Nonostante l’innegabile affermazione dei diritti umani, anche in termini legislativi, non è possibile restare indifferenti di fronte a dinamiche che attecchiscono nella vita sociale e si sviluppano in maniera inquietante. Viviamo in una fase che diversi sociologi hanno definito «interregno» -proprio per sottolineare il cambio d’epoca in atto- caratterizzato da un mutamento sociale e antropologico che ha bisogno   di essere compreso e gestito con grande attenzione. Il cambio d’epoca ha subito  in questi ultimi mesi una improvvisa e brusca accelerazione a causa della pandemia Covid 19. Le trasformazioni repentine generano spesso conflittualità che, a loro volta, producono diffidenze e chiusure. Nonostante le molte testimonianze di dedizione e sacrificio personale per salvare vite umane, la società contemporanea continua a essere pervasa da un individualismo esagerato che non percepisce positivamente le espressioni di solidarietà; l’individuo, con i suoi bisogni e le sue aspettative, tende a chiudere l’orizzonte attorno a sé, lasciando spazio a varie forme di paura e violenza che spesso si riversano sui più deboli e sui diversi.

I media condizionano la nostra vita come non mai. Siamo persone molto più informate, ma meno dotate di senso critico, meno consapevoli e perciò più vulnerabili. Diventiamo sempre più spettatori e, per la maggior parte delle volte, spettatori passivi. Il nuovo modo di vivere e di comunicare cambia anche il nostro modo di pensare. La corposa dieta mediatica a cui ci assoggettiamo ha un notevole impatto sulla formazione delle nostre opinioni: da essa deriva la netta prevalenza della percezione rispetto alla realtà, l’emotività prevale sulla razionalità, le nostre opinioni sono sempre più volatili. Ma all’enorme quantità di informazioni si contrappone una conoscenza sempre meno profonda, per cui siamo molto più informati ma meno consapevoli e responsabili.

Esiste purtroppo una connessione tra deficit cognitivo e deficit normativo. Da tutte le parti ascoltiamo il bisogno quasi ossessivo di regole, e mentre tutti le reclamano, rinverdiscono l’anomia, il raggiro delle leggi, le scorciatoie. In un’epoca così complessa, si avverte una grande richiesta di semplificazione, ma c’è chi approfitta di questa esigenza e offre idee e prodotti semplificati e preconfezionati. Così il gioco è fatto. L’etica è sempre più sostituita dall’etichetta e, quando essa è apposta sugli esseri umani, non permette di cogliere l’individuo nella sua molteplicità, ma lo riduce in una realtà unidimensionale. In mezzo a tutto ciò, un altro elemento si insinua: la mancanza di fiducia verso le istituzioni che si ritiene non si siano dimostrate all’altezza del loro compito e verso quella classe politica in generale che, anziché adoperarsi per costruire la pace, non disdegna di alimentare un clima di odio sociale, per cui difficilmente si riesce a scorgere un futuro rassicurante.

Viviamo come sospesi tra il «non più» e il «non ancora», siamo instabili per forza di cose, non percepiamo nulla di solido attorno a noi. In un simile contesto, è necessario identificare quegli elementi che rendono positiva la vita individuale e collettiva. Bisogna assolutamente recuperare dei valori fondanti imprescindibili senza i quali, in una fase di instabilità caratterizzata più dalle paure che dal senso di giustizia e di libertà, si rischia di lasciare troppo spazio a figure sciamaniche che coltivano tali paure senza dare soluzioni credibili.

Oggi, dovendo reimpostare il nostro vivere, emerge più che mai una domanda di senso e il bisogno di un cambiamento culturale ed etico. La politica necessita come non mai di una cornice valoriale capace di rifocalizzare il concetto di «bene comune». Per questo è necessario un profondo rinnovamento culturale, un rovesciamento della logica del profitto per fare spazio alla logica della giustizia sociale e all’etica della cura. C’è bisogno di riscoprire l’I care di don Milani in netta contrapposizione al mai dimenticato Me ne frego di fascista memoria. Nessun futuro valido si costruisce senza una cura intelligente e oculata del presente, e senza una valutazione lucida del passato. L’eccessivo divario economico tra i cittadini, l’affermazione di un sovranismo becero che non tiene conto delle buone relazioni internazionali, il razzismo e l’intolleranza crescenti, la necessità di contrastare la corruzione e le mafie, la gestione dei flussi migratori, lo sviluppo di tecnologie che rischiano di sfuggire al controllo umano, la fuga di cervelli che impoverisce la nazione, la colpevole incuria dell’ambiente e tanti altri temi necessitano grande lucidità e progettualità, e richiedono interventi multidisciplinari.

Per costruire un futuro più equilibrato, bisogna pensare con grande attenzione alla giustizia sociale, a partire dalle pari opportunità che si concedono a tutti gli esseri umani. La disparità di genere, già preoccupante prima della pandemia, rischia di accentuarsi se non si prendono provvedimenti adeguati. La crisi degli ultimi mesi ha notevolmente peggiorato la condizione femminile: la violenza contro le donne è molto aumentata; lo smart working ha ingigantito la mole di lavoro femminile per chi ha un’occupazione esterna; il lavoro nero è una piaga che non le ha abbandonate. è necessario rimodulare i tempi del lavoro e la riorganizzazione della vita sociale, potenziando servizi essenziali come sanità, libertà della persona, sicurezza pubblica, sicurezza nei trasporti, scuola, ecc.

Pensiamo che, in una fase di rilancio della società, ci sia bisogno della presenza femminile nelle istituzioni  per progettare un futuro più equilibrato che contribuisca a debellare gli stereotipi negativi che tanto condizionano l’agire quotidiano. Le varie situazioni in cui le donne si sono venute a trovare e che hanno condizionato le loro scelte rischiano di farle retrocedere di molto nella scala sociale. Non vorremmo che si riaffermasse un modello patriarcale che riveda l’egemonia dei più forti a danno dei più deboli. In un momento di scelte pubbliche importanti, il nostro principale auspicio è che  si provi a ideare un futuro più ricco di diritti, di uso assennato delle risorse e di emancipazione.

Le religioni hanno un ruolo da svolgere in un contesto così complesso? è questo il tempo in cui ognuna di esse continui a pensare soltanto ai propri interessi, o è necessario allargare gli orizzonti per dare un ulteriore contributo positivo alla società, traendo linfa dal desiderio di bene che ciascuna afferma? Non potrebbe essere questa un’opportunità per liberare la fede da quell’involucro religioso che la travisa e la tradisce, soffocandola nel ritualismo ripetitivo e nel devozionismo alienante? In questo numero della rivista Coscienza e Libertà, diversi temi ora enunciati trovano un approfondimento e uno stimolo alla riflessione, per concorrere assieme ad altre forze a dipanare una matassa che troppo spesso ci appare ingarbugliata.  Il contributo offerto dalle autrici e dagli autori dei vari articoli si collega con tutte quelle realtà che amano costruire e non demolire. Penso alla stragrande maggioranza dei cittadini e delle cittadine che, magari in silenzio, dedicano la loro vita   ad aiutare il prossimo, penso alla risorsa straordinaria del volontariato, penso anche a tutti quegli anticorpi che si risvegliano di fronte a pericoli imminenti e che sono visibili ai nostri occhi, se solo dedichiamo a loro la nostra attenzione e operiamo per renderli più visibili anche all’opinione pubblica.

Dora Bognandi – Segretario nazionale AIDLR

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