La Polonia è una nazione storicamente abituata agli eccessi. Un eccesso antico e costante, storico e doloroso nel quale è possibile ravvisare anche le motivazioni che hanno portato Varsavia  a trasformarsi da baluardo dell’europeismo a spada  di Damocle per Bruxelles. È stata, nell’ordine: lo Stato più tollerante d’Europa, nel 1573 venne assicurata la libertà di culto mentre il resto del continente si preparava alla guerra dei Trent’anni; il regno più vasto d’Europa con il nome Confederazione polacco-lituana nel 1694; il Paese più anarchico d’Europa,  governato  dalla cosiddetta «libertà dorata» dominata dal principio del liberum veto che permetteva a ogni membro della Dieta di bloccare qualsiasi provvedimento, per anni la Polonia si trovò nell’immobilità, incastrata in una Repubblica nobiliare che annullava ogni potere del re mentre ovunque salivano al trono monarchi assoluti. Poi la Polonia si trasformò in un regno inesistente quando, con tre accordi differenti, venne spartita tra Impero austro-ungarico, Impero russo e Prussia, nel 1772, poi nel 1793 e ancora due anni dopo, nel 1795.

Furono gli eccessi a disintegrare la Polonia, l’eccessiva democrazia che si tramutò in anarchia, Polska nierzadem stoi (1). La Polonia si regge sul non governo, aveva scritto il poeta Waclaw Potocki già nel Seicento. Per quasi centocinquant’anni la Polonia scompare, rimane l’idea. La nazione svestita di se stessa, senza territorio, diventa un sogno per i suoi abitanti che continuano a definirsi «polacchi». È in questo momento storico che, sebbene la nazione non esistesse più, nasce il nazionalismo polacco, che diventa una forma naturale e legittima di sopravvivenza. Da idea romantica, assume tinte più dure e controverse che già iniziano ad assomigliare al concetto di nazionalismo così come lo conosciamo oggi.

La Polonia torna a esistere nel 1918, alla fine della Prima guerra mondiale (2). Avrà vita breve e alcuni storici parlano di una quarta spartizione nel 1939 quando la nazione, di nuovo, si ritrovò invasa a occidente dalla Germania nazista e a oriente dalla Russia sovietica. Anche durante il Secondo conflitto diventa terra di eccessi, è la nazione europea con più vittime civili, su 5.623.000 morti, 5.500.000 non sono militari.

È la nazione che conosce la barbarie dell’Olocausto, la nazione che assiste allo sterminio della sua classe dirigente, la nazione che provò in ogni modo a ribellarsi agli invasori. A Varsavia ci fu la più grande rivolta armata contro i tedeschi nel 1944, durò due mesi: i polacchi pensavano che l’Unione Sovietica sarebbe arrivata in loro soccorso, ma i russi si fermarono a 20 chilometri dalla capitale, attesero che i nazisti sedassero la rivolta, distruggessero Varsavia e uccidessero più di 200.000 persone (prima della guerra gli abitanti di Varsavia erano 1.200.000, dopo la guerra ne rimasero 300.000). Poi entrarono e cacciarono i tedeschi. La Polonia post bellica, ceduta durante la conferenza di Yalta a Stalin, sopporta quarantacinque anni di comunismo, poi, ancora una volta, conosce un evento che in nessun altro Paese si era visto prima: Solidarność. L’opposizione al governo della Repubblica popolare di Polonia arriva da un sindacato nato nel 1980, di matrice cattolica, guidato da Lech Walesa che diventerà poi il primo presidente, con lo slogan «Nie chce, ale musze», «Non voglio, ma devo». In Polonia la resistenza è un qualcosa di inscindibile dalla religione; a questa idea di lotta, convintamente cattolica, contribuisce l’elezione di Karol Wojtyla a pontefice nel 1978. In Polonia la fede è sempre stata il vero baluardo contro il comunismo. La Polonia costruì in- torno a se stessa il mito della nazione come Antemurale christianitatis – appellativo che rubò a dire il vero alla Croazia, così definita da Leone X nel 1514 per aver resistito all’Impero ottomano – laddove cristianità era un modo per dire Europa. La Polonia, nei secoli, decide di assumere lei questo ruolo e di comportarsi come tale nel 1621, quando respinge l’esercito del sultano Osman II a Choczim, e ancora nel 1683, quando Jan Sobieski sconfigge i turchi ormai alle porte di Vienna. Ma anche contro i comunisti i polacchi fanno della fede cattolica non solo un concetto identitario da opporre all’ideologia al potere, ma anche una forma di resistenza attiva. Nel quartiere industriale di Cracovia, Nowa Huta, fondato negli anni Cinquanta, gli operai, ai quali veniva vietato di professare la loro religione, costruivano chiese incessantemente. I funzionari del partito ordinavano che venissero distrutte e loro le ricostruivano. Ancora oggi sono visibili questi piccoli edifici e uno fra tutti, la chiesa Arka Pana (Arca del Signore), costruita dopo incessanti rivolte e manifestazioni sostenute dall’allora vescovo di Cracovia, Karol Wojtyla.

La Polonia contemporanea, tra europeismo sopito e nazionalismo religioso

Varsavia esce dal comunismo con un forte desiderio di Europa, di essere accolta da quella parte di mondo in grado di tenerla il più possibile al riparo dalle ambizioni di Mosca. Il secondo amore è quello per gli Stati Uniti e la Nato, nella quale entra nel 1999, cinque anni prima di diventare un Paese membro dell’Unione europea. Da allora, Varsavia si abbandona a un europeismo fervente. Riceve abbondanti fondi da Bruxelles che le consentono di riscostruirsi, di assumere un nuovo aspetto. Scuole, università, aeroporti, strade portano la firma dell’Unione e il Pil della Polonia cresce del 40 per cento.

L’Europa ha dato molto, ma Varsavia ha saputo ricevere e fare dei fondi europei dei veri investimenti. Dopo dieci anni di europeismo, di armonia con Bruxelles, qualcosa è cambiato e dalle ultime elezioni, nel 2015, è uscito un governo di segno opposto, che ha fatto dell’opposizione all’Unione la sua battaglia principale. Basta ripercorrere i sentieri storici per capire che questo governo nasce proprio  da lì, da una frattura che percorre la coscienza polacca e va dalla fine della Seconda guerra mondiale fino ai nostri giorni.

Il Pis (Diritto e giustizia) arriva al governo con il 37 per cento dei voti, ma solo il 51 per cento dei polacchi ha votato. Il supporto nei confronti del partito legato alla personalità di Jaroslaw Kaczynski, gemello dell’ex presidente morto in un incidente aereo nel 2010, è arrivato soprattutto dalle zone rurali, meno ricche. Durante le elezioni, lo slogan del partito era: «Un buon cambiamento» (Dobra zmiana). Per il Pis, cambiamento vuol dire meno Europa e più Polonia; ma se inizialmente il partito teorizzava un’uscita della nazione dall’UE, si è dovuto ben presto ricredere, ammettendo che il denaro di Bruxelles è indispensabile (3).

Il successo del Pis nelle aree più lontane dai grandi centri urbani è dovuto a un altro fattore: la religione e la volontà dei nazionalisti di assumere il ruolo di nuovo Antemurale christianiti (4), baluardo sia contro il  liberalismo europeo, sia contro i migranti di fede musulmana. Inoltre, il Pis punta a legittimarsi come erede di Solidarność; in più occasioni Jaroslaw Kaczynski ha voluto convincere i polacchi che fu suo fratello Lech il vero leader del sindacato cattolico. Ma il successo del partito in un Paese che ha ancora una percentuale molto alta di cattolici praticanti (su 38 milioni di abitanti, 36 milioni sono cattolici), è dovuto all’essersi autolegittimato come l’unico partito cattolico. La retorica del voler valorizzare e proteggere le radici cristiane del Paese continua a essere dominante, unita alla promessa di vendicare le ferite storiche che la nazione ha dovuto subire.

Così, su storia e religione si basano le politiche di uno dei governi più nazionalisti d’Europa, il primo contro il quale l’Unione ha avviato la procedura prevista dall’articolo 7 dei trattati per violazione dello stato di diritto. Arrivato al governo, il Pis, per aumentare i consensi, ha varato una serie di riforme economiche come un sussidio mensile di 500 zloty (120 euro) per ogni figlio, l’abbassamento dell’età pensionabile o l’innalzamento del salario minimo. Misure populiste volte a radicalizzare i consensi. Ma sono altri i provvedimenti che il governo nazionalista ha legittimato come misure necessarie a proteggere la cultura cristiana della nazione e a vendicare la storia, alcuni anche curiosi, come la richiesta di risarcimento per i danni di guerra: la Polonia pretende dalla Germania 850 miliardi di euro (5). Varsavia ha esordito mettendo in chiaro che avrebbe riformato la legge che regola l’aborto, già molto dura. La Polonia è sempre stata la nazione europea che ha trattato l’argomento con maggior durezza, sia per la forte presenza della Chiesa nel dibattito pubblico, sia per una oggettiva difficoltà da parte della popolazione ad aprirsi al tema. Il Parlamento è tornato di recente, a marzo, a discutere la proposta di legge che impone nuove restrizioni all’interruzione di gravidanza che era permessa in tre casi: pericolo di vita della madre, malformazione o pericolo di vita del feto e stupro. La legge «stop aborcji» (stop all’aborto), intende eliminare il secondo dei tre casi, ma il Parlamento continua a votare contro per le numerose proteste popolari.

Il conflitto con l’Europa però è iniziato con la riforma della Corte suprema, che abbassa non solo l’età pensionabile dei suoi giudici da 70 a 65 anni, ma anche il numero dei giudici che la compongono, da 74 aumenterà a 120, e le nuove nomine saranno fatte tutte dal governo, ossia dal Pis. La legge è stata accolta come un tentativo di epurare la magistratura, nel quale è stata coinvolta anche la presidente della Corte, Malgorzata Gersdorf, che ha giurato di continuare ad andare a lavorare fino alla normale scadenza del  suo mandato, nel 2022 (6). Questa volta come giustificazione a una riforma che, secondo i giudici, i cittadini e anche secondo l’Unione europea, viola lo stato di diritto in quanto non rispetta la divisione montesquieuiana dei poteri, il partito nazionalista ha invocato la storia. Il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, ha detto che la legge nasce dalla necessità di allontanare dalla magistratura i giudici più anziani che in passato erano legati alla classe comunista e che continuavano a condannare membri del Solidarność. Niente di più falso, anche Lech Walesa, l’ex presidente e vero simbolo del sindacato, si è schierato dalla parte dei giudici (7).

C’è una terza legge che ha fatto discutere e che il governo ha tentato di legit- timare sia come tributo alla verità storica polacca, sia al tessuto cristiano della nazione. La legge riguarda la memoria e vieta l’espressione «campi di concen- tramento polacchi» e altre allusioni al coinvolgimento dei polacchi nella Shoah. Sebbene la norma sia stata ammorbidita, dopo aspre critiche non solo da parte delle comunità ebraiche e di Israele ma anche dagli Stati Uniti, prima prevedeva  la detenzione fino a tre anni ora solo sanzioni pecuniarie, fa ancora discutere e denuncia la mancanza di volontà di fare i conti con la propria storia nazionale. Nel 2001 uscì un libro molto importante, I carnefici della porta accanto di Jan Gross (8). L’opera  documentava la storia della comunità ebraica di Jedwabne che nel 1941 venne sterminata. Nel villaggio c’è ancora  una  targa  che  ricorda i 1.600 ebrei uccisi, ma riporta che a compiere la strage fu la Gestapo. È stato lo storico di Princeton di origini polacche a dimostrare che fu l’allora sindaco del villaggio a radunare nella piazza tutti gli abitanti ebrei che vennero poi circondati  e massacrati dagli altri uomini di Jedwabne (9) Gross ha ricevuto molti insulti dal Pis per aver raccontato questa verità.

Il Pis è stato fondato nel 2001 dai due fratelli Kaczynski, è un partito che nasce come costola del Solidarność, Jaroslaw Kaczynski era Capo della  Cancelleria sotto la presidenza di Walesa, e ha sempre sottolineato di essere un partito cattolico, sebbene ci siano forti legami anche tra il Pis e la Chiesa ortodossa, presente soprattutto nella parte nord orientale del Paese. Questo legame così stretto è spesso sfruttato dal governo per legittimare le sue politiche, soprattutto quelle volte a limitare le libertà civili e politiche. Questa morsa nasce da una stortura storica, la Polonia veniva dai ventisei anni migliori della sua storia, sotto ogni aspetto; Diritto e giustizia sta esponendo ora la nazione a una involuzione pericolosa, appoggiata in parte da un’ala della Chiesa polacca, quella più conservatrice. Le ferite mai curate del Secondo conflitto mondiale, il nazionalismo nato come necessità per continuare a esistere, il forte attaccamento alla religione come arma contro l’invasore sono i tre fattori importanti che hanno portato agli eccessi di oggi, e sono serviti al partito nazionalista Pis a giustificare e sostenere delle leggi illiberali.

MICOL FLAMMINI – Giornalista, collabora con diverse testate, Il Foglio, East Journal, Repubblica.

Note

1 W. POtOcki, Ogrod Fraszek, Volume II. Leopoli 1907.

2 A. Gieystorj, S. Herbst, B.L. Lesnodorsk, GieystOrj, Le millénaire de la Pologne, Varsavia, 1966.

3 Durante un discorso pronunciato il 2 settembre a una convention del Pis, Jaroslaw Kaczynski ha voluto spiegare che non è più intenzione di Varsavia lasciare l’Unione europea, ma ha sottolineato che se la Polonia è entrata nell’UE, lo ha fatto solo perché «era il modo più rapido per raggiungere standard di vita alti». Il leader del Pis ha aggiunto che la Polonia deve stare attenta a non lasciarsi contagiare dalle malattie occidentali, https://www.reuters.com/article/us-poland-politics/defiant-kaczynski-says-poland-must-avoid-eus-social-diseases-idUSKCN1LI0J2.

4 Papa Leone X, Lettera al ban croato Petar Barislavic, 1519.

5 La Germania ha già versato alla Polonia l’equivalente di circa 1,3 miliardi di euro nei primi anni Novanta.

6  Malgorzata Gersdorf, giudice della Corte suprema polacca, ha dichiarato che non lascerà la  sua carica durante un’intervista rilasciata alla Cnn, https://edition.cnn.com/2018/09/26/europe/malgorzata-gersdorf-poland-judiciary-eu-intl/index.html.

7 A luglio, l’ex presidente polacco, Lech Walesa, ha deciso di andare  a  Varsavia  per  prendere parte alle proteste contro la riforma della Corte suprema. Per manifestare si è fatto accompagnare in macchina da Danzica, http://wyborcza.pl/7,75398,23618666,lech-walesa-staje-na-czele-fizycznego-odsuniecia-glownego.html?disableRedirects=true.

8 Jan Gross è uno storico di origini polacche, ha lasciato il suo paese nel 1969 a causa del ritorno di un forte antisemitismo. Durante un’intervista al Foglio ha dichiarato che il partito di governo Pis ha istituzionalizzato l’antisemitismo, https://www.ilfoglio.it/esteri/2018/08/25/news/i-populisti-hanno-istituzionalizzato-lantisemitismo-in-polonia-dice-jan-gross-211001/.

9 Jan Gross, I carnefici della porta accanto. 1941: il massacro della comunità ebraica di Jedwabne in Polonia, Mondadori, 2002.

Info sull'autore

aidlr