Introduzione

I reiterati interventi pubblici del papa Jorge Mario Bergoglio hanno acutizzato la polemica sulla introduzione nell’ordinamento giuridico italiano della possibilità di acquisire la cittadinanza in base allo ius soli, cioè per il solo fatto di essere nati in territorio italiano. In realtà, a ben vedere, il pontefice argentino s’è limitato a evocare il principio (presente in taluni atti internazionali) di assicurare ai minori apolidi una cittadinanza non possedendone altra. Diversamente, si sarebbe trattato di una grave interferenza negli affari interni dello Stato italiano da parte del Capo dello Stato della Città del Vaticano, in aperta violazione del principio di separazione fra Stato e Chiesa cattolica scolpito all’articolo 7 della Costituzione repubblicana. Sarebbe stato come se da parte italiana si fosse contestato il procedimento di elezione del Pontefice ovvero si fosse pretesa una qualsivoglia modifica dell’ordinamento vaticano in tema di acquisizione della cittadinanza vaticana che di fatto compete solo alle alte gerarchie del mini Stato.

E’ vero che sovente l’attuale pontefice s’atteggia (per esempio in materia di immigrazione) come Capo politico ed in ambiti per lui del tutto extraterritoriali, obliterando che è per lui concluso da tempo il potere temporale del papa e non esiste più lo Stato Pontificio ovvero della Chiesa, inglobato nell’ex Regno d’Italia sin dal 1870.

La regola dello ius sanguinis

Fatta questa premessa, occorre ricordare che la materia della cittadinanza in Italia come in qualsiasi altro Stato, in termini di acquisizione e di perdita, rientra piena- mente e tradizionalmente nell’ambito della giurisdizione domestica dello Stato. è cioè lo Stato, ciascuno Stato, che decide legislativamente in assoluta autonomia come si acquista e come si perde la sua cittadinanza.

Non esiste nessun principio di diritto internazionale generale non scritto, né esistono norme di diritto internazionale pattizio derivanti da Convenzioni bilaterali o multilaterali, che limitino il potere esclusivo dello Stato in materia di cittadinanza. L’ordinamento giuridico italiano si è tradizionalmente ispirato in tema di cittadinanza alla regola dello ius sanguinis e così da ultimo con la riforma introdotta con le leggi del 5 febbraio 1992, n. 91, e del 14 dicembre 2000, n. 379. Secondo la regola dello ius sanguinis è cittadino italiano chi nasce da genitore italiano (padre o madre che sia). Il principio, normativamente fissato, tende a privilegiare un già esistente inserimento della persona nel contesto familiare e sociale, se non anche territoriale, italiano.

Il principio dello ius soli vorrebbe, schematicamente parlando, come cittadino italiano chi nasce in territorio italiano (o in altro luogo identificabile come soggetto alla sovranità dello Stato italiano, come ad esempio la nave o l’aeromobile appartenenti allo Stato) e per il solo fatto di tale contingenza. Pochi sono gli Stati che dispongono rigidamente in tal senso, (1) come per esempio gli Stati Uniti d’America e alcuni Paesi latinoamericani. Particolarmente emerge il caso dell’Ecuador ove la base giuridico-filosofica in materia è il principio della cittadinanza universale, ex art. 416, c. 1, n. 6), Cost., che dovrebbe improntare le relazioni internazionali, propugnando la libera mobilità di tutti gli abitanti del pianeta e la progressiva fine della condizione di straniero come elemento trasformatore delle relazioni fra Paesi, in particolare fra il Nord ed il Sud del mondo. (2) Per l’effetto si badi che in Ecuador possono essere iscritti al registro elettorale e partecipare alle elezioni politiche anche gli stranieri residenti da cinque anni (3) (in Uruguay da quindici) (4) a prescindere dalla richiesta ovvero del riconoscimento della cittadinanza. Del resto, è emblematico che, escludendo l’insieme dei Paesi che concedono il diritto di voto alle elezioni politiche agli stranieri legati da vincoli coloniali (Paesi del Commonwealth, ex colonie belghe e portoghesi, Paesi del Consiglio Nordico), ai due ridetti Paesi latinoamericani possono aggiungersi solo Cile, Malawi e Nuova Zelanda. (5)

Se il nesso fra partecipazione e cittadinanza trae origine da Marshall (6) non occorre dimenticare l’esigenza di fondare il concetto di cittadinanza sul requisito della residenza prolungata. (7) Infatti, il riconoscimento del diritto di voto agli stranieri sulla base della residenza protratta nel Paese costituisce sine dubio un passo avanti verso il raggiungimento di questo ambizioso obiettivo e si ritiene non sia un caso che ciò è avvenuto in due dei Paesi al mondo più aperti alla partecipazione popolare nel governo statale. Per certo a fronte dei poderosi processi migratori dell’ultimo secolo, per cui la componente straniera della popolazione residente è aumentata notevolmente in molti Paesi, tanto da non poter essere più ignorata, il requisito della cittadinanza potrebbe in teoria essere ripensato rispetto alla classica bipartizione ius sanguinis vs. ius soli. Tuttavia, occorre considerare che l’operatività della regola della acquisizione della cittadinanza in ragione del luogo della nascita, presuppone l’ampiezza territoriale dello Stato e il rapporto con la consistenza della popolazione ivi già esistente, oltre che l’esistenza ovvero inesistenza di una tradizione in tal senso nello Stato che prevede tale possibilità di acquisto della cittadinanza (la quale si deve confrontare anche con il modo di essere dell’organizzazione sociale ed economica dello Stato stesso). Al riguardo occorre infatti precisare che ben anche l’ordinamento giuridico italiano già prevede forme di acquisizione della cittadinanza fondate sullo ius soli in ragione dell’esigenza di limitare il più possibile i casi di apolidia (e in questo senso si possono ben rinvenire plurime indicazioni nascenti dal diritto internazionale generale e dal diritto internazionale pattizio). (8)

Ius soli e ordinamento italiano

Conseguentemente, la regola dello ius soli, ancorché in ambiti definiti, è presente nell’ordinamento italiano in due casi: per nascita sul territorio italiano da genitori ignoti ovvero apolidi o comunque impossibilitati a trasmettere la propria cittadinanza secondo la legge dello Stato di appartenenza o di provenienza.

Ma non solamente in questo ambito trova applicazione in Italia la regola dello ius soli. Come già prevede la legislazione vigente, il cittadino straniero nato in Italia e quivi residente fin dalla nascita, può, al raggiungimento della maggiore età, chiedere e ottenere pur in assenza di tutte le condizioni normalmente richieste negli altri casi (reddito, incensuratezza, etc.), la cittadinanza italiana. Tale facoltà, tuttavia, può essere esercitata entro il termine di un anno dal conseguimento della maggiore età. Decorso tale termine, la cittadinanza è conseguibile solo nel rispetto delle norme ordinarie in materia.

Il disegno di legge in discussione al Parlamento

L’attuale disegno di legge in discussione al Parlamento italiano introduce, in realtà, ma in modo surrettizio, una sorta di automatismo tra luogo di nascita e acquisizione della cittadinanza italiana (9) che secondo calcoli riguarderebbe ben 600 mila minori stranieri. (10) Rimodula, in verità, in modo più favorevole l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte di chi è nato in luogo soggetto alla sovranità dello Stato italiano. (11) Si prevede, infatti, che la richiesta di cittadinanza italiana in base allo ius soli può essere avanzata da almeno uno dei genitori stranieri che sia titolare del diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, o sia in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo di cui all’art. 9 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.

La richiesta in questione deve essere avanzata dal genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale entro il compimento della maggiore età da parte del minore il quale, peraltro, entro due anni dal raggiungimento della maggiore età può rinunciare alla cittadinanza italiana se in possesso di altra cittadinanza.

Per il resto, rimangono valide le norme attualmente in vigore salvo il prolungamento del termine da uno a due anni dal compimento della maggiore età perché l’interessato possa chiedere la cittadinanza italiana.

Il disegno di legge all’esame del Parlamento introduce, inoltre, un innovativo ius culturae nel senso che il minore ancorché non nato in Italia ma quivi giunto prima del compimento del dodicesimo anno di età, può chiedere e ottenere la cittadinanza italiana se ha frequentato, e con esito positivo, per almeno cinque anni corsi scolastici del sistema nazionale d’istruzione o «percorsi di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale idonei al conseguimento di una qualifica professionale».

A parte che la conclusione positiva del corso di studi è richiesta solo nel caso di frequenza del corso di istruzione primaria (il che appare una mera norma tanto monca quanto suggestiva), nessuna norma di diritto internazionale generale o di diritto internazionale pattizio prevede una tale modalità di acquisto della cittadinanza facendone obbligo agli Stati di concederla. Anche in tali casi la cittadinanza può essere “rinunciata” da parte dell’interessato entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.

Si prevede altresì, e in modo peraltro contrastante con la precedente previsione di cui ora si è detto, che anche chi ha fatto ingresso nel territorio nazionale prima del compimento della maggiore età (dunque anche un giorno prima!) può chiedere e ottenere la cittadinanza italiana se è stato residente in Italia almeno sei anni e ha frequentato un ciclo scolastico, conclusosi positivamente (del quale non si specifica la durata) ovvero abbia partecipato ad un «percorso di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale con il conseguimento di una qualifica professionale». Deve anche dirsi che il disegno di legge in questione pone come condizione che la persona abbia fatto ingresso nel territorio nazionale nel rispetto delle norme vigenti in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e ai fini del periodo di residenza legale si calcola come termine iniziale la data di rilascio del primo permesso di soggiorno e contestuale iscrizione alla anagrafe della popolazione residente.

Quel che, tra le altre cose, appare sorprendente è che non incide sul periodo di residenza legale l’assenza dal territorio italiano determinata dalla necessità di adempiere agli obblighi militari in un altro Stato. Quanto questo si concili con il criterio della integrazione nella comunità nazionale (che vorrebbe essere presupposto e ratio del provvedimento in commento) resta un interrogativo senza risposta.

Si registra, inoltre, una singolare violazione del principio di presunzione di conoscenza della legge nazionale (e anche questo mal si concilia con il presupposto e lo scopo della integrazione che si vorrebbe favorire) la circostanza che l’Ufficiale dello stato civile debba comunicare a chi può esercitarne le facoltà previste, quanto prevede il disegno di legge in questione, ove questo venisse approvato nel testo esistente. Si omettono di commentare le ulteriori disposizioni contenute nel disegno di legge che certamente non si segnala per chiarezza e univocità interpretativa, e si segnala ancora come il provvedimento in esame introduce con l’ius culturae qualcosa di molto di più di un acquisto della cittadinanza italiana in base allo ius soli e cioè per il solo fatto di essere nato in luogo sottoposto alla sovranità nazionale italiana.

In conclusione, anche il minore che non è nato in Italia può chiedere e ottenere la cittadinanza italiana per il solo fatto di avere partecipato a un corso di studi triennale conducente al conseguimento di un titolo, appunto, professionale.

Come si è detto, lo ius culturae non è previsto da nessuna norma di diritto internazionale generale o convenzionale. Gli atti internazionali rilevanti al riguardo (e segnatamente la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, adottata a New York il 20 novembre 1989 ed entrata in vigore in Italia il 2 settembre 1990), non prevedono nulla in materia di cittadinanza ma fissano l’obbligo per lo Stato di consentire al minore l’accesso all’istruzione, che è ben altra e differente cosa.

La situazione complessiva, come si determinerebbe in caso di approvazione del disegno di legge in questione, rende sostanzialmente imprevedibile il numero di casi di acquisto della cittadinanza italiana e svincolerebbe, come si è detto, tale acquisto dal criterio che dovrebbe essere irrinunciabile, dell’avvenuto e stabile inserimento della persona nella comunità nazionale di accoglienza.

Cittadinanza per ius soli e ordinamento dell’Unione Europea

è opportuno, comunque, evidenziare che vi sono ricadute anche nei confronti dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea (UE) e nei rapporti dello Stato membro con l’Unione stessa, nel caso in cui il disegno di legge in questione, così come formulato, venisse approvato dal Parlamento.

In altri termini, aumenterebbe (e in tempi più brevi) il numero dei cittadini italiani che, in forza delle regole dell’UE e segnatamente in forza del principio generale della libertà di circolazione e dell’accesso ai pubblici impieghi consentiti, oltre che per quel che riguarda l’esercizio del diritto di voto, potrebbero liberamente trasferirsi negli altri Stati membri dell’UE e ivi esercitando i correlati diritti di stabilimento e/o di prestazione di servizi. Dunque, incidendo in maggior misura sulle realtà sociali ed economiche degli altri Stati membri dell’UE. (12)

Cittadinanza e dominio riservato statale

Si è detto che la materia della cittadinanza per i suoi diversi aspetti della acquisizione e della perdita rientra nel cosiddetto dominio riservato dello Stato. A tale riguardo va precisato ancora che nessuna norma di diritto internazionale generale o pattizio impone agli Stati una o altra regolamentazione legislativa della materia. Ciò non significa che il diritto internazionale generale (e per taluni aspetti anche il diritto internazionale pattizio) sia indifferente alla questione concernente la cittadinanza. Si pensi alla problematica relativa all’esercizio della protezione diplomatica, al trattamento dello straniero, al divieto di espulsione in massa di stranieri, alla concessione a scopi emulativi della cittadinanza dello Stato a tutti indistintamente gli abitanti di uno Stato terzo o di parte di uno Stato terzo (misura comunque inefficace alla stregua del diritto internazionale pubblico), o si pensi ancora alla necessità dell’individuazione della cittadinanza e sulla base del criterio della effettività in caso di plurime cittadinanze in capo allo stesso soggetto.

Né il diritto internazionale privato manca di considerare la cittadinanza per una molteplicità di aspetti e di esigenze quali potrebbero essere, tra gli altri, il criterio individuativo della legge applicabile al rapporto negoziale o la individuazione del Foro competente, ovvero ai fini dell’accertamento della “internazionalità” del rap- porto contrattuale o extracontrattuale.

La cittadinanza e il diritto internazionale pubblico e privato

Quanto  precede  evidenzia  come  il  rapporto  di  cittadinanza  sia  tenuto  in  considerazione per molteplici aspetti e situazioni rilevanti per il diritto internazionale pubblico e privato onde, e conclusivamente, il diritto internazionale non disciplina, non può disciplinare, direttamente lo status civitatis delle persone, ma non è indifferente rispetto a questo.

La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, adottata a New York il 20 novembre 1989 ed entrata in vigore in Italia il 2 settembre 1990 (che ha avuto un numero particolarmente alto di ratifiche pari a 193), in nessuna sua disposizione obbliga gli Stati ratificanti a riconoscere ai minori la propria cittadinanza per il solo fatto di essere nati in luogo soggetto alla loro sovranità.

Il diritto riconosciuto ai minori in materia è meglio e chiaramente espresso dall’art. 24, par. 3, del Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966, che stabilisce come «ogni fanciullo ha diritto ad acquistare una cittadinanza». Ovviamente, nel caso in cui già non ne possieda una di altro Stato. Ancor meglio si percepisce qual è la direttrice politica che si intende perseguire, e cioè quella di limitare e di non creare situazioni di apolidia. In questo senso s’è espressa, in particolare, la stessa Corte Interamericana dei Diritti Umani con sede a San Josè in Costarica, con specifico riguardo a quanto prevede l’art. 20 della relativa Carta.

Nello stesso senso dispongono la Convenzione per la tutela dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie delle Nazioni Unite del 18 dicembre 1990 (entrata in vigore il 1° luglio 2003), così come anche la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli. Inoltre, la Carta araba dei diritti dell’uomo adottata il 15 settembre 1994 con Risoluzione n. 5437 dal Consiglio della Lega degli Stati Arabi (emendata in occasione del Summit della Lega Araba del 22-23 maggio 2004) ed entrata in vigore il 15 marzo 2008, ha deliberato riguardo al diritto del minore di ottenere la nazionalità iure sanguinis in forza del diritto della madre di trasmettere la propria nazionalità al figlio. (13)

Conclusioni

Conclusivamente il diritto internazionale impone agli Stati di attribuire o individuare una cittadinanza per i minori, attribuendo a essi la propria cittadinanza ove nati sul proprio territorio, ma allo scopo di evitare l’insorgere di una situazione di apolidia dei minori stessi. è ben evidente, quindi, che, come si è detto, nulla si può ricavare dal diritto internazionale vigente nel senso di un obbligo dello Stato di attribuire la propria cittadinanza a chi è nato in luogo sottoposto alla sua sovranità se non, si ribadisce, per l’esigenza di evitare l’insorgere di situazioni di apolidia. In questi limiti e solo a tale specifico scopo si può parlare di un obbligo internazionale giuridicamente sussistente per gli Stati che in alcun modo involge anche il cd. ius culturae, che appare come una mera costruzione di politica del diritto tutta italiana quale fon- data sul concetto del liberalismo globalista. (14)

Fabio Ratto Trabucco – Professore a contratto in Diritto Pubblico Comparato presso l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale.

NOTE

1 In tema, cfr.: M. SAVINO  (cur.), Oltre lo ius soli. La cittadinanza italiana in prospettiva comparata, Napoli, 2014, J. SHAW, The Transformation of Citizenship in the European Union. Electoral Rights and the Restructuring of Political Space, Cambridge, 2007, 18 ss.; J.W. GUENDELSBERGER, Access to Citizenship for Children Born Within the State to Foreign Parents, in «American Journal of Comparative Law», 1992, 428.

2 Cfr. J. RAMíREZ  GALLEGOS, Construyendo más democracia. Analisis del sufragio migrante en Ecuador, in «De- mocracia», 2013, 1, 261-286.

3 Art. 63, c. 2, Cost.

4 Art. 78, Cost.

5  Cfr.  R.  HAYDUK,  Queens  College  of  the  City  University  of  New  York  (CUNI),  blog  reperibile  all’indirizzo https://ronhayduk.com/wp-content/uploads/2013/03/Voting-Rights-World-Table-Eng-D2.pdf.

6 Cfr. T.H. MARSHALL, Citizenship and Social Class and Other Essays, Londra-New York, 1950.

7 Cfr. M.A. PRESNO LINERA, El sufragio de los extranjeros residentes en las elecciones generales como exigencia de una ciudadanía democrática, in «Revista Europea de Derechos Fundamentales», 2016, 27, 257-283.

8 Cfr. A. EDWARDS, L. VAN  WAAS, Introduction, in Nationality and Statelessness under International Law, Cam- bridge, 2014, 1-2 e S. FORLATI, Nationality as a Human Right, in A. ANNONI, S. FORLATI  (cur.), The Changing Role of Nationality in International Law, Londra-New York, 2013, 18 ss.

9 Atto Senato n. 70, d’iniziativa Grasso ed altri, comunicato alla Presidenza il 23 marzo 2018.

10 Cfr. A. CAMILLI, Cos’è lo ius soli e come funziona la cittadinanza in altri Paesi europei, in «Internazionale», 21 giugno 2017.

11 Cfr. P. GARGIULO, Il diritto di essere cittadini del Paese in cui si è nati: riflessioni interdisciplinari sulla (perdurante) necessità della riforma della legge italiana sulla cittadinanza, in «Diritti umani e diritto internazionale», 2019, 1, 49-52.

12 Cfr. P. GARGIULO, Le forme della cittadinanza. Tra cittadinanza europea e cittadinanza nazionale, Roma, 2012.

13 Art. 29, par. 2.

14 Sulle svariate posizioni espresse in tema di riforma della cittadinanza, cfr. l’ebook Ius soli ius culturae. Un dibattito sulla cittadinanza dei giovani migranti, Associazione Neodemos, 2017.

Info sull'autore

aidlr