Benché il fenotipo della modest fashion sia religiosamente trasversale, come dimostrano, in attuazione del concetto ebraico di tznius (1), il brand «Mimu Maxi» (2), delle stiliste Mushky Notik e Mimi Hecht, ebree hassidim di Brooklyn, e il brand «The Frock NY» (3), di Simi Polonsky e Chaya Chanin, ebree ortodosse australiane, è anche vero che il fenomeno è spesso associato soprattutto al mondo islamico, sulla base d’un preciso passo del Corano: «E di’ alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti, ai  loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non  hanno interesse  per le parti nascoste delle donne. E non battano i piedi, sì da mostrare gli ornamenti che celano. Tornate pentiti ad Allah tutti quanti, o credenti, affinché possiate prosperare» (4).

Il versante islamico della modest fashion, comunque, è oggettivamente di grande rilievo sia per la sua dimensione pecuniaria, giacché ha una spesa globale per la moda lato sensu di circa 1,8 miliardi di dollari nel 2019, sia per quella numerica, poiché, secondo il Pew Research Center, continuando i trend demografici attuali, il 30 per cento della popolazione mondiale sarà musulmano nel  2050 (5); non deve sorprendere, quindi, che le più importanti riviste di moda (Marie Claire (6), Elle (7), Harper’s Bazaar (8), e  da  ultimo  anche  Vogue (9), insieme a molte altre, compresa l’italiana Grazia) (10), abbiano da molti anni una specifica edizione dedicata ai Paesi islamici (11).

Le potenziali fashion victims musulmane sembrano essere state a lungo lontane dal mondo della moda (12), ma negli ultimi tempi stanno ricevendo un’attenzione crescente, anche grazie alla nascita dell’Islamic Fashion  and  Design  Council (13),  che pone in collegamento gli stilisti musulmani con le aziende di moda, anche perché la potenza d’acquisto nel mercato della modest fashion lato sensu (compresi cosmetici) è stimata in 500 miliardi di dollari, ossia un enorme potenziale  che nei prossimi anni potrà crescere ulteriormente, giacché il 60 per cento della popolazione musulmana ha un’età inferiore ai 30 anni, e in larghissima parte desidera abbigliarsi in modo moderno, ma al contempo rispettando le  regole della propria religione (14).

Ciò vale in particolar modo per le donne, dato che negli ultimi 15 anni milioni di donne musulmane sono entrate nel mondo lavorativo: se nel 2003 esse erano (solo) 100 milioni, oggi il loro numero ha già  oltrepassato i 150  milioni, e si tratta di donne giovani, moderne e con un cursus studiorum di elevato livello, che presuppone elevate capacità di spesa: le Millennials musulmane (di cui oggi più di un terzo ha meno di 15 anni, e quasi due terzi meno di 30) sono collegate digitalmente, si sposano più tardi e hanno un reddito più elevato rispetto al passato, sicché si possono rivolgere a quella Weltanschauung che eventi come, appunto, il Muslim Lifestyle Expo (15) di Manchester, giunto alla quinta edizione, offrono ai marchi dell’art de vivre islamica, dal cibo halal, ai viaggi, alla finanza, alla moda – appunto -, in cui sono particolarmente apprezzate dalle donne musulmane viventi in Europa e negli Stati Uniti quelle griffes, in primis italiane, ma anche francesi, che mostrano di voler unire, nelle collezioni specificamente islamiche, un brand occidentalizzato e valori tradizionali (16).

Le donne musulmane, principale target dei produttori di modest fashion, hanno alcuni elementi di grande rilevanza per lo sviluppo di questi mercati: sono molto giovani, come risultato del ‘baby boom’ del mondo islamico, sono ora la maggioranza nei corsi universitari nei Paesi musulmani, in particolare quelli delle c.d. discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica/finanza), ovvero lavorano in settori con retribuzioni elevate, e, nello specifico, quasi 50 milioni di donne musulmane sono entrate nel mondo del lavoro dall’inizio del nuovo millennio: le alte disponibilità di spesa, unite ad alti livelli di istruzione, rendono quest’enorme mercato particolarmente ricettivo verso beni ad alto valore aggiunto, anche top di gamma, nell’ambito del cibo, della salute,  ma anche della moda (17).

Se l’attività professionale anche ad alti livelli non costituisce una novità assoluta per il mondo islamico femminile, giacché la stessa Khadija, moglie di Maometto, era un’abile e ricca commerciante di successo, tuttavia l’entità numerica della forza lavorativa femminile islamica formatasi in questi ultimi anni, altamente qualificata e impegnata nei settori dei mercati emergenti della finanza islamica, delle nuove tecnologie, ha aperto un nuovo panorama di opportunità economiche per le donne musulmane che, pur restando rispettose delle tradizioni su base religiosa, hanno sviluppato attitudini all’acquisto diverse e più moderne rispetto a quelle delle loro madri e nonne, sicché, grazie al fatto che ormai la presenza d’un doppio stipendio è diventata caratteristica molto comune anche nei Paesi islamici, si è creata una classe media e medio-alta di coppie urbane con aspirazioni alla mobilità sociale e agli status symbol che non siano in contrasto con i precetti coranici (18).

Il 10 per cento circa della popolazione del pianeta è costituita da donne musulmane, ossia quasi 800 milioni di persone, vale a dire un numero superiore alla popolazione complessiva europea: persone di crescente istruzione e conseguente reddito, che certamente, pur avendo radici valorial-culturali comuni, basate sull’appartenenza alla Ummah, non sono un monolite unitario, ma hanno gusti differenti a seconda dei Paesi in cui vivono (19), e i loro redditi e le loro ricchezze patrimoniali saranno molto probabilmente fattori di prosperità e stabilità nei rispettivi Paesi (20).

Che cos’è la modest fashion?

L’interpretazione è varia, ma in generale si intende uno stile d’abbigliamento che lasci il corpo sostanzialmente coperto. A febbraio 2017 si è svolta per la prima volta a Londra la settimana della modest fashion che, pur nascendo dall’osservanza religiosa, sta guadagnando attenzione anche da parte di clienti mosse dal  semplice  apprezzamento per una moda «no-skinny», molto tranquilla, ossia vestiti, caftani, pantaloni più lunghi, più larghi, eleganti e alla moda pur nel rispetto dei precetti religiosi tradizionali: un capo d’abbigliamento tipico, amato soprattutto dalle musulmane della penisola arabica, è l’Abaya, con o senza cappuccio per coprire i capelli, che è stata sviluppata già a partire dal 2014 da Donna Karan (21), e poi da Dolce e Gabbana (22), ed è oggi anche in fantasie glam, con colori vivaci (23).

Anche altri brand si sono accorti di quest’enorme mercato potenziale e cercano di inserirvi i propri prodotti: per esempio la Nike ha introdotto lo hijab atletico (24), in tessuto tecnico, che permette di svolgere attività sportiva anche di alto livello (25); altri marchi, dal canto loro, come Donna Karan, Oscar de la Renta, Tommy Hil- figher, Max Mara, Monique Lhuillier, ma anche Zara, hanno prodotto capsule- collections in occasione del Ramadan, così come la giapponese Uniqlo ha introdotto due linee di modest fashion (26). Nel marzo 2017 è nata una piattaforma di e-commerce specifica per l’abbigliamento modest (27), che ha avuto un tale successo da stringere un accordo di collaborazione con un gigante della vendita online dell’abbigliamento di lusso (28).

L’attenzione generale verso questo mercato nuovo è evidenziata dalla nascita, a Londra, nel 2014, dell’Arab Fashion Council (29), che raccoglie le industrie fashion di 22 Paesi arabi, e che a propria volta ha creato l’Arab Fashion Week (30) a Dubai, ormai prossima al livello d’importanza delle altre celebri settimane della moda (New York, Londra, Milano, Parigi); nella stessa direzione si sono poste la Fashion Week di Torino (31), quella di Jakarta (32) e quella della Malaysia (33); crescenti sono i casi, ormai, in cui si crea una commistione fra moda «ordinaria» e moda «fashion» nelle stesse sfilate: nella settimana della moda del 2016 a New York, infatti, fra gli stilisti presenti fece scalpore la  griffe d’Anniesa Hasibuan, che per prima fece sfilare delle modelle con hijab: v’è, ormai, un generale riconoscimento e rispetto globali e per la cultura musulmana e per la sua influenza commerciale (34).

Il fatto che la modest fashion stia aiutando a definire una narrativa sociale e culturale, peraltro, è confermato dalla mostra che il Fine Arts – de Young Museum di San Francisco le ha dedicato pochi mesi fa: «Contemporary Muslim Fashions», una mostra dedicata alla moda musulmana contemporanea, ove le donne musulmane sono rappresentate come ambasciatrici di una modest fashion all’avanguardia (35), di cui fenotipo estremo è forse il numero speciale Swimsuit 2019 della famosa rivista americana Sports Illustrated che avrà in copertina la modella Halima Aden, indossando l’hijab e vestendo modest fashion (36).

Il fatturato e la redditività della modest fashion continuano a crescere, grazie a un lento ma costante aumento di Millennials religiose (37) in linea con l’ascesa di Instagram e delle influencer di moda, per lo più giovani donne con elevato livello d’istruzione e redditi medio-alti o alti, hanno cercato su Internet una soluzione alle – sino a quel momento – limitate scelte di moda, ottenendo il risultato di far crescere e dare visibilità al movimento di modest fashion e a una nuova  generazione di bloggers e influencers: è un focus molto allettante per il business della moda (38).

Secondo i dati dell’ultimo rapporto Reuters, il solo mercato della modest fashion stricto sensu è stato di 270 miliardi di dollari nel 2017, ha un tasso di crescita del 5 per cento annuo, ed è previsto arriverà a 360 miliardi di dollari nel 2023; la modest fashion sta diventando sempre più competitiva, con l’ingresso di griffes e brands globali che hanno già una grande copertura sui media, sia nel segmento luxury, sia in quello mainstream: Marks & Spencer ha lanciato una propria linea di modest fashion (39), e parimenti H&M ha lanciato la propria, chiamata Verona Collection (40), che è un’intera linea che include anche hijabs, e non è solo una capsule-collection per il Ramadan, come hanno invece fatto altre griffes tipo Carolina Herrera, Michael Kors e Massimo Dutti (41); D&G continua a promuovere le proprie abayas di modest fashion e collabora con modest-influencers come la modella Ruba Zai (42), apparsa sulla copertina dell’edizione olandese di Vogue, mentre hanno fatto sfilare i proprî abiti indossati – con l’hijab – dalla modella Halima Aden (43); uno dei più importanti siti d’e-commerce di luxury fashion ha selezionato alcune centinaia di capi della moda ‘ordinaria’ che possono rientrare tranquillamente nella modest (44); la casa cosmetica Lancôme ha chiamato per la pubblicità per la prima volta un’attrice musulmana che indossa il velo, Neelofa (45); e, infine, last but not least, la Maison Dior per la prima volta ha portato la sfilata couture Spring/Summer 2019 a Dubai, inserendo nella collezione alcune creazioni pensate per lo stile locale (46).

Stefano Testa Bappeheim – Docente di Diritto ecclesiastico presso la Scuola di Giurisprudenza dell’Università di Camerino

NOTE

1   V.  E. FALK, The Tznius Handbook, New York,  2010, pp. 69 ss.; ID., Modesty:    An Adornment for Life, New York, 1998, pp. 102 ss.; https://www.vogue.com/article/orthodox-judaism-fashion-laws-of-modesty.

2   https://www.mimumaxi.com/, https://www.instagram.com/mimumaxi/

3   https://thefrocknyc.com/, https://www.instagram.com/thefrocknyc/

4 Sura 24, n. 31, v. M.G. BELGIORNO DE STEFANO,  La  comparazione  del  diritto  delle Religioni del Libro, Roma, 2002, passim.; T. RIMOLDI, Le donne nell’ordinamento della Chiesa Avventista del Settimo Giorno, in qdpe, 2018, pp.  115 ss.; O. FUMAGALLI CARULLI, L’identità della donna, in AA.VV., Diritto, persona e vita sociale, II, Milano, 1984, pp. 506 ss.

5   https://www.pewforum.org/2010/02/17/religion-among-the-millennials/;

v. J. CAMERON, Modest Motivations: religious and secular Contestation in the Fashion Field, in R. LEWIS, Modest Fashion: Styling Bodies, Mediating Faith, London, 2013, pp. 137 ss.; F.  DE GREGORIO, Il peccato e tre sostantivi per ottenere la salvezza celeste, in AA.VV., Pensiero giuridico e riflessione sociale, Torino, 2017, pp. 353 ss.; J.I. ARRIETA, La salus animarum quale guide applicativa del diritto da parte dei pastori, in IE, 2000, pp. 343 ss.

6   https://ellearabia.com/

7   https://marieclairearabia.com/

8   https://www.harpersbazaararabia.com/

9   https://ar.vogue.me/

10   http://www.graziainternational.com/edition/qatar/, https://www.graziame.com/

11 E.M. BUCAR, The Islamic Veil: A Beginner’s Guide, London, 2012, pp. 51 ss.; P. CONSORTI, Identità religiosa nelle società multiculturali, in M.V. NODARI (a cura di), Laicità e libertà religiosa, Vicenza, 2013, pp. 139 ss.; R. LEWIS, Muslim Lifestyle Magazines: A New Mediascape, in AA.VV., Muslim fashion: contemporary style cultures, Durham, 2015, pp. 109 ss.

12   M. VENTURA, Il rischio degli stereotipi giuridicoreligiosi, in d., 2007, pp. 203 ss.;

B. PRAS – C. VAUDOUR-LAGRACE, Marketing et Islam, in Rev. fr. Gest., 2007, pp. 195 ss.

13   http://ifdcouncil.org/

14 D. SALIM, Mediating Islamic Looks, in E. TARLO – A. MOORS, Islamic Fashion and Antifashion: New Perpsectives from Europe and North America, London – New York, 2013, pp. 209 ss.

15   https://www.muslimlifestyleexpo.co.uk/

16 M.D. DRIESSEN, Regime Type, Religion-State Arrangements and Religious Markets in the Muslim World, in Soc. Rel., 2014, pp. 367 ss.; A. AL MAKRAMI – D. YEN, Brand values     and the Islamic market, in T.C. MELEWAR – S.F. ALWI, Islamic Marketing and Branding: Theory and Practice, Milton, 2017, pp. 118 ss.; A. MANTINEO, Islam: dal pregiudizio ai  diritti. A partire dal Sud, in AA.VV., Atti del Campus IUS/11, Cosenza, 2018, pp. 259 ss.

17   J. PINK, Muslim Societies in the Age of Mass Consumption: Politics, Religion and Identity between the Local and the Global, Cambridge-New Castle upon Tyne, 2009, pp. 80 ss.

18 C. JONES, Women in the Middle: Feminity, Virtue and Excell  in  Indonesian  Discourses  of Middle Classness, in AA.VV., The Global Middle Classes: theorizing  through  Ethnography, Santa Fe, 2012, pp. 145 ss.; A. BETTETINI, Il valore aggiunto dei  processi  di istituzionalizzazione della famiglia rispetto  alla  sua  privatizzazione,  in  P.  DONATI  (a  cura di), Riconoscere la famiglia: quale valore aggiunto per la persona e la società? Cinisello Balsamo, 2007, pp. 293 ss.

19   R. LEWIS, The commercial limits of the Ummah? National and regional taste distinctions in the modest fashion market, in A. JAFARI – Ö. SANDIKCI, Islam, Marketing and Consumption: critical Perspectives on the Intersections, London, 2016, pp. 103 ss.

20 S.B. KAISER, Fashion and cultural Studies, London, 2012, pp. 52 ss.; M. D’ARIENZO, L’economia islamica nella globalizzazione dei mercati, in DeR, 2017, pp. 517 ss.

21   https://www.vogue.in/content/dkny-launches-special-ramadan-collection#dkny-launches-a- special-ramadan-collection.

22   https://www.vogue.com/article/dolce-gabbana-hijab-abaya-collection. https://twitter.com/dolcegabbana/status/943062551440609285.

23   https://www.thetimes.co.uk/article/is-your-hijab-ab-fab-6l62kbf8n6g.

24   https://www.nike.com/it/t/hijab-pro-y7mzD8.

25   https://fie.org/athletes/22258, la schermitrice Ibtihaj Muhammad, la prima atleta statunitense a partecipare alle Olimpiadi indossando lo hijab: varie medaglie d’oro a campionati mondiali di scherma, medaglia di bronzo nella sciabola a squadre alle Olimpiadi 2016.

26   https://www.uniqlo.com/my/store/celebrate/hari-raya-2019/lookbook.html, https://www.uniqlo.com/my/store/women/collections/hana-tajima.html.

27   https://www.themodist.com/en/.

28   https://uk.fashionnetwork.com/news/The-Modist-partners-with-Farfetch-as-modest-fashion- sales-rise,1015903.html.

29   https://arabfashioncouncil.com/, v. A.E. KHAISHGI, Time for Islamic Couture, in The National, https://www.thenational.ae/uae/time-for-islamic-couture-1.649830.

30   http://arabfashionweek.org/.

31   https://www.tfwofficial.com/.

32   https://www.jakartafashionweek.co.id/.

33 V. FRIEDMAN, Reading the Subtleties of Islamic Fashion, in New York Times, 27 novembre 2014, https://www.nytimes.com/2014/11/27/fashion/reading-between-the-seams-at- the-islamic-fashion-festival-in-malaysia.html.

34 E. BUCAR, Pious Fashion: How Muslim Women Dress, Cambridge (Harvard), 2017,  pp. 171 ss.

35   https://deyoung.famsf.org/exhibitions/contemporary-muslim-fashions.

36   https://www.si.com/swimsuit/model/halima-aden/2019/photos#1.

37 M. CRACIUN, Islam, Faith and Fashion, London – New York, 2017, pp. 131 ss.

38   M. KARATAS – Ö. SANDIKCI, Religious Communities and the Marketplace: Learning and Performing Consumption in an Islamic Network, in Mark. T., 2013, pp. 465 ss.

39   https://www.mysalaam.com/en/story/one-of-the-largest-us-retailers-will-soon-be-selling-a- hijab-fashion-line/SALAAM04022018105602.

40   https://www.macys.com/shop/womens-clothing/verona-collection?id=170046.

41   https://www.thenational.ae/lifestyle/fashion/ramadan-2018-10-modest-fashion-forward- collections-1.730058.

42   https://www.instagram.com/hijabhills/,https://emirateswoman.com/this-hijabi-style-icon- is-the-star-of-dolce-gabbanas-new-campaign/.

43   https://en.vogue.me/fashion/models/dolce-gabbana-alta-moda-2018/.

44   https://forward.com/life/style/388412/net-a-porter-has-a-modest-fashion-section/.

45   https://emirateswoman.com/this-malaysian-actress-is-lancomes-first-hijabi-ambassador/. 46   https://www.youtube.com/watch?v=1DNBjfYmwUM.

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