazionale-sui-crimini-dei-terroristi/

13 Il referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno voto che non vuole nessuno, a parte i curdi e Israele. Cfr. sito https://www.ilpost.it/2017/09/19/referendum-indipendenza-kurdi- stan-iracheno/

14 L. S. Battaglia, «Le proteste di piazza che stanno sconvolgendo l’Iraq a due mesi dal voto», 17 luglio 2018 https://www.tpi.it/2018/07/17/iraq-proteste-voto/; cfr. «Cronache dall’Iraq: il giorno delle elezioni parlamentari», in Il Caffe Geopolitico, 12.05.2018, https://www.oltre- frontieranews.it/iraq-elezioni-parlamentari-12-maggio-2018/

15 S. Bianchi, «Il destino delle minoranze irachene nel dopo-Isis: il caso delle donne yazide», 4 luglio 2017, dal sito https://lospiegone.com/2017/07/04/il-destino-delle-minoranze-irache- ne-nel-post-isis-il-caso-delle-donne- yazidi/

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