Non è facile ripercorrere le novità del mondo digitale e le sfide che questo pone alla coscienza e alla libertà. La trasformazione di cui oggi tutti noi, in ispecie dopo la pandemia, percepiamo la pervasività e la potenza trasformatrice, non ha ancora del tutto svelato la propria portata. Per poter però chiarire la magnitudine di questi processi proporremo un itinerario scandito in alcuni momenti. Partiremo dal descrivere cosa è successo (Una nuova era) per poi cercare di far emergere le caratteristiche principali della Digital Age (Una inedita interpretazione della realtà). Le prospettive della nostra analisi ci vedranno poi impegnati nel cercare di delineare potenzialità (Nuove potenzialità) e limiti (Informazione o controllo?) di queste trasformazioni. Infine, ci congederemo da questo percorso suggerendo quello che potrebbe essere un rimedio per rendere il sistema più sostenibile: La sostenibilità digitale.
Una nuova era
L’evoluzione del computer ha influenzato profondamente tutte le tecnologie della comunicazione, facendone proprie, nello stesso tempo, tutte le potenzialità. All’inizio il computer sembrava uno strumento riservato alle grandi organizzazioni e amministrazioni, alla ricerca scientifica e ai comandi militari. La tecnologia dei microprocessori a partire dagli anni Settanta, il costante sviluppo di software facili da usare e, negli anni Novanta, la rapida espansione della rete, lo hanno invece trasformato in una macchina accessibile a tutti, come un qualsiasi altro elettrodo- mestico. Per comprendere questo cambiamento bisogna soffermarci sulla caratteristica principale di questa nuova forma di comunicazione: il digitale.
In informatica ed elettronica, con “digitale” ci si riferisce al fatto che tutte le informazioni vengono rappresentate con numeri o che si opera su queste manipolando numeri (il termine deriva dall’inglese digit, che significa cifra). Un determinato insieme di informazioni viene rappresentato in forma digitale, cioè come sequenza di numeri presi da un insieme di valori discreti, ovvero appartenenti a uno stesso insieme ben definito e circoscritto. Attualmente, “digitale” può essere considerato come sinonimo di numerico, e si contrappone invece alla forma di rappresentazione dell’informazione detta “analogica”. Ciò che è digitale è contrapposto a ciò che invece è analogico, cioè non numerabile.
Digitale è riferito dunque alla matematica del discreto che lavora con un insieme finito di elementi, mentre ciò che è analogico viene modellizzato con la matematica del continuo che tratta un’infinità (numerabile o non numerabile) di elementi. Un oggetto viene digitalizzato, cioè reso digitale, se il suo stato originario (analogico) viene “tradotto” e rappresentato mediante un insieme numerabile di elementi. Per esempio, una foto, normalmente formata da un infinito numero di punti ognuno dei quali composto da un’infinita gamma di colori, viene digitalizzata, e quindi tradotta in foto digitale, allorché la sua superficie sia rappresentata come suddivisa in un numero discreto di punti (in genere piccoli quadrati o rettangoli detti pixel), ognuno dei quali formato da un colore rappresentato a sua volta da un numero. Oggi, la comunicazione elettronica da una parte contribuisce al depotenziamento dell’istituzione-libro come fonte e strumento di informazione e di cultura; dall’altra, in modi nuovi, ne continua ed espande il servizio (come, ad esempio, accade con l’ebook). Inoltre, se la stampa ha consentito un uso diverso della memoria, il computer oggi esalta ulteriormente questo cambiamento, dotato com’è di una vasta capacità di gestione dei dati.
Proprio perché elabora in forma digitale il linguaggio di tutti gli altri media, il computer è diventato il medium per eccellenza del XXI secolo. In particolare, è uno strumento di scrittura per tutti: giornalisti, scrittori, scienziati, ingegneri, poeti e artisti. Della scrittura ha modificato largamente le tecniche tradizionali, come ha fatto per l’editing, la fotocomposizione, la stessa stampa.
Nei primi anni del XX secolo la comunità umana era cablata dal telegrafo e poi dal telefono. Oggi le connessioni a livello globale avvengono tramite computer: in borsa gli scambi di denaro e di merci, il controllo del traffico aereo e ferroviario avvengono per via informatica. La stessa via consente a milioni di persone di scambiarsi messaggi senza limiti di tempo e di spazio.
Una inedita interpretazione della realtà
La rivoluzione nel campo scientifico-tecnologico prodotta dai computer e dall’informatica è stata abilmente descritta da Naief Yehya:
«Con un computer possiamo trasformare quasi tutti i problemi umani in statistiche, grafici, equazioni. La cosa davvero inquietante, però, è che così facendo creiamo l’illusione che questi problemi siano risolvibili con i computer».(1)
Chris Anderson, direttore di Wired (2), traccia una sintesi di cosa significhi la rivoluzione digitale (3) per il mondo scientifico:
«Gli scienziati hanno sempre contato su ipotesi ed esperimenti. […] Di fronte alla disponibilità di enormi quantità di dati questo approccio – ipotesi, modello teorico e test – diventa obsoleto. […] C’è ora una via migliore. I petabytes ci consentono di dire: “la correlazione è sufficiente”. Possiamo smettere di cercare modelli teorici. Possiamo analizzare i dati senza alcuna ipotesi su cosa questi possano mostrare. Possiamo inviare i numeri nel più grande insieme di computer [cluster] che il mondo abbia mai visto e lasciare che algoritmi statistici trovino modelli [statistici] dove la scienza non può. […] Imparare a usare un computer di questa scala può essere sfidante. Ma l’opportunità è grande: la nuova disponibilità di un’enorme quantità di dati, unita con gli strumenti statistici per elaborarli, offre una modalità completamente nuova per capire il mondo. La correlazione soppianta la causalità e le scienze possono avanzare addirittura senza modelli teorici coerenti, teorie unificate o una qualche tipo di spiegazione meccanicistica». (4)
L’avvento della ricerca digitale, dove tutto viene trasformato in dati numerici, porta alla capacità di studiare il mondo secondo nuovi paradigmi gnoseologici: quello che conta è solo la correlazione tra due quantità di dati e non più una teoria coerente che spieghi tale correlazione.(5) Praticamente, oggi assistiamo a sviluppi tecnologici (capacità di fare) che non corrispondono a nessuno sviluppo scientifico (capacità di conoscere e spiegare): oggi la correlazione viene usata per predire con sufficiente accuratezza, pur non avendo alcuna teoria scientifica che lo supporti, il rischio di impatto di asteroidi anche sconosciuti in vari luoghi della Terra, i siti istituzionali oggetto di attacchi terroristici, il voto dei singoli cittadini alle elezioni presidenziali USA, l’andamento del mercato azionario nel breve termine.
L’utilizzo dei computer e delle tecnologie informatiche nello sviluppo tecnologico ha messo in evidenza una sfida linguistica che avviene al confine tra uomo e macchina: nel processo di interrogazione reciproca tra uomo e macchina sorgono proiezioni e scambi, finora impensati, e la macchina si umanizza non meno di quanto l’uomo si macchinizzi.(6)
Nuove potenzialità
L’effetto della esponenziale digitalizzazione della comunicazione e della società sta portando, a detta di Marc Prensky,(7) a una vera e propria trasformazione antropologica: l’avvento dei nativi digitali. “Nativo digitale” (in inglese digital native) è una espressione che viene applicata a una persona cresciuta con le tecnologie digitali come i computer, internet, telefoni cellulari e MP3. L’espressione viene utilizzata per indicare un nuovo e inedito gruppo di studenti che sta accedendo al sistema dell’educazione. I nativi digitali nascono parallelamente alla diffusione di massa dei computer a interfaccia grafica nel 1985 e dei sistemi operativi a finestre nel 1996. Il nativo digitale cresce in una società multischermo, e considera le tecnologie come un elemento naturale senza provare alcun disagio nel manipolarle e nell’interagire con esse.
Per contro, Prensky conia l’espressione “immigrato digitale” (digital immigrant) per indicare una persona che è cresciuta prima delle tecnologie digitali e le ha adottate in un secondo tempo. Una delle differenziazioni tra questi soggetti è il diverso approccio mentale verso le nuove tecnologie: ad esempio, un nativo digitale parlerà della sua nuova macchina fotografica (senza definirne la tipologia tecnologica) mentre un immigrato digitale parlerà della sua nuova macchina fotografica digitale, in contrapposizione alla macchina fotografica con pellicola chimica utilizzata in precedenza. Un nativo digitale, per Prensky, è come plasmato dalla dieta mediale a cui è sottoposto: in cinque anni, ad esempio, trascorre 10.000 ore con i videogames, scambia almeno 200.000 e-mail, trascorre 10.000 ore al cellulare, passa 20.000 ore davanti alla televisione guardando almeno 500.000 spot pubblicitari dedicando, però, solo 5.000 ore alla lettura. Questa “dieta mediale” produce, secondo Prensky, un nuovo linguaggio, un nuovo modo di organizzare il pensiero che modificherà la struttura cerebrale dei nativi digitali. Multitasking, ipertestualità e interattività sono, per Prensky, solo alcune caratteristiche di quello che appare come un nuovo e inedito stadio dell’evoluzione umana. Inoltre, secondo Prensky, sia pure in modo irregolare e alla nostra personale velocità, ci muoviamo tutti verso un potenziamento digitale che include le attività cognitive. (8) Prensky afferma che gli strumenti digitali già estendono e arricchiscono le nostre capacità cognitive in molti modi. La tecnologia digitale migliora la memoria, per esempio attraverso gli strumenti di acquisizione, archiviazione e restituzione dei dati. La raccolta digitale di dati e gli strumenti di supporto alle decisioni migliorano la capacità di scelta consentendoci di raccogliere più dati e verificare tutte le implicazioni derivanti da quella domanda. Il potenziamento digitale in ambito cognitivo, reso possibile da laptop, database online, simulazioni tridimensionali virtuali, strumenti collaborativi online, palmari e da una serie di altri strumenti specifici per diversi contesti, è oggi per Prensky una realtà in molte professioni, anche in campi non tecnici come la giurisprudenza e le discipline umanistiche.(9)
Informazione o controllo?
Viviamo in una società e in un tempo caratterizzati dal digitale, la Digital Age, un periodo complesso a causa dei profondi cambiamenti che queste tecnologie stanno producendo. La pandemia di Covid-19 ha accelerato una serie di processi che stavano già da tempo cambiando radicalmente la società perché è stato possibile sganciare il contenuto, la conoscenza, dal suo supporto.(10) Il cambio d’epoca che stiamo attraversando è prodotto dalla tecnologia digitale e dal suo impatto sul nostro modo di comprendere noi stessi e la realtà che ci circonda.
Per capire questa sfida dobbiamo tornare all’inizio di questa trasformazione. In un documentario granuloso girato ai Bell Laboratories nel 1952, il matematico e ricercatore dei Bell Labs Claude Shannon, si trova accanto a una macchina di sua costruzione. Costruita nel 1950, è stata uno dei primi esempi al mondo di apprendimento automatico: un topo robotico che risolve labirinti noto come Theseus. Il Teseo dell’antica mitologia greca ha navigato nel labirinto di un minotauro ed è fuggito seguendo un filo che aveva usato per segnare il proprio percorso. Ma il giocattolo elettromeccanico di Shannon è stato in grado di “ricordare” il percorso con l’aiuto di interruttori di relè telefonici.
Nel 1948, Shannon aveva introdotto il concetto di teoria dell’informazione in A Mathematical Theory of Communication, un documento che fornisce la prova matematica secondo cui tutta la comunicazione può essere espressa digitalmente. Claude Shannon ha mostrato che i messaggi potevano essere trattati puramente come una questione di ingegneria. La teoria matematica e non semantica della comunicazione di Shannon astrae dal significato di un messaggio e dalla presenza di un mittente o di un destinatario umano; un messaggio, da questo punto di vista, è una serie di fenomeni trasmissibili ai quali si può applicare una certa metrica.(11) Queste sue intuizioni diedero vita a una visione della realtà nuova e di matrice transdisciplinare: la cibernetica di Norbert Wiener. Per Wiener, la teoria dell’informazione è un modo potente di concepire la natura stessa. Mentre l’universo sta guadagnando entropia in accordo con la seconda legge della termodinamica – cioè, la sua distribuzione di energia sta diventando meno differenziata e più uniforme – ci sono sistemi locali contro-entropici. Questi sistemi sono gli organismi viventi e le macchine elaboratrici di informazioni che costruiamo. Tali sistemi si differenziano e si organizzano: generano informazioni.(12) Il privilegio di questo approccio è ciò che permette alla cibernetica di esercitare un sicuro controllo nell’ambito interdisciplinare che genera e di cui si occupa: “la cibernetica può esser già sicura della sua ‘cosa’, vale a dire di calcolare tutto ciò che è nei termini di un processo controllato”.(13)
A partire dal decennio precedente la Seconda guerra mondiale, e accelerando durante il conflitto e il post, gli scienziati hanno progettato sistemi meccanici ed elettrici sempre più sofisticati che permettevano alle loro macchine di agire come se avessero uno scopo. Questo lavoro intersecò altri lavori sulla cognizione negli animali e i primi lavori sull’informatica. Ciò che emerse fu un nuovo modo di vedere i sistemi, non solo meccanici ed elettrici, ma anche quelli biologici e sociali: una teoria unificante dei sistemi e della loro relazione con il loro ambiente. Questo passaggio verso “interi sistemi” e “pensiero di sistema” divenne noto come cibernetica. La cibernetica inquadra il mondo in termini di sistemi e dei loro obiettivi. Secondo la cibernetica i sistemi raggiungono gli obiettivi attraverso processi iterativi o cicli di “feedback”. Improvvisamente, i maggiori scienziati del dopoguerra stavano parlando seriamente di causalità circolare (A causa B, B causa C e, infine, C causa A). Guardando più da vicino, gli scienziati videro la difficoltà di separare l’osservatore dal sistema. In effetti, il sistema sembrava essere una costruzione dell’osservatore. Il ruolo dell’osservatore è quello di fornire una descrizione del sistema, che viene fornita a un altro osservatore. La descrizione richiede un linguaggio. E il processo di osservazione, creazione di linguaggio e condivisione delle descrizioni crea una società. Dalla fine degli anni Quaranta del secolo scorso, il mondo della ricerca più avanzato ha iniziato a guardare alla soggettività – del linguaggio, della conversazione e dell’etica – e alla sua relazione con i sistemi e sul design. Diverse discipline stavano collaborando per studiare la “collabora- zione” come categoria di controllo.
Fino a quel momento i fisici avevano descritto il mondo in termini di materia ed energia. La comunità cibernetica propose una nuova visione del mondo attraverso la lente delle informazioni, dei canali di comunicazione e della loro organizzazione. In questo modo, la cibernetica è nata agli albori dell’era dell’informazione, nelle comunicazioni predigitali e nei media, colmando il modo in cui gli esseri umani interagiscono con macchine, sistemi e l’uno con l’altro. La cibernetica si concentra sull’uso del feedback per correggere gli errori e raggiungere gli obiettivi: la cibernetica fa della macchina e dell’uomo una sorta di topo di Shannon, è a questo livello che dobbiamo guardare con maggiore attenzione gli effetti che tutto questo può avere sul capire e capirsi dell’uomo e sulla libertà. Con la maturità delle discussioni, gli obiettivi della comunità cibernetica si sono espansi. Nel 1968, Margaret Mead stava contemplando l’applicazione della cibernetica ai problemi sociali: «Con l’allargamento della scena mondiale, vi è la continua possibilità di utilizzare la cibernetica come forma di comunicazione in un mondo di crescente specializzazione scientifica. … Dovremmo considerare molto seriamente l’attuale situazione della società americana, all’interno della quale speriamo di poter sviluppare questi modi molto sofisticati di gestire sistemi che, in effetti, hanno un disperato bisogno di attenzione. Problemi delle aree metropolitane,… Le interrelazioni tra i diversi livelli di governo, la ridistribuzione del reddito, i collegamenti necessari tra parti di grandi complessi industriali…».(14)
L’approccio cibernetico, come sottolineerà Martin Heidegger rileggendo Wiener e l’opera dei cibernetici, “riduce” la stessa attività umana, nella pluralità delle sue configurazioni, a un qualcosa di funzionante e controllabile dalla macchina:
«l’uomo stesso diviene “qualcosa di pianificato, cioè di controllabile” e, posto che una tale riduzione non sia possibile viene messo fra parentesi quale “fattore di di- sturbo” nel calcolo cibernetico».(15) Nota infatti Fabris che «nella sua analisi del fenomeno cibernetico, Heidegger tiene costantemente presente la matrice greca del vocabolo e privilegia questo aspetto, piuttosto che – ad esempio – la nozione centrale di feedback, quale filo conduttore per comprendere e spiegare le caratteristiche di una tale “disciplina non disciplina”. Nella lettura heideggeriana la cibernetica indica l’avvento di un processo di controllo e d’informazione all’interno delle differenti sfere tematiche delle varie scienze. Il comando e il controllo (la Steuerung) sono intesi anzitutto, da un punto di vista ermeneutico, come quella prospettiva all’interno della quale vengono regolati i rapporti dell’uomo con il mondo».(16)
Nel cuore dei cibernauti, cioè di quegli studiosi che sono i padri della società informatica, delle intelligenze artificiali e di tutti questi impressionanti sviluppi che il digitale sta realizzando nel nostro vivere, però, potrebbe esserci stata la promessa di uno scopo ancora più grande.
Gregory Bateson, primo marito di Margaret Mead, in una celebre intervista confessò ciò che lo entusiasmava nelle discussioni sulla cibernetica: «Era una soluzione al problema dello scopo. Da Aristotele in poi, la causa finale è sempre stata il mistero. Questo venne fuori allora. Non ci rendevamo conto allora (almeno io non me ne rendevo conto, anche se McCulloch potrebbe averlo fatto) che l’intera logica avrebbe dovuto essere ricostruita per la ricorsività».(17)
Sostenibilità digitale
Se la società dell’informazione può di fatto, mediante azioni di feedback digitali, mettere l’uomo in una condizione di controllo da parte della macchina (sia essa elettronica o algoritmica) e se la relazione cibernetica nella sua forma più radicale di realizzazione di simbiosi uomo-macchina può di fatto negare la necessità di ipotizzare cause finali nell’agire, appare qui sullo sfondo un orizzonte distopico in cui la società dell’informazione collassa inevitabilmente in una società del controllo. L’analisi della società digitale ci permette di riflettere sul legame tra cause, necessità e libertà che il digitale realizza nella sua forma di attuazione politica: mette in questione la stessa possibilità che esista un destino dell’uomo dipendente dal suo volere libero.
Questa forma di digitalizzazione cibernetica, che qui definirei “forte” per sottolineare come questa sia una possibile forma di società qualora non si mettano in atto forme di sostenibilità digitale,(18) rischia di elidere la stessa possibilità di una libertà positiva. Con questo termine s’intende, ripercorrendo le riflessioni di Bobbio, nel linguaggio politico «la situazione in cui un soggetto ha la possibilità di orientare il proprio volere verso uno scopo, di prendere delle decisioni, senza essere determinato dal volere altrui. Questa forma di libertà si chiama anche “autodeterminazione” o, ancor più appropriatamente, “autonomia”. […]
Della libertà positiva la definizione classica fu data da Rousseau, per il quale la libertà nello stato civile consiste nel fatto che quivi l’uomo, in quanto parte del tutto sociale, come membro dell’io comune’, non ubbidisce ad altri che a se stesso, cioè è autonomo nel senso preciso della parola, nel senso che dà leggi a se stesso e non ubbidisce ad altre leggi che a quelle che si è dato: «L’obbedienza alla legge che ci siamo prescritti è la libertà» (Contrat social, I, 8). Tale concetto di libertà fu ripreso, per influsso diretto di Rousseau, da Kant, […] nella Metafisica dei costumi, ove la libertà giuridica viene definita come la facoltà di non obbedire ad altra legge che non sia quella a cui i cittadini hanno dato il loro consenso” (II, 46). […] Le libertà civili, prototipo delle libertà negative, sono libertà individuali, cioè inerenti all’individuo singolo: storicamente, infatti, sono il prodotto delle lotte per la difesa dell’individuo considerato o come persona morale, e quindi avente un valore di per se stesso, o come soggetto di rapporti economici, contro l’invadenza di enti collettivi come la Chiesa e lo Stato […]. La libertà come autodeterminazione invece è generalmente riferita, nella teoria politica, a una volontà collettiva, sia questa volontà quella del popolo o della comunità o della nazione o del gruppo etnico o della patria”.(19)
Alla luce di queste brevi riflessioni, ci sembra di poter sottolineare che la matrice epistemologica del controllo insito nello sviluppo del digitale come cultura del- l’informazione cibernetica, abiti ancora in maniera implicita e irriflessa all’interno delle applicazioni tecniche della società dell’informazione. Spetta alla società ci- vile la creazione di un dibattito perché i processi di innovazione tecnologica digi- tale siano messi in questione. Tuttavia, il mondo della tecnologia è oggi descritto dalla categoria dell’innovazione.
Se continueremo a guardare la tecnologia solamente come innovazione rischiamo di non riuscirne a percepire la portata di trasformazione sociale, e quindi di risultare incapaci di orientarne verso il bene gli effetti.
Per poter parlare di innovazione come di un bene, e per poterla orientare al bene comune, abbiamo bisogno di una qualifica che sia in grado di descrivere come e quali caratteristiche del progresso contribuiscono al bene dei singoli e della società. Per questo, con Sebastiano Maffettone, abbiamo deciso di adottare la categoria della sostenibilità digitale.
L’idea di sostenibilità digitale indirizza l’attenzione verso un concetto di ampia portata, che comprende l’espansione durevole delle possibilità di scelta degli individui e il miglioramento equo delle loro prospettive di benessere. Parlare di sostenibilità digitale significa non mettere la capacità tecnica al centro dell’attenzione, bensì tenere l’uomo al centro della riflessione e come fine che qualifica il progresso.
Utilizzare eticamente la tecnologia digitale oggi, rispettare l’ecologia umana, significa cercare di trasformare l’innovazione in un mondo digitale sostenibile. Significa indirizzare la tecnologia verso e per lo sviluppo umano, e non semplicemente cercare un progresso fine a se stesso. Sebbene non sia possibile pensare e realizzare la tecnologia senza delle forme di razionalità specifiche (il pensiero tecnico e scientifico), porre al centro dell’interesse la sostenibilità digitale significa dire che il pensiero tecnico-scientifico non basta.(20)
Perché ci sia libertà, abbiamo bisogno che la coscienza e le coscienze interroghino la tecnica orientando il suo sviluppo verso il bene comune.
Paolo Benanti – Teologo e accademico, insegna alla Pontificia Università Gregoriana.
NOTE
1 N. YEHYA, Homo cyborg. Il corpo postumano tra realtà e fantascienza, Eleuthera, Milano 2005, p. 15. 2 Wired è una rivista mensile statunitense fondata nel 1993 con sede a San Francisco. Nota, nell’ambito degli addetti al settore, come La Bibbia di Internet, è stata fondata dall’italo-americano Louis Rossetto, uno dei maggiori esperti di tecnologia e della cosiddetta rivoluzione digitale, insieme a Nicholas Negroponte, un informatico statunitense celebre per i suoi studi innovativi nel campo delle interfacce tra l’uomo e il computer. Attualmente è diretta da Chris Anderson che precedentemente ha lavorato per The Economist, Nature e Science. Wired (che letteralmente significa collegato) tratta tematiche di carattere tecnologico e di come queste influenzino la cultura, l’economia e la politica. Dal febbraio 2009 viene pubblicata anche in Italia. Per quanto riguarda i cyborg Wired è una delle fonti più ricche di materiali e riflessioni.
3 Per rivoluzione digitale o digital revolution si intende la serie di enormi cambiamenti nel mondo della co- municazione e nell’intera società contemporanea causata dalla possibilità di ridurre ogni tipo di informazione a catene di bit e bytes.
4 C. ANDERSON, The End of Theory, Wired 16 (2008) pp. 106-107, l’originale è in inglese, la traduzione è nostra. I petabytes sono una misura della capacità di memoria di un computer. Un petabytes equivale a 250, cioè 1.125.899.906.842.624, bytes – un byte rappresenta l’unità di misura per il computo delle memorie di massa. Torneremo in maniera approfondita sull’argomento nel corso dei prossimi capitoli.
5 Per renderci conto di quanto grande sia la quantità di dati che oggi siamo in grado di elaborare basti pensare che i primi computer negli anni Sessanta come l’ENIAC riuscivano a contenere una decina di bytes, oggi, mediamente, un utente domestico, nel suo computer, ha a disposizione una capacità di 1 terabytes (la millesima parte di un petabyte), 460 terabytes sono tutti i dati climatici digitali della Terra, 530 terabytes sono tutti i video contenuti nel sistema di diffusione internet YouTube e 1 petabytes di dati viene processato ogni 72 minuti dai server di Google il popolare motore di ricerca internet (cf. ibidem, 106). 6 Cf. P. BENANTI, The Cyborg. Corpo e corporeità nell’epoca del postumano, Cittadella, Assisi 2012.
7 Cf. M. PRENSKY, Digital Natives, Digital Immigrants, On the Horizon 9(5), 1-6, http://www.scribd.com/ doc/9799/Prensky-Digital-Natives-Digital-Immigrants-Part1; ID., Digital Natives, Digital Immigrants, part 2: Do They Really Think Differently?, On the Horizon 9 (6), 1-6. http://www.twitchspeed.com/site/Pren- sky%20-%20Digital%20Natives, %20Digital%20Immigrants %20-%20Part2.htm.
8 Cf. M. PRENSKY, H. Sapiens Digital: From Digital Immigrants and Digital Natives to Digital Wisdom, In- ovvate 5(3), http://www.innovateonline.info/index.php?view=article&id=705.
9 Prensky preferisce parlare di potenziamento digitale piuttosto che di potenziamento tecnologico per tre motivi (cf. M. PRENSKY, H. Sapiens Digital: From Digital Immigrants and Digital Natives to Digital Wisdom, op. cit.). In primo luogo, perché oggi quasi tutta la tecnologia è o digitale o supportata da strumenti digitali. In secondo luogo, la tecnologia digitale si distingue dalle altre in quanto è programmabile, cioè capace di essere indotta a fare, a livelli sempre più precisi, proprio ciò che si desidera (questa capacità di personalizzazione è il cuore della rivoluzione digitale). In terzo luogo, la tecnologia digitale investe sempre più energie in versioni sempre più piccole di microprocessori che costituiscono il nucleo di buona parte della tecnologia capace di potenziare la cognizione. Tale miniaturizzazione, insieme ai costi in continua riduzione, rappresenta l’elemento che renderà la tecnologia digitale disponibile per tutti, seppure a ritmi diversi in luoghi diversi. Il discorso è troppo vasto e complesso per essere ulteriormente discusso in queste pagine; per approfondimenti rimandiamo a P. BENANTI, Digital Age. Teoria del cambio d’epoca. Persona, famiglia e società, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2020.
10 Si pensi a fenomeni come le cosiddette fake news, la comparsa dello sharp power, i fatti di Capitol Hill o la Brexit nell’ambito pubblico o come il digitale plasmi le aspettative e i modi delle relazioni romantiche con piattaforme e modalità prima inedite solo per citare alcuni esempi.
11 Cf. R. POLT, “A Heideggerian Critique of Cyberbeing” in Horizons of Authenticity in Phenomenology, Existentialism, and Moral Psychology, a cura di H. PEDERSEN E M. ALTMAN, Springer, Dordrecht, 2015, 181. 12 Cf. Ibidem.
13 M. HEIDEGGER – A. FABRIS, Filosofia e cibernetica, ETS, 1988, 34-35.
14 La traduzione e mia ed è tratta da: M. MEAD, “Cybernetics of Cybernetics” in Purposive Systems: Proceedings of the First Annual Symposium of the American Society for Cybernetics, ed. in H. VON FOERSTER ET AL, Spartan Books, New York, 1968, 4-5.
15 M. HEIDEGGER – A. FABRIS, Filosofia e cibernetica, ETS, 1988, 10.
16 Ivi, 11. Annota Fabris che “la cibernetica è vista da Heidegger come il momento più avanzato, l’esito più evidente di quel dominio della tecnica in cui sfocia l’intera metafisica occidentale. La storia dell’essere come emerge dai corsi universitari su Nietzsche degli anni Trenta – ha infatti il suo punto d’arrivo nell’evento della tecnica, in cui trova piena manifestazione la volontà di potenza (volontà di volontà) che determina l’azione dell’uomo e si estende a ogni ambito del reale. All’interno di un tale processo di autoriferimento della volontà il progetto cibernetico riceve la propria giustificazione e definisce i propri rapporti con la filosofia, facendosi carico di alcuni dei suoi compiti e assumendo le sue prerogative tradizionali” (Ibidem).
17 La traduzione è mia ed è tratta da: S. BRAND, “For God’s Sake, Margaret a conversation with Margaret Mead and Gregory Bateson” in CoEvolutionary Quarterly, 10-21 giugno 1976, 32-44. La teoria delle cause che Aristotele ha introdotto in Fisica II 3-7, in Metafisica 2, in Metafisica A 3-10 e in Analitici Posteriori II 111, ha destato fin dagli esordi diverse discussioni. L’importanza della teoria aristotelica delle cause è dovuta soprattutto al fatto che, a partire da Aristotele in poi, possiamo parlare di conoscenza quando possiamo dar conto dei principi e delle cause che hanno avuto un ruolo nel realizzarsi di un certo evento.
18 Su questo sta prendendo forma una riflessione approfondita in un’opera scritta a quattro mani con Sebastiano Maffettone (cf. https://www.corriere.it/opinioni/21_maggio_17/intelligenza-artificiale- frontiera-principi-697e5326-b71d-11eb-ba17-f6e1f3fff06b.shtml).
19 N. BOBBIO, “Libertà” in Enciclopedia del Novecento, Treccani (https://www.treccani.it/enciclopedia/li- berta_%28Enciclopedia-del-Novecento%29/).
20 Questi temi sono approfonditi in un articolo di prossima pubblicazione scritto con Sebastiano Maffettone sulla sostenibilità digitale in uscita presso i tipi de Il Mulino.