Introduzione
E’ nota la funzione della “Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza” (ECRI). (1) Si tratta di un organismo del Consiglio d’Europa le cui finalità sono dirette a sensibilizzare l’opinione pubblica, le istituzioni politiche e la società civile nella lotta contro alcune tra le forme più odiose di discriminazione ancora ampiamente persistenti su scala europea (e non solo), accresciute dai nuovi rigurgiti nazionalisti e separatisti. (2) Come ogni anno, la Commissione redige un Report denso di informazioni, dati e raccomandazioni, la cui finalità dovrebbe (il condizionale si impone, purtroppo) non solo accrescere il grado di sensibilizzazione della sfera pubblica sul livello di diffusione di fenomeni socialmente pericolosi, quali appunto il razzismo, l’antisemitismo e la xenofobia, ma anche spingere all’attivazione su scala domestica di misure ad ampio raggio utili ad accrescere e consolidare una mentalità in linea con gli standard più alti di protezione dei diritti umani.
Nel corso del tempo, accanto ai tradizionali filoni di analisi da parte della Commissione (antisemitismo, xenofobia e razzismo) si sono aggiunti ambiti di indagine legati, per esempio, alle nuove forme di diffusione del pensiero e della conoscenza tramite internet e i social media; (3) da qui, l’attenzione rivolta a fattispecie criminose scaturenti dai cambiamenti sociali, culturali e antropologici, il cui inquadramento sul piano normativo non risulta per nulla agevole, stante la diffidenza – se non addirittura la palese ostilità – da parte di alcuni movimenti politici a forte connotazione nazionalistica e di istituzioni di matrice identitaria giunte al governo di alcuni Stati. Ed è proprio la facilità con cui nuovi attori accedono alle procedure di formazione delle norme giuridiche (fatto in sé positivo perché indice di maggiore democrazia) a segnare – in assenza di regole puntuali sulla disciplina dell’attività di lobbying – il prevalere distonico di orientamenti di parte rispetto all’interesse generale. (4) Il compito della politica e del diritto dovrebbe essere quello di favorire l’affermazione di istanze collettive capaci di portare a sintesi lo scambio di materiali tra livelli diversi di governo della sfera pubblica utili ad accrescere il livello di messa in sicurezza dei valori democratici contenuti nella Costituzione, nei Trattati europei, nella Carta di Nizza, nella CEDU.
A oggi, constatiamo la difficoltà in sede statale a tradurre questa interazione politica e giuridica in risposte protettive di nuove istanze sociali. è come se il diritto degli Stati – e di alcune realtà specifiche, in particolare – avesse perso la sua funzione “neutrale”. (5) Da qui il ruolo sempre più “compensativo” (obbligato) delle Corti, specie quelle di rango sovranazionale (come la Corte di Strasburgo in materia di diritti umani) che però resta monco in assenza di una piattaforma politico- legislativa tendenzialmente unitaria, idonea a stabilire corsie formali facilmente riconoscibili, legittimate pubblicamente, concretamente applicabili, all’interno delle quali positivizzare tutte le manifestazioni pubbliche della soggettività attraverso processi graduali di educazione culturale. (6) Ecco allora l’importanza di organi sovrastatali di monitoraggio come appunto l’ECRI, che sebbene deboli dal punto di vista della vincolatività giuridica dei materiali da essi prodotti, risultano utilissimi per facilitare l’adeguamento degli ordinamenti interni al piano esterno di tutela dei diritti dell’uomo.
2. L’Europa necessaria
Il percorso di affermazione delle istituzioni sovranazionali si caratterizza, in generale, in ragione del modo in cui le culture politiche di fondo a essi sottese sono riuscite a trovare adeguato spazio di legittimazione pubblica. Non è difficile riscontrare, a distanza di anni dalla loro costituzione, fenomeni di crisi di alcune di queste (per esempio il Consiglio di sicurezza dell’ONU) (7) alla luce dei processi trasformativi – sul piano economico, sociale, culturale e geopolitico – che inevitabilmente hanno segnato la storia del mondo. Se poniamo, per esempio, attenzione alla vicenda europea (Unione europea e Consiglio d’Europa) non possiamo non rilevare come a fasi di grande slancio e allargamento (anni ’90) sono seguiti momenti di stasi e di marcata loro messa in discussione. (8) Le prime, sono legate alla fase di espansione del mercato su scala internazionale e al dissolvimento dei vecchi apparati ideologici, mentre le seconde sono dipese da ragioni che affondano nei processi estremi di globalizzazione, nella crisi della rappresentanza politica, nelle dinamiche migratorie, nei sommovimenti geopolitici, in primis il Mediterraneo. Se l’opzione europea continua a restare maggioritaria, soprattutto tra le nuove generazioni – i dati sulle percentuali a favore dei partiti di matrice nazionalista confermano questo – il sogno degli estensori del Manifesto di Ventotene ha sicuramente bisogno di nuova linfa, culturale e politica, sennò è il valore della pace a essere messo seriamente a rischio. (9) L’Unione, insomma, è «come la bicicletta: bisogna pedalare, se non si vuole cadere» (10) e per non inciampare rovinosamente occorre risolvere il “dilemma genetico” di questa organizzazione sovrastatuale sui generis, cioè il suo completamento in chiave federalista e intendersi bene sul significato di questa etichetta. (11) Di certo non possiamo assimilare l’Unione europea com’è oggi a uno Stato federale sul modello nord-americano o australiano. è più probabile, invece, concepire un’Europa «che ha poteri di governo all’interno e poteri di rappresentanza all’esterno, ma in un contesto di funzioni pubbliche attribuite a rete in base a criteri di competenza». (12) Questo modello di governance sovranazionale non mette in discussione le competenze delle istituzioni centrali (Commissione, Corte di giustizia, Parlamento e Consiglio) ma semmai le rafforza all’interno di una logica gradualista, maggiormente cooperativa e solidaristica perché capace di contenere l’eccesso di intergovernativismo, causa prima del “deficit democratico” attuale. (13) Inoltre, il modo secondo cui le istituzioni europee si sono venute strutturando nel quadro complessivo della cooperazione internazionale, sono la dimostrazione del grado di costituzionalizzazione dello spazio all’interno del quale esse operano. Intendo dire che maggiore sarà il rafforzamento del carattere democratico dell’Unione, più grande risulterà il consolidamento, su base argomentativa (consultiva) delle reti di associazioni deputate a far emergere bisogni e interessi di varia natura, dal basso verso l’alto e viceversa. (14)
2. L’alterità culturale (problema e risorsa)
Quanto è accaduto nel mondo dopo l’entrata in vigore della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948), rappresenta la volontà di trasformare la materia dei diritti umani in un «fenomeno cosmopolita», cioè sganciato da logiche di politica interna e calato – pur tra mille difficoltà e ancora oggi non oggetto di un quadro giuridico definito e omogeneo – in un «progetto di costituzionalizzazione dell’ordine mondiale» (15) avente come obiettivo quello di «offrire agli essere umani, ovunque si trovino, la possibilità di avvalersi di strumenti giuridici idonei a tutelare e proteggere la dignità della persona». (16) Quella dignità resa “sacra e inviolabile” dalle costituzioni del dopoguerra (tutte a vocazione internazionalistica) (17) e quindi elevata a dispositivo di accesso, da parte di chiunque, a quel complesso di beni che concretizzano il piano positivo per la realizzazione dei diritti civili, politici e sociali. (18) Da quella Dichiarazione, la Comunità internazionale ha preso le mosse per adottare tutti gli strumenti possibili per specificare i diritti e le libertà ritenuti meritevoli di tutela; (19) e da qui l’adozione di strumenti di monitoraggio e l’introduzione di commissioni di vigilanza sul comportamento degli Stati aventi la funzione di attivare meccanismi di early warning idonei a dare seguito a reazioni immediate contro violazioni di particolare gravità.
A rendere però la questione più complessa, contribuisce la crescita del livello di interazione culturale all’interno dei vari spazi geopolitici o politico-istituzionali. Il progressivo accrescersi dei flussi migratori, specie verso l’Europa, ma pure il grado di complessità etnico all’interno di territori tradizionalmente vocati al cosmopolitismo (almeno in linea teorica), richiede, in sede politico-legislativa oltre che giurisdizionale, una propensione a condividere un metro di valutazione delle violazioni delle convenzioni poste a tutela dei diritti umani ispirato alla flessibilità del lessico giuridico (lato sensu). (20) Alcune condotte criminose (per esempio quelle connotate culturalmente) hanno bisogno di essere sorrette, in capo agli operatori pubblici, da una più marcata sensibilità interculturale.
E’ il caso della cultural defence, (21) che, da un lato, se opportunamente gestita, pro- duce una crescita in termini di inclusione sociale perché prova a contenere, all’interno del perimetro dell’ordine pubblico, “quote di clemenza” a favore dell’imputato; nello stesso tempo, però, in essenza di una ermeneutica flessibile ma comunque fedele ai valori-principi di contesto (quello autoctono) rischia di alimentare diffidenze e preconcetti, in capo sia ai soggetti non autoctoni, sia da parte del potere pubblico, con possibili ricadute sul piano delle garanzie costituzionali. (22) Da qui, l’accrescersi di fenomeni discriminatori, legittimati, da parte di qualcuno, sulla base di “evidenti” condizioni di irriducibilità culturale. (23) In questo segmento di analisi, un ruolo fondamentale viene svolto dal fattore [rectius: linguaggio] religioso, spesso agitato a fini puramente propagandistici o politico-elettorali – ma comunque connotabile più di altri in senso normativo (come nel caso dell’Islam per esempio) – perché meglio si attaglia (stante la sua natura «circolare che si autentica da sé») (24) a essere ricompreso tra i fattori di rischio cui vanno più facilmente incontro le società variegate dal punto di vista culturale. (25)
Questo surplus di complessità integra il fronte discorsivo della messa in sicurezza dei diritti fondamentali delle persone (singoli e formazioni sociali) e la richiesta da parte dei soggetti coinvolti di avere istituzioni capaci di garantire il loro giusto riconoscimento e, all’occorrenza, la loro giustiziabilità.
Si tratta, naturalmente, di apprestare politiche all’altezza dei compiti, ma anche di fornire strumenti di soluzione in grado di essere efficaci sia sul fronte della persuasione, sia su quello della sanzione. (26)
3. Il rapporto ECRI 2020
Il lavoro svolto dalla “Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza” (ECRI) a partire dalla sua istituzione (1994) come organo di monitoraggio indipendente del Consiglio d’Europa, rappresenta il frutto di una politica di sorveglianza graduale, attuata a cadenza annuale (“Annual Report on ECRI’s Activities”), integrata da azioni tematiche accessorie dirette a stabilire con i paesi membri un dialogo di natura confidenziale. Il Report 2020 ha ovviamente risentito delle restrizioni adottate a livello di Stati membri per combattere l’emergenza pandemica, costringendo i membri del Bureau a fare maggiore affidamento sulle informazioni raccolte attraverso procedure informatiche, comunicazioni scritte provenienti dalle singole vittime o testimoni di episodi di razzismo e intolleranza, integrate con i contributi dei partner internazionali o nazionali della Commissione stessa. L’edizione di quest’anno si concentra su quattro principali aree di indagine: l’impatto del Covid-19 sui gruppi di interesse attenzionati dall’ECRI, il contrasto ai fenomeni di razzismo all’interno della vita pubblica; il razzismo antislamico e l’antisemitismo di fronte agli episodi di terrorismo; le ripercussioni derivanti dalla protezione dei diritti umani delle persone LGBTI.
Il Covid-19, si legge nel Report 2020, ha accresciuto il livello di insofferenza generale della popolazione, finendo con l’alimentare atteggiamenti discriminatori verso alcune specifiche soggettività – come le persone di origine asiatica, per esempio – ritenute responsabili della diffusione del virus, oppure all’origine di complotti finalizzati a controllare i destini del mondo attraverso il monopolio sulla governance delle cure per tramite delle multinazionali del farmaco. Si tratta di segnali, ovviamente preoccupanti, che richiedono, in capo ai singoli Stati e alle organizzazioni internazionali, di svolgere un’opera di informazione capillare e di contrasto verso tutte le azioni poste in essere da soggetti animati soltanto da pregiudizi ideo- logici e mire politiche illiberali.
La difficoltà a garantire standard elevati di sicurezza sanitaria in tutti i paesi europei, causata da criticità storiche impossibili da rimuovere in momenti di emergenza (il caso della sanità italiana su tutti, ma non solo) ha certamente provocato quote di declassamento dei diritti e delle libertà codificati nella Convenzione di Strasburgo (CEDU), con richieste di legittime pretese di matrice libertaria, poste in es- sere da gruppi di interesse preoccupati del possibile protrarsi della pandemia. A livello italiano, per esempio, hanno sollevato dibattiti, durante la prima fase dell’emergenza pandemica, le pressioni dei gruppi religiosi, Chiesa cattolica in testa, preoccupati della concreta eventualità di non poter garantire ai propri fedeli la partecipazione alle attività di culto in ragione della ritenuta prevalenza della tutela della salute (art. 32 Cost.) rispetto ai profili pratici della libertà religiosa (art. 19 Cost.). La questione si è risolta con la stipula di “Protocolli d’intesa” tra Governo e organizzazioni religiose aventi la finalità di bilanciare diritti in conflitto tra loro in un contesto di emergenza pubblica. (27)
Il Report 2020 contiene inoltre importanti dati sulle potenziali ripercussioni della pandemia nel medio-lungo periodo rispetto alla condizione dei rifugiati e dei richiedenti asilo (specie sul fronte occupazione, carenza di cibo, tutela della salute, istruzione, etc.). Si conferma, a tal proposito, l’importanza di quanto già stabilito nella Raccomandazione n. 16 del 10 maggio 2016, sulla tutela dei diritti dei migranti irregolari e sul contrasto alla criminalizzazione delle attività di assistenza sociale e umanitaria. Contestualmente, scorrendo il Documento, si evince pure che in diversi paesi si è provveduto a garantire ai soggetti migranti più vulnerabili, specie quelli esposti a rischio espulsione, il godimento degli stessi diritti riconosciuti ai cittadini.
Un caso paradigmatico riguarda invece i Rom, già esposti – ben prima dell’insorgenza pandemica – a rischio emarginazione o esclusione. Vi si rimarca come la loro situazione (per esempio sul fronte dell’inclusione scolastica dei minori) sia ulteriormente peggiorata rispetto a quella delle altre minoranze, soprattutto in termini di accesso al lavoro e ai servizi di base. L’ECRI, pertanto, invita gli Stati membri a trarre le dovute conclusioni e ad agire concretamente adottando misure legislative adeguate a combattere tutte le forme di antigipsismo. A ciò si aggiunge la segnalazione proveniente da alcuni paesi, all’interno dei quali, specie nella cerchia dei quartieri più popolari, i migranti sono stati presi di mira in modo sproporzionato dai controlli di polizia, con ulteriore incremento delle sanzioni pecuniarie.
Quello migratorio rappresenta, perciò, un problema non più procrastinabile, certamente accresciuto dalla pandemia, ma comunque da troppo tempo in latenza per essere gestito con soluzioni contingenti poco rispettose dei valori unitari della cooperazione e della solidarietà. Gli stati mediterranei hanno bisogno di sentirsi supportati dai restanti paesi del nord Europa, troppo cinici, in alcuni casi, nell’approcciarsi alle richieste di aiuto avanzate dai primi, specie in occasione delle emergenze sbarchi. Occorre certamente rivedere le regole che disciplinano l’accesso e la libertà di circolazione e soggiorno all’interno del perimetro comunitario, in modo da trasformare una fonte di preoccupazione in una opportunità. Naturalmente, la soluzione non può passare attraverso la reiterata adozione di programmi finanziati da Fondi c.d. “fiduciari” (tipo quello di emergenza per l’Africa), bensì tramite un “Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo”. (28)
Una sezione importante del Report 2020 è quella dedicata alla condizione delle persone LGBTI, mai come nella fase della pandemia esposte a forme gravi e diversificate di intolleranza, anche domestica. Specie durante le settimane di particolari restrizioni imposte dai governi per contenere la diffusione del contagio, sono state registrate le maggiori impennate nella richiesta di assistenza da parte di giovani LGBTI e sono aumentate in modo significativo le denunce di insicurezza legate al mantenimento del posto di lavoro, oppure di rinvio dei trattamenti sanitari. è cresciuta sostanzialmente l’intolleranza verso le comunità LGBTI a dimostrazione che, nonostante alcuni paesi siano sulla strada dell’adozione di più progredite forme di riconoscimento dei diritti e delle tutele, il pregiudizio anti-LGBTI resiste e trova nel linguaggio di molti leader politici e religiosi ampia diffusione. Si registrano, fortunatamente, anche segnali di inversione di tendenza in alcuni Stati del Consiglio d’Europa, ma la rotta verso il riconoscimento formale dei diritti, come scriveva Rodotà, è una battaglia che, anche se vinta momentaneamente, apre quella per la questione del loro rispetto, della loro efficacia, del loro radicamento, della loro giustiziabilità. (29) E dunque, «i diritti diventano, così, essi stessi, strumenti della lotta per i diritti». (30)
Altra nota significativa contenuta nel Report 2020 è quella sull’uso dell’intelligenza artificiale (AI) in relazione alle dinamiche pandemiche e nello specifico il monitoraggio dell’impatto che i dispositivi impiegati per far rispettare le varie “quarantene” (es. impiego di droni, codici QR ecc.) hanno prodotto sulla condizione delle categorie sociali più fragili. Dalla lettura del Report 2020 viene fuori che la c.d. “dataficazione” si presenta come particolarmente invadente dal punto di vista della tutela della privacy e, dunque, a forte grado di impatto sulla condizione sociale dei gruppi minoritari (LGBTI, minoranze etniche e religiose, etc.). Nel documento ECRI si scrive perciò chiaramente che: «se i dati degli utenti [vengono ricavati] tramite un server centralizzato, come fatto da parte di alcuni governi [il rischio è] l’identificazione degli interessi e l’aumento della vulnerabilità e dell’incitamento all’odio on-line». Da qui la richiesta di molti stakeolders, compresi il Consiglio d’Europa (31) e la Commissione UE, (32) di assicurare adeguate garanzie per il trattamento e la conservazione dei dati personali, in modo tale che «qualsiasi [loro] raccolta [non pregiudichi] i principi di riservatezza, consenso informato e autoidentificazione volontaria di persone».
A seguito dei recenti fatti di razzismo avvenuti negli Stati Uniti, culminati con la tragica morte di George Floyd durante il suo arresto a opera della polizia di Minneapolis, il vento di protesta agitato dal movimento “Black Lives Matter” ha propagato la sua onda d’urto in tutto il mondo, agitando ancora di più le acque tempestose del razzismo su scala globale. L’ECRI nel suo Report 2020 denuncia il persistere di atti di razzismo all’interno delle politiche pubbliche in Europa, che si differenziano a seconda degli specifici contesti di riferimento e delle particolari comunità e soggetti coinvolti. Spesso, il nesso causale “soggetto–appartenenza di gruppo–esternazioni di atteggiamenti simbolici nello spazio pubblico” determina la presa in carico, da parte delle istituzioni politiche, di deliberazioni finalizzate a restringere i diritti e le libertà fondamentali in ragione della necessità di mettere in sicurezza l’ordine pubblico o, come nel caso della Francia, la laicità della Repubblica. (33)
L’ECRI raccomanda agli Stati azioni ispettive approfondite onde evitare abusi da parte delle autorità di polizia e il diffondersi di forme di “pregiudizio inconsapevole” capaci di inficiare il dialogo tra istituzioni e gruppi connotati in senso culturale e/o religioso. Ecco perché, allora, il Consiglio d’Europa si fa promotore della necessità, in capo agli Stati membri, di investire sulla formazione interculturale a tutti i livelli, in modo da incrementare un «approccio olistico [ai temi delle diversità] per smantellare le gerarchie sociali» responsabili della cattiva condotta di persone e gruppi.
Non sfugge, infine, al Report 2020 il tema del contrasto all’antisemitismo e verso le discriminazioni antislamiche. Nel Documento si parte dalla consapevolezza che bisogna favorire la conoscenza ad ampio raggio verso ciò che il razzismo antislamico produce sulle politiche di integrazione. La polarizzazione sociale sempre più marcata, soprattutto all’interno dei grandi agglomerati urbani, già da tempo ha spinto il Consiglio d’Europa a sensibilizzare gli Stati membri a includere all’interno delle politiche antirazziste tutte le diversità culturali e religiose presenti nello spazio pubblico. L’azione carsica delle frange di estrema destra ha gioco facile a cavalcare la retorica dell’identità culturale messa a rischio dalla cultura islamica se i poteri pubblici non agiscono con programmi interculturali e repressivi all’altezza della sfida. Eradicare tutte le azioni xenofobe e razziste messe in campo sulla scena europea risponde al principio categorico che trova sintesi nello “statuto fondativo” dell’Europa (Carta di Nizza, CEDU).
Conclusioni
L’Europa, nel corso dei decenni, ha saputo imboccare strade diverse per arginare e contrastare le diverse forme di intolleranza, razzismo, discriminazione verso tutte le alterità presenti all’interno della sua sfera pubblica. Si tratta, però, di una strada in salita, messa a repentaglio da quanti – Stati membri, leader di governo, movimenti politici, etc. – rimpiangono contesti politici chiusi, non comunicanti verso l’esterno, impauriti dalla diversità come ricchezza. Gli strumenti azionati per impedire l’espansione della “divisione tra eguali” rappresentano, certamente, una strada da percorrere con tenacia, ma tutto ciò non può bastare. Il diritto antidiscriminatorio ha bisogno di essere adeguatamente supportato sul piano culturale, della formazione delle coscienze e della sedimentazione nello spazio pubblico di antidoti elaborati in forma ampia e condivisa. (34)
Le istituzioni europee devono perciò rafforzare il coinvolgimento della società civile nell’opera di ascolto e di elaborazione di piani d’azione per meglio essere capaci di far sentire tutti parte del grande progetto comune. L’Europa, dunque, come “casa comune”, non resisterà a lungo se verrà percepita dall’opinione pubblica come qualcosa di esclusivamente burocratico “calato dall’alto”; al contrario, occorrerà sostenere, a tutti i livelli – partendo dagli ambiti nazionali (se non addirittura locali) – quelle politiche dirette alla rigenerazione della trama dei diritti fondamentali, unica strada per un futuro di pace e solidarietà.
Gianfranco Macrì – Professore ordinario di Diritto Interculturale e delle Religioni, Dipartimento di Scienze Politiche, Università degli Studi di Salerno.
NOTE
1 https://www.coe.int/en/web/european-commission-against-racism-and-intolerance.
2 L’Europa (Unione europea e Consiglio d’Europa) registra da alcuni anni un progressivo quanto allarmante sfilacciamento della trama valoriale da cui ha tratto la sua linfa vitale. Da un lato le tradizioni costituzionali degli Stati membri, dall’altro la volontà politica comune a rinsaldare il valore della pace e della cooperazione dopo i tragici avvenimento della seconda guerra mondiale, rappresentano i capisaldi fondativi di questa area del pianeta, divenuta anche contesto politico unico nel suo genere – per come è venuta de- lineandosi dal punto di vista giuridico-ordinamentale attraverso le due più importanti organizzazioni di riferimento citate – non sembrano riscontare generale accoglimento se si va ad analizzare il modo come alcuni paesi che ne fanno parte “reagiscono” di fronte ai problemi provenienti dall’esterno e dall’interno. Crisi economica, messa in discussione del valore della moneta unica, processi migratori, pandemia covid-19, tutela comune dei diritti umani attraverso normative specifiche e soluzioni di matrice pretoria, costituiscono un coacervo ad alto tasso di criticità, che richiede la riproposizione del dovere di cooperazione per essere affrontate e superate; il rischio è lo sfaldamento del progetto dei padri fondatori e il ritorno al mito delle nazioni, nella sua interpretazione sovranista e conflittuale. Tra i tanti, J. HABERMAS, Questa Europa è in crisi, Laterza, Roma-Bari, 2011; U. BECK, La crisi dell’Europa, il Mulino, Bologna, 2010; J.H.H. WEILER, Federalismo e costituzionalismo: il «Sonderweg» europeo, in G. ZAGREBELSKY (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, Laterza, Roma-Bari, 2003, pp. 22-42. Di recente, F. SavASTANO, L’Unione europea e il mondo globale: una scelta costituzionale irreversibile? in G. ALLEGRI, A. STERPA, N. VICECONTE (a cura di), Questioni costituzionali al tempo del pluralismo e del sovranismo, ES, Napoli, 2019, pp. 247-264.
3 CASS R. SUNSTEIN, #republic. La democrazia nell’epoca dei social media, il Mulino, Bologna, 2017, passim.
4 E. CARLONI, M. MAZZONI, Il cantiere delle lobby. Processi decisionali, consenso, regole, Carocci, Roma, 2020, pp. 26-31.
5 V. DI CATALDO, A che cosa serve il diritto, il Mulino, Bologna, 2017, pp. 48-54.
6 G. MACRì, L’Europa fra le Corti. Diritti fondamentali e questione islamica, Rubbettino, Soveria Mannelli, 217, pp. 113 e ss.
7 P. BARGIACCHI, La riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, Giuffrè, Milano, 2005.
8 G. AMATO, Noi in bilico. Inquietudini e speranze di un cittadino europeo (intervista a cura di F. FORQUET), Laterza, Roma-Bari, 2005, passim.
9 P.V. DASTOLI, R. SANTANIELLO, C’eravamo tanto amati. Italia, Europa e poi? Università Bocconi Editore, Milano, 2013, pp. 87-139.
10 S. CASSESE, Il buon governo. L’età dei doveri, Mondadori, Milano, 2020, p. 72.
11 A. PIZZORUSSO, Il patrimonio costituzionale europeo, il Mulino, Bologna, 2002, pp. 157-185.
12 G. AMATO, L’europeismo di Altiero Spinelli, in A. SPINELLI, Europeismo. Per un’Europa libera e unita, Treccani, Torino, 2019, p. 124.
13 R. PERISSICH, Stare in Europa. Sogno, incubo e realtà, Bollati Boringhieri, Torino, 2019, pp. 187 e ss.
14 R. SANTANIELLO, Capire l’Unione europea, il Mulino, Bologna, 2016, pp. 269-277.
15 L. FERRAJOLI, La Costruzione della democrazia. Teoria del garantismo costituzionale, Laterza, Roma-Bari, 2021, p. 397.
16 A. RINELLA, Diritti e libertà fondamentali, in G. MORBIDELLI, L. PEGORARO, A. RINELLA, M. VOLPI (a cura di), Diritto pubblico comparato, Quinta edizione, Giappichelli, Torino, 2016, p. 324.
17 Come ben sottolinea V. ONIDA, La Costituzione ieri e oggi, il Mulino, Bologna, 2008, pp. 19-39.
18 P. CARETTI, I diritti fondamentali. Libertà e Diritti sociali, Giappichelli, Torino, 2002, pp. 136-137.
19 A. CASSESE, Diritto internazionale, Seconda edizione, a cura di P. GAETA, il Mulino, Bologna, 2013, pp. 193-210; 325-341.
20 M. RICCA, Oltre Babele. Codici per una democrazia interculturale, Dedalo, Bari, 2008, pp. 311-345.
21 S. ATTOLINO, Le nuove frontiere del crimine religiosamente motivato: sul metodo interculturale di prevenzione e contrasto, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 14 del 2020, pp. 11 e ss.
22 Sul tema, comunque inserito all’interno di una riflessione di più ampio respiro, da ultimo, A. TARZIA, Il giudice e lo straniero. Linguaggi e culture nei percorsi giurisdizionali, ES, Napoli, 2020, pp. 165-189. L’Autore cita «l’art. 15 del Codice penale peruviano, intitolato “Error de comprensíon culturalmente condicionado.” [specificando che] Codesto ordinamento è definito “multietnico e plurinazionale e garantisce la coesistenza di un ordine giudiziario nazionale e di giurisdizioni rurali che applicano il diritto penale consuetudinario, che può essere secundum, praeter o addirittura contra legem, sempre che non vengano violati i diritti fondamentali dell’individuo» (pp. 151-152), ciò che La Corte di cassazione (sez. VI pen. sent. 26- 11-2008, n. 46300), aggiunge l’Autore, ha riassunto col termine “sbarramento invalicabile” (p. 163).
23 è la tesi dei sostenitori della Tradizione che privilegia (oppure impone, per ragioni di natura antropologica, culturale, storica e giuridica) un sistema di credenze chiuso e, sulla scorta di questa “primazia”, si riflette nello spazio pubblico come dovere in capo ai poteri pubblici di incamerarne i valori attraverso la messa a disposizione del proprio “braccio”. Seguono regole diverse a seconda se riferite alla religione maggioritaria o ai “culti ammessi”, per usare il titolo della legge n. 1159/1929 ancora in vigore nell’ordinamento italiano e destinata a disciplinare la condizione delle confessioni religiose c.d. “diverse dalla cattolica”. Il tutto in barba al dettato costituzionale che riconosce e tutela le differenze tra le religioni e i rispettivi apparati istituzionali, ma non discrimina sul piano formale, in ragione di quanto stabilito dall’art. 8, co. 1 Cost. (“Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”). Sul tema, tra i tanti, G. MACRì, M. PARISI, V. TOZZI, Diritto civile e religioni, Laterza, Roma-Bari, 2013, pp. 111-127.
24 J.S. JENSEN, Che cosa è la religione? Bulzoni, Roma, 2018, p. 128, dove, approfondendo il tema del «linguaggio religioso [rileva quanto esso sia] (…) permeato di autorità trascendente e incontestabile che gli deriva dalla sua relazione con i postulati sacri basilari».
25 F. ALICINO, La dimensione politico-religiosa dell’infosfera islamista e l’opera di contrasto e prevenzione, in ID. (a cura di), Terrorismo di ispirazione religiosa. Prevenzione e deradicalizzazione nello stato laico, APES, 2019, pp. 57 e ss., tratta in maniera accurata il problema del «radicalismo islamista [e della con- nessa] “infosfera islamista”: una macchina ideologico-confessionale che (…) sfrutta le logiche e gli strumenti mediatici forniti dalla contemporaneità, raccogliendo consenso e adesione fra svariate sacche di disagio sociale, economico, politico o finanche personale e psichico. Il che spiega la sua vocazione transnazionale che, sotto altro aspetto, si è rivelata come un potente fattore di espansione di un sistema di regole emer- genziali, definite mediante uno schema di produzione stratificato e integrato».
26 Ha sollevato critiche il Report stilato, su commissione del Governo inglese, dalla Commission on Race and Ethnic Disparities (marzo 2021) per misurare le disparità etniche e razziali nel paese. Secondo i commissioners nel Regno Unito il “razzismo istituzionale” non esisterebbe. Al contrario, secondo i laburisti, il Report sarebbe stato condizionato da una forte strumentalizzazione politica che avrebbe travisato la dimensione materiale della società inglese, dove, al contrario, sia la politica che il potere giudiziario, avrebbero evidenti racial bias. L’esempio citato può essere d’ausilio per cogliere le difficoltà che si presentano ogni qual volta la politica si trova di fronte il compito di analizzare nel profondo i cambiamenti sociali alla luce di persistenti preconcetti di natura identitaria messe sotto stress dalle culture d’importazione. Il documento può essere consultato su https://www.bbc.com/news/uk-politics-56578839.
27 MI sia consentito il rinvio a G. MACRì, Brevi note in tema di libertà di culto in tempo di pandemia, in il Dir. Eccl., 1-2, 2020, pp. 49-58.
28 M. LIPORI, La pandemia non ferma le migrazioni, in Confronti, febbraio 2021, p. 45.
29 Importante è anche il ruolo della giurisprudenza della Corte di Strasburgo la quale, basandosi sui risultati e sulle raccomandazioni dell’ECRI, ha emanato di recente alcune sentenze decisive nel rimarcare la tutela delle persone LGBTI. Nel Report 2020 si fa riferimento al caso Beizaras e Levickas c. Lituania (Application n. 41288/15, del 14/01/2020) dove si rimarca la responsabilità degli Stati di proteggere le persone vittime di odio online omofobo.
30 S. RODOTA’, Il diritto di avere diritti, Laterza, Roma-Bari, 2012, p. 32. Emblematico il caso della proposta di legge Zan e altri (“Modifiche agli artt. 604-bis e 604-ter c.p. in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere”), approvata alla Camera (il 4 novembre 2020) e trasmesso al Senato. Mentre scriviamo questo saggio, le sorti de d.d.l. Zan sono in bilico. Dal mio punto di vista, la proposta è molto buona. Non è possibile che uno Stato laico e pluralista possa tollerare che una parte dei suoi cittadini non viva la condizione di piena eguaglianza solo perché lesbiche, trans, donne o disabili. Il contenuto della proposta, oltre a fungere da fattore di deterrenza contro i crimini di odio, contiene misure di incentivazione democratica, specie laddove istituisce i centri antidiscriminazione, le campagne di sensibilizzazione pubblica, la giornata nazionale contro l’omo-lesbo-bi-transfobia e altre azioni positive. Da un lato, dunque, azioni positive di sensibilizzazione e promozione della cittadinanza, dall’altro disposizioni integrative del codice penale finalizzate a reprimere atti discriminatori diretti a nuove soggettività fino ad ora ignorate dall’ordinamento. Per uno sguardo generale sul tema in oggetto, A. CERRONE, Punire l’odio? La repressione dell’omofobia e la tutela delle minoranze, in A. SCHILLACI (a cura di), Omosessualità, eguaglianza, diritti, Carocci, Roma, 2014, pp. 58-73.
31 Cfr. La “Convention 18+”, del 18 maggio 2018, For the protection of individuals with regard to the processing of personal data, consultabile in: https://rm.coe.int/convention-108-convention-for-the- protection-of-individuals-with-regar/16808b36f1.
32 Cfr. Guidance on Apps supporting the fight against COVID-19 pandemic in relation to data protection, del 16 aprile 2020, consultabile in: https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/5_en_act_part1_v3.pdf.
33 Il Parlamento francese ha deciso, ancora una volta, di ritornare sul tema della laicità della Repubblica partendo, questa volta, dai fatti di terrorismo che dal 2015 (Charlie Hebdo) stanno mettendo a dura prova la società. Al vaglio c’è un Progetto di legge “Confortant le respect des principes de la République”, il cui scopo è quello di evitare (secondo l’opinione del Governo in carica) la pericolosa e progressiva separa- zione delle comunità religiose dal resto della società. Non si menziona l’Islam in particolare – anzi, si fa uso di una formulazione ampia tale da includere un numero esteso di soggetti connotabili in senso culturale e religioso – ma è opinione quasi unanime che il “destinatario” della legge sia innanzitutto esso, da intendersi però nelle sue declinazioni estremistiche, quelle più difficili da ricondurre “sotto l’ombrello” dei fondamenti della Repubblica. All’interno del progetto si affronta il problema del rafforzamento della neutralità e della laicità nel servizio pubblico, la lotta contro la poligamia, i matrimoni forzati, i crimini d’odio online e i cosiddetti “certificati di verginità”. C’è spazio poi per la lotta contro l’educazione familiare che tenta di mettersi in competizione con quella scolastica e il controllo delle scuole indipendenti e non parificate; si prevedono norme per rafforzare il controllo delle associazioni religiose e delle fonti di finanziamento e dirette a proteggere, attraverso una apposita Commissione, i diritti delle donne e dei bambini. La domanda che molti osservatori indipendenti si pongono è se questo approccio, ancora una volta di matrice eccessivamente giacobina (come nel caso della legge del 2004 contro l’ostentazione dei simboli religiosi nelle scuole pubbliche) gioverà veramente alle ragioni necessarie della laicità. Il testo del progetto di legge al vaglio del Senato si può leggere in: https://www.senat.fr/leg/pjl20-455.pdf. Un commento in T. VISSOL, Laïcité. Le origini della proposta di legge che spacca in due la Francia, in https://confronti.net/2021/ 02/laicite-le-origini-della-proposta-di-legge-che-spacca-in-due-la-francia/.
34 C. FAVILLI, La non discriminazione nell’Unione europea, il Mulino, Bologna, 2008,