Abstract: Conteso tra chi sostiene la prospettiva dello ius soli e chi ritiene necessario mantenere il criterio dello ius sanguinis, l’istituto della cittadinanza è da tempo presente nel dibattito politico italiano. All’apice della sua saturazione, questo dibattito si è ora inoltrato per vie terze, imposte dalla necessità di mediare tra le due polarità normative. La mediazione è stata affidata al parametro culturale, impartito e spiegato attraverso un percorso scolastico e formativo. Si tratta del principio dello ius culturae che, a seguito di passaggi parlamentari, si è specificato nello ius scholae. Questo lavoro ne analizza i possibili effetti sottolineando che, per ora, i tentativi di mediazione hanno solo favorito l’emersione di tensioni agonistiche, non di rado alimentate da interessi elettorale- speculativi. Lo status civitatis rimane legalmente ancorato alle vecchie logiche elitarie, esclusive ed escludenti. Esso produce perciò spore interpretative equivoche, foriere di irragionevoli contrasti con la Costituzione repubblicana e la relativa costituzionalizzazione della persona umana, la sua dignità e libertà.

Sommario: 1. Introduzione. Cittadinanza: cosa è? – 2. La legislazione vi- gente. – 3. dallo ius culturae allo ius scholae. – 4. Prospettive culturali nel costituzionalismo occidentale. – 5. Conclusioni e prospettive. Lo ius culturae della Costituzione repubblicana.

1.   Introduzione. Cittadinanza: Cosa è?

Non è uno stato dell’essere. Né un abito che adorna il nudo corpo umano. Come i capi di vestiario, è però variabilmente intercambiabile. Non esiste al singolare. Ve ne sono tante, alcune più appetibili di altre. dipende dalle situazioni empiriche: quelle di uno Stato povero la rendono meno attraente rispetto a uno ricco e benestante. Il calco polisemantico si afferma anche nei modi con cui si acquista, si trasmette e si perde. Lo testimoniano i classici principi di iure sanguinis, ius soli e iure communicationis. Il dibattito parlamentare italiano ne ha partoriti altri due. Li ha etichettati con altrettanti latinismi: ius culturae, poi meglio precisato con ius scholae. (1) Entrambi mirano ad aggiornare risalenti formule legislative (2) dalle cui spore germinano diseconomie esterne: nel momento in cui riconoscono diritti di cittadinanza ad alcune persone, producono disparità negative a danno di altre. Alla luce della straordinarietà normale che caratterizza le emergenze del tempo presente (tra le altre immigrazione, terrorismo, crisi finanziaria, pandemia, guerra), tali tentativi non hanno prodotto fatti normativi. Per ora hanno solo favorito l’emersione di tensioni agonistiche, non di rado alimentate da interessi elettoral-speculativi. Piena di passioni labili, quando non selvagge, la relativa discussione rimane in tal modo sorda alle sonde della recta ratio, dove rectitudo non significa contemplazione di valori dogmatici infallibilmente presupposti. (3) Qui la ragione ha un senso solo se promuove soluzioni costituzionalmente ragionevoli. Ma i tempi politici, purtroppo, non sembrano maturi.

Sicché, l’istituto della cittadinanza italiana rimane quello che era, ancorato alle vecchie logiche elitarie, esclusive ed escludenti. Rimane, cioè, per molti versi incompatibile con il senso e le ragioni della Costituzione repubblicana e la relativa costituzionalizzazione della dignità della persona umana, indipendentemente dall’appartenenza e dal Paese di provenienza. (4)

2.   La legislazione vigente

La disciplina vigente fa capo principalmente alla legge n. 91/1992, ai sensi della quale è cittadino chi ha genitori italiani: ne basta uno per acquisire il titolo. Il criterio alternativo dello ius soli è previsto per via residuale e per casi limitati. (5)

La legge prevede modalità agevolate di acquisto per gli stranieri con origine italiche. disposizioni particolari sono inoltre dettate per stranieri o apolidi che hanno contratto matrimonio con italiani/e. (6) Per tutti gli altri l’acquisizione della cittadinanza è subordinata alla residenza nel territorio dello Stato, alle condizioni previste dalle norme in materia d’ingresso e di soggiorno degli stranieri. Se nati in Italia possono divenire cittadini, a patto che vi risiedano legalmente e ininterrottamente fino al raggiungimento della maggiore età. (7) Per lo straniero residente da almeno dieci anni, l’autorità pubblica può prendere in considerazione tutte le situazioni volte a valutare un’avvenuta integrazione: (8) lo può fare con un certo margine di discrezionalità. In caso di diniego deve comunque indicare – anche in modo sintetico – le ragioni poste a base delle determinazioni amministrative. (9)

A fronte della costituzionalizzazione dei diritti umani, nonché dell’incremento del numero di stranieri che cercano di approdare a una esistenza migliore, lo status civitatis italiano mostra lacune e deficienze. Lungi dal sostenere una connotazione emancipatoria e inclusiva, la suddetta disciplina genera un irragionevole pluralismo, segnato da fasce di decrescente importanza e progressiva disparità: si va dai cittadini italiani optimo iure, si passa dai figli di immigrati senza cittadinanza, si transita fra i semi-cittadini con permesso di soggiorno, per finire ai rifugiati e agli stranieri in attesa di essere regolarizzati o di essere trasferiti nei Paesi di provenienza.

Lo status civitatis continua in altre parole a vestire i panni della differenziazione, foriera di irragionevoli discriminazioni. Tanto più evidenti se rapportate a una situazione inedita e inimmaginabile sino a qualche decennio fa. Forse l’Italia la sta vivendo con ritardo rispetto ad altre nazioni occidentali che, ben prima della nostra, si sono misurate con l’impatto di ingenti flussi immigratori. Ma la vive in tutta la sua complessità poiché, in un tempo relativamente breve, la geografia socioeconomica è completamente mutata: da Paese di emigrati, l’Italia è diventato lo spazio di approdo di milioni di stranieri. Molti utilizzano la Penisola come luogo di transito. Altri vi rimangono stabilmente. Ci sono poi i figli di immigrati che definiscono la seconda o la terza generazione di (non)italiani: anche per questi il percorso per l’ottenimento dello status civitatis è ancora oggi irto di ostacoli non facili da superare.

Si aggiunga che i flussi immigratori sono aumentati in modo repentino negli ultimi due decenni, segnati da altre drammatiche vicende: attacchi terroristici, crisi dei subprime, primavera araba, ISIS, Covid-19, crisi energetica, guerra stanno lì a dimostrarlo. La sensazione di paura e di insicurezza generata da queste emergenze si mescola, a volte strumentalmente, con la gestione dei flussi immigratori. Lo fa assumendo contorni giuridici inediti e orizzonti temporali sconosciuti. Ne derivano ossimorici stati di ordinaria emergenza, attraverso i quali i due concetti si annullano e rinforzano a vicenda: foss’anche solo percepita e non reale, (10) l’emergenza immigratoria ha sempre più rilevo sui media e nella politica italiana; affermandosi come urgenza stabile e quasi permanente, essa arriva a ridefinire gli spazi di ordinaria legalità. (11)

Con queste caratteristiche la questione dell’immigrazione impatta sull’attività del Legislatore che, in tema di cittadinanza, si vede strattonato tra due opposte tendenze: quella di chi sostiene lo ius soli e quella di chi ritiene necessario mantenere, e se possibile rafforzare, il criterio dello ius sanguinis. All’apice della sua saturazione, il processo legislativo si è ora inoltrato per vie terze, imposte dalla necessità di mediare tra le due polarità normative. Compito, questo, affidato al parametro culturale, come impartito e spiegato attraverso l’attività scolastica e formativa. di qui il citato principio dello ius culturae (12) che, filtrato da alcuni passaggi parlamentari, si è specificato nello ius scholae. (13)

 

3. Dallo IUS CULTURAE allo IUS SCHOLAE

Le proposte di modifiche alla legge n. 91/1992 prevedono che possa acquistare la cittadinanza il minore straniero nato in Italia che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni sul suolo italiano e abbia frequentato regolarmente, nel territorio nazionale, uno o più cicli scolastici. La frequenza deve essere non inferiore a 5 anni e avvenire presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione. In alternativa deve prendere corpo attraverso percorsi di formazione triennale o quadriennale, idonei al conseguimento di una qualifica professionale. Queste possibilità sono aperte anche al minore straniero che ha fatto ingresso in Italia entro il compimento del dodicesimo anno di età. In entrambi i casi, la cittadinanza si acquista su richiesta. deve essere esplicitata con una dichiarazione di volontà, effettuata da uno o entrambi i genitori legalmente residenti in Italia o da chi esercita la responsabilità genitoriale. Va rilasciata all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, per essere poi annotata nel relativo registro.

Le risultanze legali di questa nuova forma di cittadinanza si incardinano pertanto su questi elementi:

  • i minorenni;
  • il territorio (ius soli) o il momento di arrivo sul territorio italiano (prima dei 12 anni di età);
  • il percorso cultural-scolastico (ius scholae);
  • i tempi di integrazione (almeno 5 anni per chi frequenta istituti scolastici, 3 o 4 anni per chi frequenta istituti di formazione che rilasciano una qualifica professionale).

Soddisfatto uno dei primi due requisiti, il potenziale cittadino si impegna in un itinerario che, favorendo l’integrazione mediante l’istruzione e la formazione, rende possibile l’acquisizione dello status civitatis. Se non come premio, la cittadinanza si pone alla fine di un processo di acculturazione, che si concreta nelle aule scolastiche italiane. (14) E, come tutti i processi di acculturazione, anche in questo caso si rischia di esasperare il vecchio dilemma del costituzionalismo occidentale, perennemente conteso tra due classiche propensioni: la centralità culturale del demos del Paese ospitante e la tutela dei diritti fondamentali del singolo individuo. Il che si congiunge con il rischio di una concezione formalistica del principio di eguaglianza, dietro la quale possono subdolamente celarsi forme di sostanziale e discriminatoria diseguaglianza. Il rischio è in breve quello di sballottare i diritti della personalità dal piano dei singoli a quello dello ius culturae.

Vero è che un’applicazione ragionevole dell’istituto della cittadinanza premette e implica il rispetto delle regole civiche culturalmente condivise. Questa necessità, tuttavia, premette e implica anche il rispetto dei diritti fondamentali che, come tali, devono essere garantiti e tutelati nei confronti di tutte le persone, indipendentemente dall’appartenenza o dallo Stato di provenienza. (15)

Al contrario, l’attribuzione della cittadinanza mediante il criterio dello ius scholae lascia intendere uno scenario nel quale i minori cittadini hanno più diritti dei minori stranieri. Quando, invece, la Costituzione impone di tutelarli “tutti” allo stesso modo. E, laddove sussistano discriminazioni per difetto della normativa o della prassi, è ineludibile l’impegno dell’ordinamento a superarli. Motivo per cui la cittadinanza non è, o meglio non deve essere né diventare, elemento essenziale per far sì che le persone, tanto più se di minore età, possano godere pienamente dei diritti fondamentali. (16)

A difesa delle proposte di legge va osservato che la normativa vigente, dando la possibilità di acquistare la cittadinanza dopo la maggiore età, pone il giovane straniero in una difficile condizione: dopo essere cresciuto in un ordinamento che, di regola, tutela i minori indipendentemente dagli statuti derogatori della cittadinanza, egli viene a trovarsi in una situazione in cui non solo non gode pienamente di diritti civili e politici, ma deve anche legittimare il proprio soggiorno. Ed è qui che la cittadinanza si traduce in una impellente necessità.

Al punto che il procedimento per la sua acquisizione dopo il compimento della maggiore età determina spesso una discrepanza rispetto ai processi di integrazione: processi di fatto più consistenti in età scolare, quando sono maggiori le possibilità di coltivare l’idea di sentirsi italiani, e di farlo proprio attraverso i canali forniti e solcati dalla formazione scolastica. (17)

Sul punto va inoltre notato che chi osteggia lo ius scholae lo fa quasi sempre su un presunto sentimento di estraneità rispetto all’italianità. Sul fatto, cioè, che molti dei minori stranieri non si “sentano davvero italiani”. Un non meglio precisato senso di (non)appartenenza attribuito e imposto indistintamente ai figli di immigrati nati in Italia o giunti nella Penisola in tenera età. A tal proposito, recenti ricerche confermano che in generale molti giovani delle seconde generazioni si sentono italiani. (18) Una componente non trascurabile, circa il 30%, ha nondimeno dichiarato di sentirsi straniera: tra questi una particolare lontananza rispetto all’italianità è avvertita da minori appartenenti ad alcune comunità, come quelle cinesi e filippine. Nessuna differenza, tuttavia, si riscontra in relazione alla territorialità: il più o meno spiccato sentimento di italianità è indipendente dal luogo di nascita. (19)

Non si deve peraltro dimenticare l’impatto esercitato dall’implementazione dell’art. 20 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Si tratta della disciplina della cittadinanza dell’UE, (20) che molti stranieri assumono come valida alternativa a quella italiana. Lo testimonia la caduta delle richieste dell’italico status civitatis da parte di immigrati rumeni a seguito dell’ingresso della Romania nell’Unione. Il dato si spiega con la forte propensione a legare la mobilità territoriale a quella sociale: si guarda alla cittadinanza focalizzando l’attenzione sulla sua utilità economica, che sovente coincide con la prospettiva di un trasferimento in altri Paesi europei. (21)

Tutto ciò dovrebbe contribuire a portare al centro del dibattito i nuovi modi di concepire, pensare e utilizzare lo status civitatis italiano. Bisogna però farlo avendo come bussola legale sempre e comunque il senso e le ragioni della Costituzione repubblicana.

4.   Prospettive culturali nel Costituzionalismo occidentale

Sotto quest’aspetto pare importante ricordare alcuni passaggi storici fondamentali che hanno segnato l’evoluzione della cittadinanza nella sua doppia prospettiva, comunitaria e personalistica: la prima basata sull’esigenza del demos unitario e sul senso di appartenenza, la seconda improntata ai diritti della persona umana che, come tali, mal sopportano certi statuti derogatori determinati dal titolo di cittadino.

In rilievo si pone il progressivo sdoppiamento della personalità regale, scaturito a partire dall’alba dei tempi moderni. Quando, secondo una diffusa credenza, il Re era sovrano perché amministrava la volontà di dio in terra: in quanto ministro e servo di fronte al sovrano celeste, il Re era sub deo ossia sub lege, quia lex facit regem; (22) ma proprio perché Dei vicarius, egli si attestava come legibus solutus nei confronti degli individui che componevano la civitas. L’onnipotenza di dio si traduceva così nella suprema potestas statuale, coincidente con quella dei suoi vertici istituzionali: fintantoché rimanevano nella tradizione meritavano di essere onorati, se non per riguardo alla loro persona, almeno nell’interesse dell’ordine costituito. (23) In altre parole, il compito di governare e giudicare spettava unicamente a dio; (24) il sovrano terrestre era legislator giacché capace con i suoi atti-comandi di trasformare il diritto (ius) in iussum, indi iustitia. (25) Questa frenesia teocratica finiva nondimeno per allevare in embrione una prospettiva laica, o quantomeno profana, dei fenomeni normativi statali. (26)

La distinzione teologica fra un monarca servo di dio e un tiranno servo del diavolo si informava a due concetti essenziali: l’idea del dio trascendente e le sue leggi; un sovrano terrestre che perpetuava la volontà divina in terra. Quando però con il passare del tempo il primo dei due concetti restava sospeso fra gli elementi trascendenti, che per ovvie ragioni facevano fatica a manifestarsi nell’immanenza, bisognava necessariamente fare i conti con gli aspetti concreti della vicenda: il sovrano e le leggi statali. E i conti, come insegnava Montaigne, danno sempre una differenza. Tirando le somme, la legislazione rimaneva l’unico criterio concreto per valutare la correttezza delle decisioni del sovrano terrestre: solo così si poteva stabilire concretamente se si fosse in presenza di un potere politico improntato alla iustitia o di un potere tirannico imitating Lucifer. (27)

In fondo, è nel solco di questo conflitto che l’occidente europeo apriva la strada verso il costituzionalismo moderno, con cui il potere sarà via via esercitato nei modi e con i limiti fissati nell’ordinamento costituzionale. Qualunque forma assumesse, il sovrano era «subditus legi, sicut quilibet cuius potestas limitata est» poiché, nel reggere l’apparato normativo e nel legare nel senso di obbligare gli appartenenti alla comunità politica, (28) non poteva nulla disporre se non «cum ratione et causa». E quando la sua voluntas si trovava a deviare dall’equità, dalla giustizia e dalla ragione non era lex. A quel punto bisognava considerare le opere del sovrano non più entro la sfera della legalità, (29) ma in quella di un potere arbitrario. (30) Saisi via via par le droit, (31) il diritto costituzionale potrà così rivolgere al potere sovrano tutte le sue pretese di limitazione: se questo deriva da quello la propria legittimazione, (32) è logico nonché coerente che quello imponga a questo il contenimento di certe prerogative. (33)

Nel reggere l’apparato normativo l’opera del sovrano si giustifica entro i limiti della Costituzione, antidoto a un potere arbitrario. Ne consegue il motivo principale dello Stato costituzionale che, con alterne vicende e non sempre secondo un processo storico lineare, porterà all’affermazione legale della centralità della persona, della dignità umana e, quindi, al “credo” delle libertà e dei diritti fondamentali unversali. (34) Ciò, a sua volta, finirà per riflettersi nel modo di concepire e trattare l’istituto della cittadinanza. Il quale, però, non sempre riesce a risolvere i nodi problematici sottesi al confronto fra la necessità del demos unitario e la tutela dei diritti della personalità. Fra, cioè, la prospettiva collettiva, determinata dal legame di appartenenza di un soggetto alla comunità politica, e la prospettiva individuale, definita mediante il fascio di posizioni giuridiche attive e passive riconosciute a una persona all’interno della civitas. (35) Non ci riesce anche perché la differenza non è di poco conto.

Basti dire che in un caso il peso decisivo è conferito alla coesione comunitaria e alle prerogative degli apparati istituzionali: (36) si guarda alla cittadinanza dall’alto verso il basso, assumendo come punto di vista l’entità collettiva, che proietta sugli individui le condizioni necessarie per acquisirne il titolo. Nell’altro caso, invece, l’accento è posto sul soggetto, sul primato della persona umana i cui diritti si impongono sulle “deroghe” dello status civitatis: il principio di eguaglianza spetta ai singoli non in quanto cittadini ma in quanto esseri umani; la condizione giuridica del non-cittadino non giustifica trattamenti diversificati peggiorativi, (37) come spesso è accaduto nella storia del diritto pubblico occidentale. (38) Una storia invero rivelatrice della doppia natura della cittadinanza che, da essere fattore di emancipazione e di inclusione, si è spesso concretata in fonte d’irragionevoli discriminazioni. (39) da cui le aporie rispetto alla proclamata universalità della dignità, delle libertà e dei diritti fondamentali. Tanto più che, dopo le tragedie della prima metà del Novecento, dignità, libertà e diritti sono stati “codificati” dal costituzionalismo contemporaneo, nel cui solco si colloca la Carta repubblicana del 1948.

Poco prima la Seconda Guerra dei trent’anni (1914-1945) (40) aveva mostrato dove poteva condurre lo scatenamento omicida di poteri legali dogmaticamente concepiti. è contro questa tragica visione della sovranità che s’impone, fra le altre, la Costituzione italiana la quale ha, tra le altre cose, ridefinito lo status civitatis. Lo ha fatto alla luce del rinnovato credo dei diritti dell’uomo, sotto la cui sfera le libertà personali acquistano un intangibile e costituzionale primato. (41) Si candidano a essere utilizzate come potenti antidoti contro i pericoli di denigrazione della dignità umana, a cominciare da quelli perpetuati in nome della sovranità statuale. (42)

Da notare che, fatta eccezione per l’art. 22, la Costituzione del 1948 non contiene disposizioni aventi a oggetto l’istituto della cittadinanza. Né è prevista una riserva di legge in materia. Numerose sono invece le disposizioni che si indirizzano ai cittadini e che fanno sorgere diritti e obblighi a carico di questi. (43) Le parole “tutti” e “ogni” che precedono le statuizioni dei diritti e delle libertà, nonché l’uso indeterminato del ter- mine “cittadini”, stanno infatti a indicare l’esistenza di una pluralità di prospettive costituzionali.

Insomma, nella Costituzione la cittadinanza italiana si definisce non solo e non tanto in base al principio di territorialità, quanto e soprattutto in ragione della pari dignità sociale e dell’eguale libertà di tutte le persone, indipendentemente dall’appartenenza o dallo Stato di provenienza.

5.   Conclusioni e prospettive. Lo IUS CULTURAE della Costituzione repubblicana

Si spiega così il legame tra cittadinanza (di tutti i cittadini) e principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Carta repubblicana, rispetto al quale lo status civitatis si pone non tanto e non solo quale elemento di distinzione. è strumento che, invece, deve favorire l’inclusione, la libertà e la partecipazione: l’inclusione delle persone, la libertà dal bisogno e dalle privazioni, la partecipazione alla vita sociale, politica e culturale del Paese. A renderlo evidente è un impianto di economia logica che non si colloca al di là dell’esperienza empirica. Al contrario, pone il locutore nella condizione di illustrare il connotato essenziale della democrazia costituzionale che, come tale, pone al centro della sua azione la tutela della dignità e dei diritti fondamentali delle persone.

Lo Stato deve perciò impegnarsi a rimuovere gli ostacoli che impediscono una ragionevole applicazione dell’istituito della cittadinanza. Lo deve fare nel quadro di un prudente relativismo, che costringe la democrazia a prendere atto dell’esistenza delle differenze evitando di dileguarle nella trascendenza dell’Uno, una delle più antiche malattie dell’umanità. (44) Si disvela così lo sfondo metafisico di tanti miti moderni, compresa l’idea per cui una Costituzione democratica premette e implica un demos unitario, omogeneo, uniforme e indistinto. Quando, invece, i fatti dicono il contrario.

Nei contesti in cui il demos è perfettamente coeso e omogeneo non si ha bisogno del diritto, tanto meno di un diritto costituzionale. Ammesso che esistano, questi contesti vivono di rendita su virtù auto inibitorie degne della migliore favola giusnaturalistica. In attesa della loro discesa sulla terra, non resta che accontentarsi dell’imperfezione umana, dalla quale è scaturita l’umile e la fallibile verità della Costituzione. Una verità informata sul riconoscimento e la tutela della dignità della persona umana che, come tale, deve guidare la mano del Legislatore nel dettagliare ragionevolmente la disciplina della cittadinanza. Tanto più alla luce dell’apertura operata dalla Carta repubblicana alle organizzazioni sovrastatali, che assicurano la pace e la giustizia fra le nazioni e che, per questo, giustificano le limitazioni di sovranità. (45) Il che ha peraltro permesso di concepire e recepire uno status civitatis destatalizzato, (46) del quale l’art. 20 TFUE rappresenta l’archetipo più strutturalmente avanzato.

Ciononostante, i fenomeni emergenziali occorsi a partire dalla fine della Seconda Guerra dei trent’anni e acuiti negli ultimi tre decenni di vita repubblicana hanno generato antinomie con il conclamato universalismo dei diritti fondamentali.

Ad attestarlo sono le reazioni del Legislatore ai poderosi processi immigratori e agli ambigui andamenti della glocalizzazione, che ali- mentano i processi di deterritorializzazione e riterritorializzazione: le influenze socio-economiche provenienti dall’occidente sviluppato, motore delle forme secolarizzate di evangelizzazione, creano in continuazione dei flussi inversi dalla periferia al centro della società globale; una complessa rete di governance sostituisce i prodotti della contemporaneità; mescolati con l’arcigna e duratura concezione territoriale degli Stati sovrani, questi prodotti generano a loro volta sensazioni di perdita di controllo e paura. Ed è così che, esasperato dai binomi di sicurezza-libertà ed eguaglianza-differenza, lo scenario sullo status civitatis si riattesta sulle vecchie ed elitarie caratteristiche.

E’ bene tenerlo a mente quando si evocano i classici riferimenti di iure sanguinis, ius soli e iure communicationis cui, come si è visto, si sta ora aggiungendo lo ius scholae, nel senso culturale della formula.

Francesco Alicino – Ordinario di Diritto pubblico delle religioni e incaricato di Diritto costituzionale Università LUM Casamassima (Bari).

1 Il 3 marzo 2022, la I Commissione Affari costituzionali (sede referente) ha proseguito l’esame delle proposte di legge recanti Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza (C. 105 Boldrini, C. 717 Polverini e C. 920 orfini – Rel. Brescia, M5s) procedendo, in particolare, all’abbinamento delle proposte di legge C. 194 Fitzgerald Nissoli, recante Modifica dell’articolo 17 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di riacquisto della cittadinanza, e C. 2269 Siragusa, recante Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza. In riferimento a tali proposte, il Relatore ha formulato una proposta unificata da adottare quale testo base.

2 Legge 5 febbraio 1992, n. 91, Nuove norme sulla cittadinanza.

3 F. CoRdERo, Diritto, in Enciclopedia Einaudi, vol. 3, Einaudi, Torino, 1978, p. 923.

4 S. RodoTà, Il diritto di avere diritti, Laterza, Roma-Bari, 2012, p. 66.

5 Coloro che nascono nel territorio italiano e i cui genitori siano da considerarsi o ignoti o apolidi. Coloro che nascono nel territorio italiano e che non possono acquistare la cittadinanza dei genitori in quanto la legge dello Stato di origine esclude che un figlio nato all’estero possa acquisire la loro cittadinanza. I figli di ignoti che vengono trovati nel territorio italiano e sprovvisti di altra cittadinanza.

6 A questo proposito si vedano le novità introdotte con l’art. 1, comma 11, della legge 94/2009 (c.d. Pacchetto sicurezza) e la relativa direttiva del Ministro dell’interno 7 marzo 2012.

7 Entro un anno dal compimento della maggiore età si deve dichiarare di volere diventare italiani. All’interessato non sono imputabili eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della pubblica amministrazione ed egli può dimostrare il possesso dei requisiti con ogni altra idonea documentazione. Inoltre, gli ufficiali di stato civile sono tenuti, al compimento del diciottesimo anno di età, a comunicare all’interessato, la possibilità di esercitare tale diritto entro il compimento del diciannovesimo anno di età. In mancanza, il diritto può essere esercitato anche oltre tale data.

8 Sono rilevanti eventuali sentenze penali intervenute a carico degli interessati, in relazione ai fatti a cui tali condanne si riferiscono sia al loro eventuale ripetersi. Sul punto Consiglio di Stato, Sez. I, parere 20 ottobre 2004, n. 9374.

9 Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 24 maggio 1995, n. 366. da notare che la cittadinanza può essere concessa per merito allo straniero che abbia reso notevoli servigi all’Italia, per elevate necessità di ordine politico connesse all’interesse dello Stato (art. 9, comma 2, legge n. 91/1992).

10 Come tra l’altro emerge dal Dossier Statistico Immigrazione 2021, IdoS, Roma, 2021.

11 Sul punto in generale si veda R. MARTINo, F. ALICINo, A. BARoNE, L’impatto delle situazioni di urgenza sulle attività umane regolate dal diritto, Giuffrè, Milano, 2017, spec. Parte Prima, Diritto pubblico, pp. 3-262.

12 Sul punto per tutti vi vedano i contributi in Neodemos, Ius soli Ius Culturae. Un dibattito sulla cittadinanza dei giovani migranti, Neodemos.info (con il contributo di Banca d’Italia Eurosistema), Firenze, 2017.

13 Testo base elaborato nel maggio 2022 dalla I Commissione Permanente Affari costituzionali della Presidenza del Consiglio e interni (sede referente), Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza. Testo unificato C. 105 Bol- drini, C. 194 Fitzgerald Nissoli, C. 221 La Marca, C. 222 La Marca, C. 717 Polverini, C. 920 Orfini, C. 2269 Siragusa, C. 2981 Sangregorio e C. 3511 Ungaro. Si veda anche la Relazione trasmessa dal Governo e allegata al verbale della seduta della suddetta Commissione del 10 maggio 2022.

14 La vicenda legislativa sembra infatti rievocare la vecchia definizione di acculturazione su cui eminentemente I. SACHS, Acculturazione, in Enciclopedia, vol. 1, Einaudi, Torino, 1977, pp. 146-159.

15 Su cui già P. RESCIGNo, Persona e comunità. Saggi di diritto privato, CEdAM, Padova, 1987.

16 Sul punto infra.

17 E. CodINI, Ius culturae. Brevi note a proposito dei progetti di riforma dei modi d’acquisto della cittadinanza concernenti i figli degli immigrati, in Fondazione ISMU, Paper, luglio 2021.

18 C. CoNTI, E. TUCCI, Nuovi cittadini. Diventare italiani nell’era della globalizzazione, Il Mulino, Bologna, 2021.

19 Ivi, pp. 136,137.

20 In realtà l’istituto della cittadinanza dell’UE si afferma per la prima volta con l’art. G del Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993, che inserì una nuova Parte seconda nel Trattato CE, artt. 8-8E.

21 C. CoNTI, E. TUCCI, Nuovi cittadini. Diventare italiani nell’era della globalizzazione, cit., p. 138.

22 è quanto affermava alla fine del 1200 il legista inglese Henry de Bracton.

23 R.W. CARLYLE, A. J. CARLYLE, A History of Mediaeval Political Theory in the West, Edinburgh-London, William Blackwood & Sons, 1928, trad. it. L. Firpo (a cura di), Il pensiero politico medievale, Laterza, Bari, 1956, I, p. 169.

24 Nel 1300 è Baldo degli Ubaldi a fornirci un altro esempio del progressivo sviluppo del pensiero politico attorno a cui si informa il costituzionalismo medioevale. Commentando il Codex di Giustiniano, egli ribadisce nei termini di una regola generale la distinzione tra potestas ordinaria e potestas assoluta; «unde lex ista habet respectum ad potestatem ordinariam non ad potestatem absolutam». A ciò s’aggiunge il riferimento alla giustizia cui la funzione del re deve adeguarsi, anche se si tratta di un dovere morale e non giuridico. donde quel detto in voga presso gli antichi, rivolto esplicitamente al monarca: «sarai Re se ti comporterai con giustizia»; Baldo degli Ubaldi, I, II, III, Codicis Libros Commentaria, Venezia, 1615, foglio 64, cit. in A. LEMAIRE, Les lois fondamentales de la Monarchie française d’après les théoriciens de l’Ancien Régime, Ancienne Librairie E. Thorin et Fils, Paris, 1907, p. 41.

25 P. GRoSSI, L’ordine giuridico medievale, Laterza, Roma-Bari, 1995, p. 87 ss.

26 F. CoRdERo, Gli osservanti. Fenomenologia delle norme, Aracne, Roma, 2008, p. 143 ss.

27 Così Giovanni dI SALISBURY nel suo Policraticus (1159, trad. in inglese a cura di J. Dickinson, Russell & Russell, New York, 1963, libro VIII).

28 d. QUAGLIoNI, La sovranità, Laterza, Roma-Bari, 2004, pp. 120 ss.; d. QUAGLIoNI, Costituzione e costituzionalismo nella tradizione giuridica occidentale, in M. CALAMo SPECCHIA (a cura di), La Costituzione Francese/ La Costitution Française, Giappichelli, Torino, 2009, p. 8.

29 F. CALASSo, Gli ordinamenti giuridici del Rinascimento medievale (1947), Giuffrè, Milano, 1949 (rist. 1965), p. 270.

30 di qui il nucleo fondante del processo di secolarizzazione che, come ha dimostrato Max Weber, s’esprime mediante la mondanizzazione o dmagnificazione dello stesso potere statale; M. WEBER, Wirtschaft und Gesellschaft, Mohr, Tübingen 1922, trad. it. a cura di P. Rossi, Economia e società, Edizioni di Comunità, Milano, 1961, II, p. 149 ss.

31 Così L. FAVoREU, La politique saisie par le droit, Economica, Paris, 1988.

32 Come ha dimostrato B. TIERNEY, Religion, Law, and the Growth of Constitutional Thought, Cambridge University Press, Cambridge, 1982, p. 12.

33 Non per nulla la dottrina della supremacy of law è fatta risalire da R. Pound alla teoria medioevale del governo, basata sulla giusnaturalistica distinzione della figura del re diviso tra potere spirituale e potere temporale: «[j]uristically this attitude of the common-law courts, which we call the doctrine of the supremacy of law, has its basis in the feudal idea of the relation of king and subject and the reciprocal rights and duties involved therein»; R. PoUNd, The Spirit of the Common Law, Marshall Jones, Francestown, 1921, p. 64.

34 P. PRodI, Una storia della giustizia: dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra co- scienza e diritto, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 151.

35 Sul punto, ad esempio, già Kant per il quale il «potere legislativo può spettare sol- tanto alla volontà collettiva del popolo… I membri di una società (societas civilis), vale a dire di uno Stato, riuniti per la legislazione, si chiamano cittadini (cives)»; I. KANT, Metaphysische Anfangsgrunde der Rechtslehre (1797), trad. it. a cura di F. Gonnelli, Principi metafisici della dottrina del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 256.

36 V.C. RoMANELLI, voce Cittadinanza, in Enc. giur., Roma 1988, VII, p. 2 ss.

37 Così, fra gli altri, Corte cost., sent. 25 luglio 2011, n. 245. Ci sono infatti diritti che usualmente si definiscono come assoluti, inalienabili, irrinunciabili e indisponibili, oltre che imprescrittibili, e che quindi competono anche a non cittadini, come si desume da Corte cost., sent. 8 luglio 2010, n. 249.

38 L. FERRAJoLI, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia, vol. 1, Laterza, Roma- Bari, 2007, p. 347 ss.

39 P. CoSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, vol. 2, L’età delle rivoluzioni, Laterza, Roma-Bari, 2000.

40 Così G. STEINER, In Bluebeard’s Caste. Some Notes towards the Redefinition of Culture, New Haven, Yale University Press, 1971, trad. it. a cura di I. Farinelli, Nel castello di Barbablù. Note per la ridefinizione della cultura, Studio Editoriale, Milano, 1990.

41 P. CoSTA, Cittadinanza e “simboli di fondazione”: una lettura del processo costituente in Italia (1946-47), in M. FIoRAVANTI, S. GUERRIERI (a cura di), La Costituzione italiana, Carocci, Roma, 1998, p. 99 ss.; F. PIZZoLATo, Finalismo dello Stato e sistema dei diritti nella Costitu- zione italiana, Vita & Pensiero, Milano, 1999, p. 99 ss., P. PoMBENI, Individuo/persona nella Costituzione italiana. Il contributo del dossettismo, in Parole-chiave, 1996, p. 197 ss.

42 S. LEVI dELLA ToRRE, Zone di turbolenza. Intrecci, somiglianze, conflitti, Feltrinelli, Milano, 2004, per il quale «[i] totalitarismi e i fondamentalismi del XX secolo sono stati il ritorno di forme para o neoreligiose volte ad imbrigliare l’angoscia del sacro, e impiegarne l’energia nella macchina del dominio sugli esseri umani e sugli eventi» (p. 17).

43 dette disposizioni sono comprese fra i Principi fondamentali e nella Prima Parte della Carta denominata, appunto, «diritti e doveri dei cittadini».

44 V. MELCHIoRRE, Metacritica dell’eros, Vita e Pensiero, Milano, 1977, pp. 105,106.

45 Art. 11 Cost.

46 G. dE BURCA, o. GERSTENBERG, «The denationalization of Constitutional Law», in Harvard International Law Journal, vol. 47, 2006, p. 244; A. M. SLAUGHTER, W. BURKE-WHITE, «The Future of International Law Is domestic (or, The European Way of Law)», in Harvard International Law Journal, n. 47, 2006, p. 327.

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