Abstract: Nel presente contributo vengono esposte le linee direttrici di una ricerca interdisciplinare relativa alla tutela, in ambito lavorativo, dei fedeli appartenenti ad alcune minoranze religiose nel contesto della Città metropolitana di Firenze.

Sommario: 1. Mondo del lavoro: le sfide poste dalla nuova geografia religiosa. – 2. Una metodologia innovativa. – 3. La Città Metropolitana di Firenze, un sativo campo d’indagine. – 4. osservazioni conclusive.

1.   Mondo del lavoro: le sfide poste dalla nuova geografia religiosa

 Il progetto ORaTe-Organizzazione del lavoro e Tutela dell’identità religiosa, realizzato presso l’Università degli Studi di Firenze (dipartimenti di Scienze giuridiche, di Formazione, Lingue, Intercultura, Letterature e Psicologia), si avvale della compartecipazione sinergica tra diversi settori scientifico-disciplinari: diritto del lavoro, diritto ecclesiastico, Psicologia sociale. (1)

Gli obiettivi del progetto, che si sviluppa in un ambito tematico ancora poco esplorato, sono molteplici: analizzare, nel contesto della Città metropolitana di Firenze, se e in quale misura il tessuto economico-aziendale è stato permeato dalle istanze di riconoscimento dell’identità religiosa dei lavoratori appartenenti alle minoranze di credo e di convinzione; enucleare i loro bisogni e le loro aspettative; testare la disponibilità dei datori di lavoro all’ascolto e alla predisposizione di prassi operative volte a soddisfare tali esigenze; verificare l’eventuale sussistenza di conflitti endoaziendali, sia orizzontali (tra lavoratori) sia verticali (datori/dipendenti), connessi a scarse conoscenze, a stereotipi e pregiudizi nei confronti dell’“altro”, a una considerazione marginale, se non di assoluto disinteresse, dei suoi bisogni religiosi; selezionare, tra le forme dell’agire giuridico e le acquisizioni della psicologia sociale, gli strumenti operativi idonei a favorire l’integrazione e la pacifica convivenza delle identità distinte, ad affrontare in maniera efficace le sfide poste dal progressivo pluralismo culturale e religioso; delineare adeguate strategie organizzative finalizzate a strutturare l’ambiente lavorativo in modo da renderlo inclusivo e rispondente ai diversi interessi dei datori e dei lavoratori; focalizzare l’attenzione sul ragionevole accomodamento tra le esigenze di organizzazione aziendale e l’esercizio della libertà religiosa da parte del personale di fedi minoritarie.

La tutela della libertà religiosa dei lavoratori è stata in passato una tematica sottovalutata; lo scarso interesse appare comprensibile se riferito alla società della prima metà del Novecento, in cui l’organizzazione del lavoro veniva scandita secondo i ritmi alienanti della catena di montaggio fordista (2) e la programmazione del tempo-lavoro era modellata su una tradizione cattolicamente orientata. L’architettura italiana del sistema produttivo è stata a lungo fondata e commisurata sulle esigenze di lavoratori di sesso maschile, spesso unici produttori del reddito familiare, bianchi e cattolici. (3)

Negli ultimi decenni, tuttavia, il sistema ha cominciato a evidenziare criticità dinanzi a una pluralità di fattori, tra i quali l’innovazione tecnologica e informatica, le legittime rivendicazioni femminili per un accesso paritario al mondo lavorativo, a livello di dignità e di trattamento economico, le lotte operaie del Sessantotto, la globalizzazione. Un effetto dirompente sull’incrinarsi del sistema originariamente monolitico hanno avuto le massicce migrazioni, (4) oggi anche virtuali, che hanno investito come un’onda d’urto le varie “tradizioni” sulle quali si erano sedimentati gli ordinamenti nazionali, mostrandone i limiti e ponendo con forza l’esigenza, a livello nazionale e sovranazionale, di elaborare e adottare schemi giuridici più rispondenti alla complessità di un sistema sociale in rapida evoluzione.

Tale esigenza si rivela ormai improcrastinabile, considerata la profonda metamorfosi della nuova geografia religiosa, che non ha una valenza meramente numerico-quantitativa, ma è innervata da variabili soggettive, emotive, comportamentali, culturali, ideali, in breve da un bagaglio esistenziale che condiziona in maniera complessa il vivere insieme. L’impatto dei sistemi valoriali religiosi può influire in modo consistente nella vita dei fedeli: molte dottrine si pongono come sistemi prescrittivi che disciplinano i diversi ambiti del vissuto quotidiano con minuziosi codici comportamentali, precetti e norme morali, recepiti spesso dai fedeli come imperativi categorici inderogabili da far valere anche nei luoghi di lavoro. Questi ultimi diventano dunque laboratori in cui si possono sperimentare nuove forme di convivenza, di integrazione, di valorizzazione delle differenze e di risoluzione dei conflitti.

Non si può trascurare, tuttavia, che l’incontro con la diversità potrebbe determinare problematiche organizzative di non semplice risoluzione. Le criticità più frequenti riguardano la scansione temporale del lavoro (pause per esercizio del culto, riposi settimanali, festività religiose, ferie), l’uso di capi di abbigliamento (5) e di simboli religiosi, l’alimentazione conforme alle prescrizioni religiose/filosofiche. Tali esigenze risultano a volte divergenti dal perseguimento dell’interesse dell’attività produttiva. La concessione di orari di lavoro più flessibili o di tempi da sottrarre all’orario giornaliero per motivi religiosi potrebbe inoltre essere vissuta, da chi non ne usufruisce, come una discriminazione al contrario. Ne deriva pertanto la necessità di elaborare e adottare misure organizzative eque, che non si traducano in trattamenti né discriminatori, né preferenziali per i diretti interessati. (6)

La ricerca si focalizza su una tematica la cui complessità è accentuata dalla singolarità dell’attuale congiuntura storica, segnata da una pandemia che dall’inizio del 2020 ha modificato profondamente – e continua a modificare – tutti gli aspetti e le attività esistenziali, dal lavoro allo studio, alle relazioni affettive e sociali dei cittadini di quasi tutti i Paesi del mondo. Il momento di riflessione imposto dai tempi potrebbe offrire l’occasione per rielaborare modi e forme dell’attività lavorativa, finalizzandoli a bilanciare la logica del profitto con una più attenta sensibilità alla qualità della vita. Antichi e nuovi fattori, infatti, affliggono il mondo del lavoro, tra i quali la disparità di trattamento tra i generi, (7) la precarietà, la disoccupazione (in particolare giovanile), (8) l’avanzamento dell’età pensionistica, l’allarmante incremento degli incidenti anche mortali sul luogo di lavoro, (9) i diritti sindacali a volte disattesi, gli orari di lavoro dilatati oltremisura, il confine sempre più labile tra vita privata e lavorativa, anche a causa della crescente invadenza della tecnologia nel vissuto individuale.

Un’ulteriore considerazione rileva nell’ambito specifico oggetto della ricerca: l’assenza di politiche migratorie fondate su strategie unitarie ed efficaci di medio e lungo periodo (10) lascia emergere la fisionomia di un’Italia ancora poco interessata ai temi del riconoscimento, dell’integrazione, della tutela e valorizzazione delle differenze culturali. Come mostrano i dati del Rapporto annuale dell’attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale del 2020, (11) la persistenza di fenomeni come il cd. caporalato, il lavoro in nero, il lavoro sommerso che coinvolgono soprattutto gli immigrati, denota un atteggiamento dello Stato di cecità dinanzi al riconoscimento della dignità della persona oltre che del lavoratore. (12)

Il progetto dunque non è finalizzato alla mera ricognizione dello status quo relativo all’esercizio della libertà religiosa nel contesto aziendale fiorentino, ma si propone di contribuire all’elaborazione di un paradigma inclusivo che sia potenzialmente estensibile e declinabile anche in altre realtà territoriali.

2.   Una metodologia innovativa

 Il progetto ORaTe adotta una prospettiva multidisciplinare che affianca all’approccio giuridico i metodi, le tecniche e le strategie della psicologia sociale, al fine di comprendere e di interpretare da diverse angolazioni le dinamiche oggetto di disamina. L’approccio combinato conferisce alla ricerca un carattere innovativo, in quanto consente di coniugare alla tradizionale analisi giuridica “dall’alto” la ricerca empirica psicosociale “dal basso”, lasciando emergere anche le eventuali difficoltà extra-giuridiche avvertite dai fedeli delle minoranze religiose nella vita di tutti i giorni. Il sentirsi rifiutati genera infatti stress, senso di frustrazione e deterioramento della qualità della vita. A tal proposito, già nel 2004 l’Accordo Quadro europeo sullo stress nei luoghi di lavoro (13) aveva rilevato che l’esposizione prolungata allo stress può comportare una condizione di sofferenza o disfunzione fisica, psichica, psicologica o sociale. Tra le cause generative di stress incluse nell’Accordo figurano fattori come l’organizzazione, l’ambiente, la scarsa comunicazione, le pressioni emotive e sociali che non permettono ai lavoratori di sentirsi valorizzati. Tra i soggetti più esposti allo stress rientrano i lavoratori di religioni minoritarie, le cui esigenze, possono essere ritenute poco comprensibili, poco rilevanti e, dunque, non meritevoli di considerazione. Le conseguenze di un clima lavorativo conflittuale si riversano anche sull’organizzazione stessa del lavoro, influenzando la performance lavorativa e l’impegno organizzativo (commitment ed engagement aziendale).

In un orizzonte più ampio, l’assenza di dialogo interculturale favorisce processi di radicalizzazione, di autoesclusione, di rinforzo del senso di appartenenza al proprio gruppo, sia esso maggioritario o minoritario. In tal senso invitano a riflettere i dati (2017) dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (14), che hanno evidenziato una disparità di trattamento nei confronti degli appartenenti alle minoranze religiose, soprattutto verso i musulmani: tra gli intervistati, infatti, risultano aver subìto discriminazione il 13% di musulmani che hanno cercato lavoro nell’anno precedente l’indagine e il 9% sul posto di lavoro. Le donne musulmane risultano particolarmente discriminate: il 35% delle donne che hanno cercato lavoro, contro il 4% degli uomini, ha citato l’abbigliamento come motivo di discriminazione; per lo stesso motivo si è sentito discriminato sul posto di lavoro il 22% di donne rispetto al 7% degli uomini.

Come osserva Mor Barak, una vera e propria inclusione si può realizzare solo a livello globale (Global Diversity) (15) e non limitatamente ad alcuni ambiti: non è sufficiente che il lavoratore si senta valorizzato all’interno dell’azienda dove presta la sua opera se nella società avverte nei suoi confronti un senso di rifiuto; (16) è quindi auspicabile un’azione sinergica dell’azienda con la comunità in cui è inserita, finalizzata a stimolare un superamento concreto degli stereotipi e dei pregiudizi all’origine di alcuni schemi mentali consolidati dai quali deriva il rifiuto per la diversità. oltre al ruolo economico, l’impresa svolge infatti anche un ruolo sociale, influenzando e lasciandosi influenzare dalla società. (17) Il d. Lgs. 30 dicembre 2016, n. 254, che ha recepito la direttiva 95/2014, sembra avallare tale impostazione poiché ha innovato la materia della Responsabilità sociale d’impresa, prevedendo che la dichiarazione individuale di carattere non finanziario, nella misura necessaria ad assicurare la comprensione dell’attività di impresa, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa prodotta, comprenda temi attinenti anche al personale e al rispetto dei diritti umani.

3.   La Città metropolitana di Firenze, un sativo campo d’indagine

 Il progetto si sviluppa in un ambito di indagine del tutto peculiare, la Città metropolitana di Firenze. La Regione Toscana è tra le principali aree di immigrazione in Italia: nel 2019 gli stranieri residenti erano più di 400mila, pari all’11,3% della popolazione residente (18) (valore superiore alla media nazionale che si attesta sull’8,8%). Circa un terzo della popolazione straniera vive nella provincia di Firenze, con un’incidenza sulla popolazione regionale del 13,1%.

Firenze rappresenta una realtà virtuosa: dal 2009, al fine di promuovere il dialogo e l’inclusione, il Comune ha istituito la «Consulta per il dialogo con le confessioni religiose», composta dai rappresentanti delle confessioni presenti nel territorio fiorentino; l’8 febbraio 2016 è stato firmato il Patto di cittadinanza tra la Città di Firenze e la Comunità Islamica di Firenze e Toscana. dal 2015 è stata istituita la «Scuola fiorentina per l’educazione al dialogo interreligioso e interculturale» per la formazione di una classe dirigente esperta e sensibile alle problematiche connesse all’intercultura. Il Progetto ORaTe assume una maggior rilevanza se si considera che, nonostante la Toscana e Firenze rappresentino a tutti gli effetti realtà estremamente sensibili alla tematica de qua, il settore della piccola e media impresa fiorentina si mostra a volte impermeabile alle istanze di riconoscimento e alla tutela della libertà religiosa e di coscienza dei lavoratori e delle lavoratrici appartenenti alle minoranze religiose.

Il progetto si sviluppa secondo tre livelli di attività. Lo studio dello stato dell’arte della ricerca giuridica e psicosociale ne costituisce la prima fase. Il secondo livello è incentrato sull’indagine empirica che, a causa della pandemia da SARS-CoV-2, è stata svolta in modalità digitale, non essendo possibile realizzarla in presenza. Tra gli obiettivi precipui, il lavoro analizza il grado di consapevolezza dei diritti religiosi da parte dei lavoratori e il livello di inclusione delle minoranze religiose nei luoghi di lavoro. (19)

La ricerca indaga inoltre in che modo e in quale misura vengono garantiti effettivamente i diritti dei lavoratori avventisti, i quali sono pienamente integrati nel tessuto sociale italiano e godono, a differenza dei musulmani e dei sikh, delle garanzie apprestate dalla legge sulla base di intesa (ex art. 8.3 Cost.). La legge 516 del 1988, art. 17 riconosce infatti agli avventisti il diritto di osservare il riposo sabbatico, che inizia al tramonto del venerdì e termina al tramonto del sabato. (20) Il riposo è fruibile su richiesta degli interessati e viene esercitato nel quadro della flessibilità dell’organizzazione del lavoro, restando salve le imprescindibili esigenze dei servizi essenziali previsti dall’ordinamento.

Non sempre, tuttavia, la stipulazione di un’intesa, trasfusa in legge, garantisce la concreta realizzazione dei diritti in essa riconosciuti. A tal proposito il Tribunale civile di Roma, nella sentenza del 26 marzo 2002 (caso Mascherini) (21) ha ritenuto illegittimo il licenziamento di un avventista, portiere di uno stabile, assentatosi dal turno del sabato, osservando che «se l’organizzazione del lavoro presenta un grado di flessibilità tale da consentire al dipendente che appartenga alla Chiesa avventista di riposare dal tramonto del venerdì a quello del sabato e di recuperare le ore non lavorate la domenica o in altro giorno della settimana, il licenziamento del lavoratore deve ritenersi illegittimo, perché discriminatorio essendo determinato da ragioni di fede religiosa. La mancanza, infatti, di obiettive esigenze aziendali qualifica il comportamento datoriale come una discriminazione, proprio perché non sorretto da giustificati motivi». Sulla stessa scia si è posto più recentemente il Tribunale di Verona (sentenza 22 maggio 2019, n. 271) che ha osservato: «il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare che il servizio reso nella struttura in cui lavora l’avente diritto al riposo sabbatico non possa essere garantito se non con l’inserimento dello stesso nei turni ricadenti in tale periodo. Pertanto, non è sufficiente dimostrare maggiori difficoltà organizzative ovvero (l’inevitabile) malcontento da parte dei colleghi». (22)

Il terzo livello della ricerca si caratterizza come parte propositiva del progetto. Uno degli strumenti più idonei a mediare pragmaticamente tra i diversi interessi coinvolti nel rapporto lavorativo è costituito dall’accomodamento ragionevole. Tale strumento, ancora poco diffuso in Italia, è di origine nord-americana (23) ed è stato introdotto nell’ordinamento dell’Unione europea con la direttiva 78 del 2000 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro; in base all’art. 5 della citata direttiva, tuttavia, le soluzioni ragionevoli sono riservate al fattore disabilità e prevedono da parte del datore o della datrice, purché l’onere finanziario non sia per lui/lei sproporzionato, l’adozione di provvedimenti appropriati alle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere al lavoro, di svolgerlo, di avere promozioni e di ricevere una formazione. In Italia la reasonable accomodation in materia religiosa è stata recentemente adottata a livello giurisprudenziale: nella sentenza n. 24414 del 9 settembre 2021 (24) le Sezioni Unite della Cassazione osservano che tale strumento è in grado di favorire «insieme al raggiungimento di soluzioni concrete più eque, l’incontro e la creazione di un clima di mutuo rispetto, di condivisione e di comune appartenenza, di coesione e di intesa, particolarmente utile in uno spazio vitale di convivenza organizzata […]».

4.   Osservazioni conclusive

 Gli esiti della ricerca possono produrre spunti di analisi, di riflessione e di innovativa elaborazione teorica in ambito giuridico e psicosociale, oltre a delineare utili indicazioni pratiche per gli operatori del settore, indirizzandoli a prestare una maggiore attenzione alle variabili chiave per il delinearsi di positive relazioni intergruppi. La proficua collaborazione – instaurata a partire dal webinar «L’esercizio della libertà religiosa sul luogo di lavoro: una ricerca fra diritto e psicologia sociale», che ha inaugurato l’inizio dei lavori – tra la comunità accademica, le comunità religiose, gli attori sociali maggiormente rappresentativi sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori, rappresenta un fil rouge nello svolgimento del progetto, in grado di assicurare un continuo confronto dialettico che stimola l’approdo a soluzioni concrete e a una più profonda sensibilità verso i diritti delle minoranze.

Il riconoscimento e la valorizzazione delle differenze culturali costituiscono un tema di più recente acquisizione e diffusione in Italia rispetto ad altri Paesi, interessati dai fenomeni migratori da lungo tempo. Per orientarsi nella nuova composita realtà il diritto, in quanto insieme di regole del vivre ensemble, riveste il ruolo di «unico medium che possa garantire una “solidarietà tra estranei” nelle società complesse». (25)

Silvia Baldassarre – Borsista di ricerca in Diritto ecclesiastico, Dipartimento di Scienze giuridiche, Università di Firenze.

1 Il Gruppo di ricerca è composto da: prof. William Chiaromonte, dott.ssa Giulia Frosecchi (diritto del lavoro); prof. Marco Croce, dott.ssa Silvia Baldassarre (diritto ecclesiastico); prof.ssa Camilla Matera, dott.ssa Jessica Boin (Psicologia sociale). La realizzazione del progetto è stata resa possibile anche grazie al cospicuo contributo dalla Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno.

2 Si veda l’incisivo saggio di S. WEIL (1934), Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, Adelphi, Milano, 1983.

3 Sul punto si veda A. VISCoMI, «diritto del lavoro e «fattore» religioso: una rassegna delle principali disposizioni legislative», in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2, 2001, p. 377 ss.

4 «[l]e persone portano con sé usi, abitudini, regole, eventualmente religioni, lingue. Molto più di quanto si pensi, questi usi, queste abitudini, queste regole rientrano in quella pluralità di opzioni possibili che sono uno dei fondamenti dei sistemi democratici contemporanei. […] è […] possibile che quando alcuni aspetti della propria cultura sono sentiti come particolarmente importanti, la persona, eventualmente insieme ad altre con le quali condivide questi aspetti, faccia di tutto per poterli mantenere, chiedendo che vengano formalmente riconosciuti, o seguendoli indipendentemente dal fatto che siano riconosciuti», L. MANCINI, La diversità culturale tra diritto e società, Franco Angeli, Milano, 2018, p. 10.

5 A tal proposito si veda M. CRoCE, «Sulla laicità dello Stato nelle aule giudiziarie: il caso della praticante velata», in Forum di Quaderni Costituzionali, Rassegna, 2, 2018 p. 1 ss.

6 Per approfondimenti cfr. C. BoMBELLI, «diversity management: motivazioni, problematiche e prospettive di utilizzo», in L. MAURI, L. M. VISCoNTI, (a cura di), Diversity management e società multiculturale. Teorie e prassi, Franco Angeli, Milano, 2004, p. 33; G. FRoSECCHI, «L’esercizio della libertà religiosa nuovamente alla prova della neutralità aziendale: un percorso a ostacoli tra discriminazione diretta, discriminazione indiretta e bilanciamento dei diritti», in Labor. Il lavoro nel diritto, 1, 2022, p. 1 ss.

7 Emblematico quanto è emerso dai dati ISTAT relativi a dicembre 2020, un periodo di fase acuta della crisi pandemica: dei 100mila occupati in meno, 99mila erano donne. I dati sono disponibili in https://www.istat.it/it/files//2021/02/occupati-e-disoccupati_dicembre_2020.pdf.

8 Secondo i dati Istat relativi a settembre 2021 (dati provvisori) il tasso di disoccupazione giovanile è del 29,8%, cfr. https://www.istat.it/it/files//2021/11/CS_occupati-e-disoccupati_SETTEMBRE_2021.pdf.

9 Secondo i dati INAIL provvisori, relativi ai primi otto mesi del 2021, le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Istituto tra gennaio e agosto sono state 349.449 (+8,5% rispetto allo stesso periodo del 2020), 772 delle quali con esito mortale. I dati sono disponibili in https://dati.inail.it/opendata/default/daticadenzasemestrale/ index.html.

10 Per ampio approfondimento sul tema cfr. W. CHIARoMoNTE, M. P. MoNACo, M. L. VALLAURI (a cura di), Elementi di diritto del lavoro, Giappichelli, Torino, 2019.

11 disponibile in www.ispettorato.gov.it/it-it/in-evidenza/documents/Rapporto-an- nuale-2019-attivita-di-vigilanza-INL-slide.pdf.

12 A tal proposito si ricorda che la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie delle nazioni Unite (18 dicembre 1990, entrata in vigore il 1° luglio 2003), che estende esplicitamente le sue tutele anche agli immigrati “irregolari” (art. 5), non è stata ratificata né dall’Italia, né da nessuno degli Stati UE.

13 Accordo Quadro europeo sullo stress nei luoghi di lavoro, siglato l’8 ottobre 2004 tra UNICE, UEAPME, CEEP, recepito in Italia dall’Accordo Interconfederale del 9 giugno 2008.

14 disponibili in https://bit.ly/3ucnt50, p. 11 ss.

15 Cfr. M. E. MoR BARAK, Managing Diversity: Toward a Globally Inclusive Workplace, Sage Publications, New York, 2016.

16 «[…] per l’immigrato in Italia il principale ostacolo al conseguimento di condizioni di parità di trattamento in ambito lavorativo e sociale non è tanto legato alla tutela dei suoi diritti civili, quanto a quella dei suoi diritti sociali», L. MAURI, d. CoLoGNA, «diversity management e società multiculturale in Italia: alcune considerazioni conclusive», in L. MAURI, L. M. VISCoNTI, (a cura di), Diversity management e società multiculturale, cit., p. 201.

17 Nella storia dell’imprenditoria italiana ci sono esempi virtuosi di donne e uomini che hanno fortemente contribuito ad “umanizzare” le aziende, come Luisa Spagnoli che istituì negli anni ‘20 del Novecento l’asilo nido nello stabilimento della Perugina di Fontivegge per permettere alle donne di lavorare mentre i figli venivano accuditi; l’imprenditrice ha contribuito in maniera decisiva all’emancipazione delle donne.

18 Cfr. Comune di Firenze, Report Migranti-Le Cifre, edizione 2020, disponibile in https://bit.ly/3weNjIx, p. 6 ss.

19 Cfr. J. BoIN, C. MATERA, M. CRoCE, W. CHIARoMoNTE, S. BALdASSARRE, G. FRoSECCHI, Discriminazione e benessere di gruppi religiosi minoritari in ambito lavorativo: il ruolo dell’identità religiosa e della conoscenza dei propri diritti: il Poster, presentato in occasione del XVII Congresso nazionale della Sezione di Psicologia Sociale dell’AIP a Brescia, 13-15 settembre 2021, è disponibile in https://bit.ly/3ucoY38, p. 226.

20 Per approfondimenti sul contenuto dell’intesa avventista cfr. T. RIMoLdI, L’intesa con la chiesa Avventista, in Coscienza e libertà, 31, 1998, p. 16 ss.

21 Il testo della sentenza è disponibile in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2003, 3, p. 775.

22 Il testo della sentenza è disponibile in Guida al lavoro, 2020, 3, p. 20.

23 L’obbligo di reasonable accomodation vige negli Stati Uniti fin dal 1972, quando, con una modifica al Titolo VII del Civil Rights Act, esso è stato introdotto per i datori di la- voro relativamente alle pratiche religiose dei dipendenti, purché questi non determinino oneri eccessivi o sproporzionati per l’organizzazione aziendale. Nel 1985 in Canada il duty of reasonable accommodation in materia religiosa è stato introdotto per via giurisprudenziale in ambito lavorativo dalla Corte Suprema.

24 La sentenza esorta all’uso dell’accomodamento ragionevole relativamente alla risoluzione delle divergenze di opinione derivanti dall’esposizione del crocifisso nella scuola pubblica. Il testo della sentenza è disponibile in appendice al contributo di N. CoLAIANNI, «dal “crocifisso di Stato” al “crocifisso di classe”» (nota a margine di Cass., SS. UU., 9 settembre 2021, n. 24414), in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 17, 2021.

25 J. HABERMAS, Solidarietà tra estranei. Interventi su “fatti e norme”, trad. it. di L. Ceppa, Guerini e Associati, Milano, 1997, p. 96 ss.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

25 J. HABERMAS, Solidarietà tra estranei. Interventi su “fatti e norme”, trad. it. di L. Ceppa, Guerini e Associati, Milano, 1997, p. 96 ss.

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