Il finanziamento pubblico delle religioni, nella varietà delle sue forme possibili, attiene a uno snodo nevralgico delle relazioni ecclesiasticistiche e della tutela promozionale della libertà religiosa. Esso fa leva sull’impegno dei pubblici poteri, costituzionalmente fondato, al sostegno di Chiese, confessioni e gruppi religiosi e degli interessi religioso-sociali che esse rappresentano e veicolano ed è destinato a caricare su di sé le tensioni che interessano questo impegno come conseguenza di un nuovo modo di guardare alla libertà religiosa e alle sue proiezioni sociali e giuridiche.

L’iniziale e generico riferimento alla libertà religiosa quale sua ragione giustificatrice si è arricchito nel tempo di nuovi significati nella misura in cui vi hanno inciso le trasformazioni del contesto sociale e culturale e le conseguenti dinamiche istituzionali che queste trasformazioni hanno comportato. Si tratta di dinamiche evolutive complesse e di difficile interpretazione, che però trovano nella rinnovata consapevolezza dell’importanza sociale del fattore religioso, del suo carattere diffuso e della sua capacità orientativa dei comportamenti umani un elemento di valutazione condiviso, importante e fruttuoso (1).

Si aggiunga che nell’attuale contesto storico, profondamente segnato dalla crisi economica, finanziaria e monetaria, il tema assume un innovato rilievo, condizionato dai richiami a una più rigorosa politica di contenimento della spesa pubblica, di razionalizzazione e riorganizzazione delle risorse nonché dalla sempre più crescente sensibilità dell’opinione pubblica rispetto alla destinazione dei fondi pubblici. Ne emerge un quadro di riferimento sistematico mutevole, caratterizzato da nessi e interrelazioni di una certa complessità e che, pur nella consapevolezza del carattere costituzionalmente fondato e meritorio di un meccanismo di finanziamento pubblico, ne rende disagevole una valutazione univoca. è così, più nello specifico, per il sistema dell’otto per mille e per la sua esperienza ormai trentennale.

In buona sostanza, mentre si rinvigoriscono le risalenti riserve su alcuni profili strutturali del meccanismo e sul suo ancoraggio al principio della bilateralità c.d. necessaria nei rapporti Stato-confessioni religiose (2) (in rapporto al principio della eguale libertà confessionale di cui all’art. 8, comma 1, Cost.), nuove ragioni di perplessità provengono dalla riscoperta della natura spuria delle attività finanziate e quindi dalla non chiara finalizzazione dei finanziamenti al  soddisfacimento dei bisogni religiosi dei cittadini nonché della incerta sostenibilità economica-finanziaria. In effetti, è soprattutto in questa ottica che si spiegano i più recenti interventi della magistratura contabile che non ha esitato a declinare, in maniera espressa e motivata, le ragioni delle proprie valutazioni critiche sul meccanismo e sulla sua attuale esperienza applicativa (3).

L’otto per mille tra democrazia fiscale e pluralismo religioso-confessionale

Non è possibile entrare nel dettaglio di un meccanismo che è sostanzialmente comune – salvo variazioni sulle quali si può sorvolare in questa sede – alle varie confessioni beneficiarie. Basti sottolineare, anzitutto, che il moderno sistema di sostegno finanziario della Chiesa cattolica, introdotto con la legge di derivazione pattizia ed esteso altresì anche (4) alle altre confessioni con intesa, intende porre in rilievo la libera partecipazione del cittadino, nell’ottica di una responsabilizzazione dello stesso alla vita delle comunità ecclesiali e religiose, attraverso meccanismi di autofinanziamento che valorizzano le indicazioni di destinazione dei flussi finanziari mediante il rispetto delle scelte espresse dai cittadini medesimi, consentendo di finalizzarli a determinati scopi.

Si tratta di un meccanismo di natura fiscale, ispirato a principi di proporzionalità, volontarietà e uguaglianza, in virtù del quale lo Stato devolve l’otto per mille del gettito fiscale complessivo ai fini Irpef a scopi di interesse sociale e/o di carattere umanitario a diretta gestione statale, nonché a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica o di altre confessioni religiose interessate  sulla base di intese con esse.

La destinazione delle predette somme avviene in virtù delle scelte espresse dai contribuenti mediante apposita sottoscrizione in sede di dichiarazione dei redditi. Tuttavia la scelta operata dal singolo cittadino non è correlata e/o proporzionale alla propria capacità contributiva ma esprime soltanto una preferenza di destinazione del gettito fiscale complessivo. In caso di scelte non espresse, la ripartizione del gettito avviene in modo proporzionale alle scelte espresse. Rispetto a questo schema di massima, la configurazione dell’istituto conosce però una criticità strutturale non secondaria che si è rivelata pregiudizievole per la tenuta dei suoi principi ispiratori. Il riferimento è proprio alla disciplina delle scelte c.d. non espresse, riprodotta in pressoché tutte le intese (5). In particolare, è previsto che, laddove il contribuente non esprima alcuna preferenza di destinazione, la ripartizione del gettito avvenga in modo proporzionale alle scelte espresse.

Ne deriva che a fronte dell’obbligo di devolvere la quota Irpef non vi è alcun obbligo per il contribuente di esprimere la propria preferenza. La scelta inespressa viene neutralizzata da quella espressa con l’effetto per cui «i soli optanti decidono per tutti con l’ulteriore conseguenza che il peso effettivo di una singola scelta è inversamente proporzionale al numero di chi si esprime», in violazione  del principio di volontarietà e proporzionalità.

In altri termini, il meccanismo non riconosce la  scelta inespressa come rifiuto  del sistema o volontà di non partecipare. La valuta diversamente come una sorta di implicita «delega in bianco» in favore degli optanti, i quali finiscono con il determinare l’allocazione delle risorse anche per chi non abbia effettuato tale determinazione.

Resta poi fermo il carattere selettivo dell’accesso al finanziamento pubblico, che è riservato alle sole confessioni con intesa, e che in ciò costituisce prova e riflesso delle distorsioni applicative della bilateralità ovverosia della sua difficile compatibilità applicativa con i principi di non discriminazione ed eguale libertà confessionale.

La funzionalizzazione alle esigenze religiose della popolazione e le nuove criticità del sistema

Quest’ultima osservazione trova conferma in un ulteriore aspetto problematico, di più recente emersione. Si tratta della effettiva funzionalizzazione dei flussi finanziari al soddisfacimento delle esigenze religiose delle confessioni ovvero, per il loro tramite, delle esigenze religiose della popolazione. Per la verità la questione si innesta su di un dato normativo non nuovo. Piuttosto, è nuovo il contesto di riferimento entro il quale essa si inserisce e che in effetti le conferisce  una diversa luce.

In buona sostanza, sin dall’inizio l’otto per mille è destinato a sostenere anche attività delle confessioni tradizionalmente considerate come estranee all’area della finalità religioso-cultuale ovvero della «religiosità oggettiva». Ciò ha determinato il progressivo allentamento del legame tra finanziamento pubblico ed esigenze strettamente religiose che aveva invece più chiaramente caratterizzato le previgenti forme di finanziamento di cui era beneficiaria la Chiesa cattolica.

Tale evoluzione appare in linea con l’attuale rilievo sociale e pubblico della religione. Tuttavia essa alimenta nuove preoccupazioni in termini di tutela dell’eguaglianza e di salvaguardia del pluralismo, non solo religioso e confessionale.

E infatti emergono esigenze di garanzia della parità di trattamento tra i soggetti religiosi che svolgano attività profane in aderenza al proprio messaggio di fede e i soggetti che svolgano le stesse attività ma per ragioni ideologicamente neutre. In questo caso il richiamo all’eguaglianza assume una valenza economica e si traduce nell’impegno ordinamentale al rispetto dei principi della concorrenza e del libero mercato.

Evidentemente agire sul mercato, giovandosi – in maniera più o meno diretta – di un sostegno finanziario pubblico, potrebbe risultare poco comprensibile (e giustificabile) alla luce dei principi (di nota derivazione eurounitaria) (6) ricordati da ultimo.

E’ probabilmente a queste nuove tensioni che occorre volgere lo sguardo quanto  al futuro del finanziamento pubblico delle religioni e in particolare al meccanismo dell’otto per mille.

Conclusioni provvisorie

I rilievi mossi nei confronti dell’otto per mille non sono recenti. Non è nuova in particolare la sottolineatura del tradimento delle ragioni costituzionali più profonde del meccanismo, a partire dal riferimento selettivo, quali soggetti beneficiari, alle sole confessioni religiose ovvero, tra queste, esclusivamente a quelle che abbiano stipulato un’intesa ex art. 8, comma 3, Cost (7).  Nel contempo, l’affermazione di nuove dimensioni sociali della libertà religiosa fa emergere ulteriori profili di criticità, che vanno a loro volta valutati nell’ottica della progressiva crisi di risorse pubbliche e dell’affermazione dei principi della concorrenza e del libero mercato. A venire in rilievo è così uno stato di fatto in cui a giovarsi dei flussi finanziari pubblici sono sempre più quelle attività delle confessioni religiose e dei loro enti che, pur definite «profane», aspirano a venire considerate meritevoli della medesima tutela in quanto espressive di un impegno socialmente rilevante (8). Al di là dei ricordati profili di tutela della concorrenza e del libero mercato, queste evidenze contribuiscono ad amplificare gli effetti discriminatori derivanti dall’accesso diseguale all’otto per mille.

Si può quindi osservare, conclusivamente, che la sfida che attende il sistema di finanziamento pubblico delle religioni ha riguardo proprio alla capacità di contemperare le istanze di tutela che attengono alle nuove proiezioni sociali della libertà religiosa e le esigenze, altrettanto stringenti, di tutela della parità di trattamento, senza distinzione di religione, e di eguale libertà confessionale, (ri)collocandole nel nuovo contesto sociale ed economico.

Carmela Elefante – Dipartimento Scienze Giuridiche Scuola di Giurisprudenza, Università degli Studi di Salerno

NOTE

1 Per una trattazione approfondita del tema, anche nelle sue interrelazioni sistematiche più generali, sia consentito rinviare a C. Elefante, L’«otto per mille» tra eguale libertà e dimensione sociale del fattore religioso, Torino, Giappichelli, 2018.

2 La letteratura in argomento è particolarmente ampia e qualificata. Ci  si  può  limitare  a rinviare, per un approfondimento critico del principio e delle sue controverse applicazioni, più di recente, S. Domianello, Libertà religiosa tra  bilateralità necessaria, diffusa e impropria, in A. Fucillo, Le proiezioni civili delle religioni tra libertà e bilateralità. Modelli di disciplina giuridica, Editoriale scientifica, Napoli, 2017, p. 35 s. Si veda altresì, G. D’Angelo, Repubblica e confessioni religiose tra bilateralità necessaria e ruolo pubblico. Contributo alla interpretazione dell’art. 117, comma 2, lett. c) della Costituzione, Giappichelli, Torino, 2012, p. 112 s.

3   Corte dei Conti, Deliberazione n. 16/2014/G, Destinazione e gestione dell8 per mille dell’IRPEF, 19 novembre 2014; Deliberazione n.  8/2015/G,  Destinazione  e  gestione dell’8 per mille: le misure consequenziali finalizzate alla rimozione delle disfunzioni rilevate, 26 ottobre 2015; Deliberazione n. 16/2016/G, Destinazione e gestione dell’8 per mille dellIrpef: le azioni intraprese a seguito delle deliberazioni della Corte dei Conti, 23 dicembre 2016.

4 Sulla natura «atipica della legge n. 222 del 1985» e la sua collocazione normativa  nel sistema delle fonti, si veda F. Alicino, Un referendum sull’otto per mille? Riflessioni sulle fonti, in www.statoechiese.it, ottobre 2013.

5 Il sistema dunque non comporta alcun incremento di imposta per i cittadini e la ripartizione avviene su un duplice livello: il primo relativo alle scelte effettivamente espresse dai contribuenti, che determinano, in termini percentuali, la quota spettante allo Stato e a ciascuna confessione religiosa, ed un secondo livello riguardante le scelte non espresse, il cui ammontare è distribuito in proporzione alle scelte espresse. Alcune confessioni non aderiscono al sistema dell’otto per mille. In particolare la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni rinuncia in toto di partecipare al sistema, mentre le Assemblee di Dio in Italia la Chiesa apostolica in Italia partecipano al meccanismo dell’otto per mille limitatamente alla quota derivante dalle scelte espresse mentre rinunciano alla ripartizione del secondo livello ovvero alla quota dell’otto per mille che spetterebbe loro in base al  riparto proporzionale delle scelte inespresse, in quanto viene espressamente manifestata     la volontà di rinunciare a tale quota in favore della quota statale.

6 Lo testimonia la ben nota vicenda dell’esenzione ICI/IMU prevista dalla legislazione italiana  a favore degli enti religiosi e delle loro attività “diverse”, che con la recente sentenza della Corte di Giustizia Corte di Giustizia dell’Unione Europea C-622- 623-624/16 del 6 novembre 2018 si arricchisce di un nuovo capitolo: C. Elefante, Esenzioni fiscali ed aiuti di Stato: il recupero dell’Ici sugli immobili degli enti ecclesiastici tra difficoltà e impossibilità, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2018, 3, 765-789.

7 Per tutti, G. Casuscelli, A CHIARE LETTERE – TRANSIZIONI, L’otto per mille nella nuova relazione della Corte dei Conti: spunti per una riforma, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, www.statoechiese.it, n. 41/2017.

8   Cfr., G. Casuscelli, La crisi economica e la reciproca collaborazione tra le Chiese e  lo Stato per “il bene del Paese”, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, www.statoechiese.it, ottobre 2011, p. 23.

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