L’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani (1) definisce la libertà di religione e di credo: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico    che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti».

Ecco una definizione spesso utilizzata per spiegare lo sviluppo sostenibile:

«Quello sviluppo che soddisfa le necessità del presente senza compromettere la capacità per le generazioni future di soddisfare i loro» (2)

Quale può essere il collegamento tra questi due concetti apparentemente molto diversi?

Il nesso emerge con chiarezza quando allarghiamo il concetto di sviluppo fino a coprire l’economia umana, o quello che viene definito sviluppo umano integrale (3), una visione positiva del benessere dell’uomo articolato nel moderno insegnamento cattolico sul sociale e condiviso da numerose altre tradizioni. L’idea centrale è che la dignità umana non solo si esprime con il lavoro e l’attività economica, ma anche grazie alla creatività e alla ricchezza artistica e culturale, così come nella pratica e nell’appartenenza religiosa e spirituale. E, ancor più profondamente, come sintetizzato da papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ (4) la nostra dignità  di uomini dipende dal fatto di riconoscere che viviamo tutti in una casa comune e si esprime nelle nostre relazioni e negli obblighi che abbiamo verso la famiglia,  la comunità e tutto il genere umano intorno al globo.

Le dinamiche sociali, naturalmente, sono complesse e i meccanismi causali multiformi; la libertà religiosa non è l’asso nella manica o la soluzione segreta ai mali del mondo. Non di meno, il suo ruolo – e le sue manifestazioni nella collaborazione e comprensione interculturale e interreligiosa – sono un efficace con- tributo per ottenere risultati socio-economici positivi e uno sviluppo integrale e sostenibile. Tale contributo viene spesso trascurato.

Senza dubbio alcuno mercati forti vanno di pari passo con società solide, e i migliori affari dipendono dalle buone relazioni. Ma anche le aziende socialmente responsabili e ispirate da elevati principi hanno il problema di riuscire a prosperare in contesti segnati dall’instabilità e dai conflitti, di trovare manodopera qualificata là dove manca un’adeguata formazione e dove invece regna la discriminazione, o ancora di resistere ai disastri naturali e ai cambiamenti climatici.

Il contributo della libertà religiosa allo sviluppo economico

La sintesi della ricerca che il seguente articolo intende illustrare è che la libertà religiosa contribuisce in svariati modi allo sviluppo integrale e sostenibile e alle  sue basi socio-economiche. Eccone alcuni:

1. Promuovendo il rispetto per le diverse fedi e credenze, incluse anche le persone prive di un credo; 2. Contribuendo alla diminuzione della corruzione, grazie all’espressa adesione a un’etica basata sulla fede; 3. Incentivando la pace mediante il disinnesco delle tensioni religiose, quindi riducendo la violenza e il conflitto su base religiosa; 4. Incoraggiando una libertà più ampia; 5.  Sviluppando l’economia, dato che i gruppi religiosi svolgono un ruolo misurabile nella crescita umana e sociale delle nazioni; 6. Superando l’eccesso di regolamentazioni associato per esempio a leggi blasfeme e coercitive; 7. Moltiplicando la fiducia tra impiegati la cui fede e le cui convinzioni vengono rispettate.

Punto primo: la libertà religiosa promuove il rispetto proteggendo  qualcosa che, secondo un recente studio effettuato da Pew Research (5), l’84 per cento della popolazione mondiale identifica con una fede religiosa. In realtà, secondo uno studio globale risalente al 2015 e pubblicato su Demographic Research (6), i sociologi si sono sbagliati a predire la fine della religione. Lo studio dimostra che le persone religiosamente non affiliate (compreso chi si considera ateo, agnostico e chi dice che la propria religione «non è niente di particolare») diventeranno il 13 per cento della popolazione complessiva nel 2050, rispetto al 16 per cento del 2010. Due percentuali significativamente inferiori se consideriamo il picco raggiunto negli anni ’70, sotto il comunismo, quando quasi un quinto delle persone non aveva affiliazione religiosa.

Dato il numero così elevato di esseri umani che aderiscono a una fede, violare la libera pratica della religione rischierebbe di alienare le masse, condizione non certo ideale per il progresso morale e socio-economico. A dire il vero, anche costringere quel 16 per cento di individui senza alcuna specifica fede religiosa ad abbracciarne una sarebbe alienante. La libertà religiosa assicura che agli esseri umani, senza distinzione tra chi crede e chi non crede, siano garantiti pari diritti e pari opportunità di fare sentire la propria voce nella società.

Punto secondo: la libertà religiosa limita la corruzione, uno degli ingredienti decisivi per uno sviluppo economico sostenibile. Per esempio, lo studio rivela che leggi e pratiche che gravano sulla religione sono direttamente legate a livelli di corruzione più elevati. Dato confermato dal semplice confronto tra lo studio del Pew  Research  Center’s  del  2011  sulle  restrizioni  attuate  dai  governi  in  materia religiosa (7) con quello, sempre del 2011, sulla percezione della corruzione (8). Otto dei dieci Paesi più corrotti del mondo hanno restrizioni molto spinte in tema di libertà religiosa. Il concetto stesso di libertà religiosa implica il fatto che negli affari la persona tragga ispirazione dagli insegnamenti e dai valori morali. Il tentativo di incanalare il commercio alla mercé di organizzazioni secolari, neutrali, prive di valori può essere uno dei principali fattori che innesca la corruzione, l’avidità e le decisioni di corto respiro che hanno condotto al collasso dell’economia mondiale nel 2008 e i cui effetti si fanno sentire ancora oggi su tante persone e nazioni.  Consentire  alla  religione  di  informare  l’etica  degli  affari  è  di  sicuro  una sottovalutata attività implicita alla libertà religiosa.

Punto terzo: lo studio dimostra inequivocabilmente che la libertà religiosa genera pace, grazie alla diminuzione della violenza e del conflitto di marca religiosa. Di contro, quando non viene rispettata e protetta, la violenza e il conflitto bloccano le normali attività economiche. Le ostilità e le restrizioni in tema di fede religiosa creano le condizioni per fare allontanare investitori interni e stranieri, indebolire lo sviluppo integrale e sostenibile e bloccare vasti settori economici. è il caso del ciclo continuo di ostilità e rese dei conti in Egitto, dove il turismo ha subito gravi colpi.

Più in generale la libertà religiosa è un fattore fondamentale per la pace e la stabilità, condizioni particolarmente importanti per le imprese perché, là dove vi è stabilità, esistono maggiori opportunità di investimenti e di normali e auspicabili trattative economiche, in particolare nei nuovi mercati emergenti. è questo l’argo- mento trattato dal libro The Price of Freedom Denied (9) pubblicato nel 2011 dalla Cambridge University Press.

Punto quarto: la libertà di religione incoraggia libertà più vaste che contribuiscono a un positivo sviluppo socio-economico. Per esempio, secondo l’economista e premio Nobel Amartya Sen (10) lo sviluppo della società esige la rimozione di quelle che lui definisce fonti di «non libertà», di cui fanno certamente parte le re- strizioni sulla libertà religiosa. Rimuovere tali impedimenti agevola ogni altro tipo di libertà, e lo studio mostra un’evidenza empirica per questa relazione. La libertà religiosa è altamente correlata alla presenza di altre libertà e a una varietà di conquiste sociali ed economiche virtuose che vanno da una migliore condizione sanitaria a stipendi più elevati per le donne. Se non si può parlare di un rapporto causa-effetto, le correlazioni suggeriscono che un’agenda futura più robusta dovrebbe concentrarsi su una migliore comprensione di tali connessioni, perché quanto emerge è che le libertà migliorano o crollano tutte insieme.

Punto quinto: la libertà religiosa sviluppa il benessere economico. Quando i gruppi religiosi operano in un contesto libero e competitivo, la religione può avere un ruolo misurabile nello sviluppo umano e sociale delle nazioni. Il socio- logo Robert Woodberry,11 per esempio, ritiene che la presenza di fedi protestanti che facevano proseliti, sostanzialmente in competizione con altre per conquistare aderenti, sia da associare allo sviluppo economico che ha riguardato tutto il mondo nel secolo precedente. Prima ancora Alexis de Tocqueville  riconobbe  che simili realtà protestanti costruirono seminari, locande, chiese, diffusero libri   e fondarono ospedali, prigioni e scuole negli Stati Uniti agli albori della loro sto- ria. Questi contributi non sono semplicemente un’eredità del passato. Katherine Marshall,12   ex direttrice del Development Dialogue on Values and Ethics presso   la Banca mondiale e responsabile della stessa banca in Africa e Asia orientale, ammette anch’essa che le comunità di fede non si limitano a fornire formazione scolastica e servizi sanitari, ma anche rifugi sicuri per orfani, disabili e persone cadute in disgrazia.

Punto sesto: la libertà religiosa supera l’eccessiva regolamentazione che accompagna certi tipi di restrizioni in ambito di fede, le quali limitano direttamente o danneggiano l’attività economica. Alcuni esempi attuali provenienti da Paesi a maggioranza musulmana (una serie di nazioni nelle quali sono in vigore restrizioni religiose molto serrate), sono esemplificativi di come l’assenza di libertà religiosa contribuisca al peggioramento dell’economia e del volume di affari. In quest’ultimo ambito le restrizioni assumono svariate forme. Una, diretta e impattante sul libero esercizio economico, coinvolge la finanza islamica. Per esempio le azioni legate alla creazione, all’acquisto o alla vendita di strumenti finanziari possono incappare nella valutazione di una commissione per il rispetto della legge islamica (sharia) che magari riterrà accettabile un determinato strumento, mentre un’altra commissione sarà di parere opposto, e così quel prodotto sul mercato azionario risentirà delle diverse interpretazioni della sharia. Le restrizioni religiose comprendono anche le barriere per l’import e l’export, pensiamo al mercato alimentare halal e al divieto di ingresso per alcuni film occidentali che hanno sbancato ai botteghini. Inoltre, certe leggi e limitazioni alla libertà religiosa possono alimentare ostilità con susseguenti turbolenze che colpiscono i mercati dell’intera regione.  Gli esempi spaziano dalla discriminazione nel lavoro per le donne all’obbligo di indossare il velo, fino all’abuso nell’applicazione di leggi anti-blasfemia per attaccare i rivali in affari. Lo studio rivela, ed è forse il dato più significativo per la futura crescita economica, che l’instabilità, abbinata a stringenti e crescenti restrizioni e ostilità di natura religiosa, potrà spingere i giovani imprenditori a far valere altrove i loro talenti (13).

Punto settimo: la libertà religiosa moltiplica la fiducia. Se all’interno di un’azienda essa viene rispettata, potrà portare vantaggi in termini di profitti, ovvero, costi più bassi e maggiore moralità. Alla voce costi, citiamo il caso del marchio di abbigliamento Abercrombie & Fitch che ha combattuto e perso nel 2013 una causa di discriminazione religiosa per avere licenziato una commessa musulmana perché indossava una sciarpa, in violazione al dress code dell’azienda. Il  processo è stato non solo molto costoso per la ditta di abbigliamento, ma le ha anche procurato pubblicità negativa. Il rispetto della libertà religiosa nei luoghi di lavoro, che si manifesta anche con accordi ragionevoli, può migliorare il morale dell’impiegato, agevolare la permanenza della forza lavoro più qualificata e aiutare la risoluzione dei conflitti. Oltre ciò, gli affari possono trarre vantaggio appagando le aspettative dei portatori d’interesse, i quali sempre più chiedono alle aziende  di svolgere un ruolo positivo nelle problematiche che afferiscono al contesto ambientale, sociale e direttivo. Come ammesso dal gruppo di consulenza McKinsey & Company, è chiaramente emerso ed è in costante aumento il numero dei portatori d’interesse che si definiscono etici. Inoltre, un segmento sempre più consistente di consumatori tende a privilegiare quelle aziende sensibili al tema dei diritti umani. In effetti, la preferenza attribuita da governi e consumatori ad aziende con le caratteristiche appena indicate, possono garantire a un gruppo imprenditoriale vantaggi nei mercati competitivi, consentendogli addirittura di praticare prezzi più elevati. Proprio in virtù di questo impatto che i diritti umani possono avere su un marchio, un’azienda come la Gap ha perseguito la via della responsabilità condivisa in merito alle condizioni di lavoro con cui vengono pro- dotti i suoi capi (14).

Conclusione

Dato che la libertà religiosa contribuisce a migliori affari e risultati economici, e soprattutto a uno sviluppo integrale e sostenibile, i suoi progressi rientrano nell’interesse  stesso  del  commercio,  dei  governi  e  delle  aziende.  Questa  osservazione non lascia intendere che la libertà di religione sia l’unico o il principale antidoto per evitare le crisi, suggerisce piuttosto che essa sia collegata al benessere economico. Certamente le imprese trarrebbero beneficio se considerassero nei loro piani strategici le considerazioni relative a questo tema, quelle sulla gestione del lavoro e sulle interazioni con la comunità. Per esempio, quando si tratta di valutare location nelle quali sviluppare operazioni imprenditoriali e ricerca, quei Paesi che possono vantare un buon curriculum sulla libertà religiosa, risulteranno favoriti nel confronto con aziende aperte all’innovazione e alla sperimentazione.

Brian J. Grim – Presidente della Religious Freedom & Business Foundation, USA

NOTE

1     https://www.un.org/en/universal-declaration-human-rights/index.html.

2   Our Common Future, Oxford University Press, 1987. https://global.oup.com/academic/ product/our-common-future-9780192820808?cc=de&lang=en&.

3   https://journals.openedition.org/poldev/1402.

4   http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papafrancesco_20150524_enciclica-laudato-si.html.

5   https://www.pewforum.org/2015/04/02/religious-projections-2010-2050/.

6     https://www.demographic-research.org/volumes/vol32/27/default.htm.

7   https://www.pewforum.org/2011/08/09/rising-restrictions-on-religion2/.

8   https://www.transparency.org/cpi2011.

9   https://religiousfreedomandbusiness.org/price-of-freedom-denied.

10   https://www.cambridge.org/core/journals/american-political-science-review/article/ missionary-roots-of-liberal-democracy/3D96CF5CB2F7FEB19B1835393D084B9A.

11   https://www.amazon.com/Development-as-Freedom-Amartya-Sen/dp/0385720270.

12   https://www.pewforum.org/2006/03/06/religion-and-international-development/.

13   https://www.brookings.edu/research/rethinking-the-red-line-the-intersection-of-free-speech- religious-freedom-and-social-change/.

14   https://www.realclearreligion.org/articles/2015/05/07/religious_freedom_is_good_ for_business.html.

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