La religione cristiana nasce sul presupposto implicito della libertà di coscienza individuale. Per quanto anacronistico e forse incauto possa sembrare questo asserto, credo si possa dimostrare che la fede in Gesù di Nazareth, e forse anche la fede di Gesù di Nazareth, si afferma e si diffonde relativizzando – certo non cancellando di colpo – antichi vincoli che erano costitutivi della religiosità ebraica si pensi ad esempio all’etnocentrismo, che trovava un puntuale contrassegno nel rito della circoncisione – ed emancipandosi via via dalla subordinazione alle appartenenze familiari.

Non c’è dubbio che alcune affermazioni che il Nuovo Testamento attribuisce al nazareno e che verranno in seguito riprese dall’apostolo Paolo, si giustificano solo dentro questo movimento di graduale affrancamento spirituale da tutele antichissime e sclerotizzate.

Quando Gesù afferma, a titolo di esempio, che «il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc. 2:27), è difficile non vedere un sovvertimento del principio di subordinazione al precetto che aveva prodotto forme molteplici di “tirannia” religiosa; l’affermazione gesuana non intendeva disconoscerne il valore ma ricollocarlo nella dimensione del servizio che il comandamento di Dio intende rendere all’umanità.

Quando Gesù dissuade un potenziale discepolo dall’attendere il seppellimento del padre, in ultima analisi intende svincolarlo da un meccanismo di stretto assoggettamento gerarchico tipico della famiglia tradizionale del tempo, ma così facendo disarticola l’istituto familiare tradizionale.

Quando l’apostolo Paolo, nella sua prima epistola ai Corinzi (6:19) asserisce che il corpo è tempio dello Spirito Santo, pur nel quadro di una correzione polemica di atteggiamenti licenziosi giustificati probabilmente con il ricorso a una mistica della spiritualità emancipatrice, pone le basi, forse persino inconsapevolmente, per una futura rilettura valorizzatrice della corporeità individuale e della persona.

Naturalmente sappiamo bene che l’intenzione non era quella di perseguire un individualismo narcisistico e autoreferenziale: esiste un forte richiamo anche all’idea del gruppo e della comunità, ma la fede neotestamentaria, pur con accenti inevitabilmente diversi, si muove verso una maggiore identificazione della soggettività individuale rispetto ai soggetti istituzionali e collettivi che allora primeggiavano sugli individui. La scelta del rito battesimale come introduzione alla comunità cristiana ne è un evidente connotato.

La chiesa nella storia

Si ha poi l’impressione che sin dalla fine del primo secolo si accentuino ruoli e figure – quella dell’episcopo (1) è certamente la più nota e duratura – che tendono  a prevalere e talvolta prevaricare sull’insieme comunitario, con il fine di erigere paratoie difensive ai numerosi attacchi esterni e ai micro scismi interni, talora causati anche da improvvise investiture carismatiche.

La chiesa cristiana, nell’atto di difendersi da situazioni considerate pericolose, (2) adotta via via una struttura eminentemente gerarchica – si parlerà più tardi di monoepiscopato – e così facendo estenua la via di una possibile sinodalità, ancora peraltro poco sviluppata se non nella forma del collegio degli episcopi o dei presbiteri. (3) Sinodalità che, con opportuni bilanciamenti, avrebbe potuto garantire un ascolto attento delle diverse espressioni del sentire individuale cristiano. Va oltretutto osservato, parimenti, che il principio carismatico contenderà lungamente con il principio istituzionale.

Già nel cristianesimo primitivo, quello che è largamente rappresentato dal Nuovo Testamento, abbiamo notizia del manifestarsi di un pensiero diverso, plurale e anche antagonista. Come altro valutare altrimenti il tono polemico che l’apostolo Paolo adotta nei confronti dei diversi evangelizzatori e ispiratori dei disordini in Galazia? Oppure come altro valutare l’aspra polemica antidocetista che troviamo nelle epistole giovannee? Tanto il docetismo quanto il giudeocristianesimo di lingua aramaica furono infatti fenomeni interni al cristianesimo.

Il Nuovo Testamento registra, il più delle volte in forma irriflessa, questa copiosa pluralità di testimonianze evangeliche non di rado in tensione e in competizione tra di esse. Cionondimeno il ricorso alla scomunica è ancora episodico e sovente  si giunge ad una riconciliazione mediante lo scambio reciproco della mano di associazione. Il tardo secondo secolo segnerà per contro una escalation di tensioni e di ripudio teologico a causa dei molti fenomeni di dissenso che sorgeranno all’interno della chiesa: lo gnosticismo, il montanismo, e più tardi il donatismo.

In questa fase tuttavia, il dissenso, ancorché apertamente qualificato come eresia si pensi all’opera di Ireneo – in alcune sue forme è ancora ben tollerato purché non tocchi l’essenza stessa della fede, e comunque lo scontro rimane sul piano delle idee, del vivace dibattito teologico. Certo, la fissazione del canone delle Scritture  avrà nello stesso periodo la funzione di definire una piattaforma contenutistica e normativa per la fede che escludeva determinate letture della figura di Gesù e dell’essenza della divinità e sanzionava così un pluralismo non indifferentista e arbitrario.

La chiesa post-costantiniana

La situazione cambierà ancora nella chiesa post-costantiniana, quando cioè con progressiva evidenza si affermerà un modello di chiesa protetta e patrocinata dall’Impero. A quel punto il dissenso ecclesiale non sarà più affrontato all’interno di dinamiche tensive, pur sempre esclusivamente ecclesiastiche, ma si avvierà a essere governato, quantunque talvolta all’interno di concili, sotto la giurisdizione via via più incisiva del potere temporale e contrastato come un fenomeno pericoloso non solo per le sorti della Chiesa ma altresì per le sorti dell’Impero. Occorre, al riguardo, identificare in Agostino di Ippona il vero teorico dell’intervento del principe cristiano contro gli scismatici ed eretici che minano l’integrità della chiesa cattolica. (4)

Si affermerà via via il principio che l’unità della fede, identificata con l’uniformità religiosa, sia necessaria alle sorti dell’Impero. (5) Questa funzione ideologica di sostegno all’Impero produrrà nella chiesa cristiana il progressivo e ineluttabile slittamento verso forme di autoritarismo e di progressivo irrigidimento dell’istituzione ecclesiale, complice la struttura sempre più verticistica che essa andava assumendo. Rispetto a tale fenomeno la nascita del monachesimo si configurò infatti come una protesta contro un’eccessiva politicizzazione e secolarizzazione della chiesa nel nome di un ritorno a modalità di esercizio della fede più autentiche e radicali. (6) Persino l’isolamento catartico di stampo eremitico esprimeva quasi fisicamente questa presa di distanza dal mondo e da forme di religiosità troppo accomodanti.

Il monachesimo rappresentò dunque una forma di dissenso spirituale più che teologica, che però, specie nella sua versione orientale, non intese rompere con l’istituzione ecclesiale ma semplicemente isolarsi da essa. Rimane il fatto che il medioevo cristiano, sia in Oriente che in Occidente sia stato nelle sue forme più promettenti e longeve, nelle sue espressioni più vivaci e autentiche, un medioevo soprattutto monastico. Cioè la chiesa nel medioevo è stata soprattutto tenuta in vita da queste variegate, eccentriche e colte espressioni di dissenso disciplinato rappresentato dal monachesimo. Non è un caso se tre dei fiori più rigogliosi e vivaci siano sorti, in qualche modo, nel chiostro monastico, ovvero: Domenico di Guzman, Tommaso d’Aquino e Francesco d’Assisi.

Ma anche il monachesimo che si esprimeva come dissenso spiritualmente qualificato, non fu capace di tollerare molto la diversità e la proliferazione degli ordini ne fu l’unico esito possibile.

Le chiese della Riforma protestante

Duole riconoscere che esiste una distanza tra il mito della Riforma protestante – nata dal «non posso né voglio ritrattare niente»…  pronunciato da un monaco agostiniano – Martin Lutero, in obbedienza alla propria coscienza prigioniera solo della Parola di Dio – e la storia della trattazione del dissenso all’interno delle chiese protestanti.

Per quanto si possa comprendere che nessun corpo ecclesiale possa tollerare qualunque dissenso e qualunque opinione divergente, quasi non esistesse un sensus ecclesiae, rimane pur sempre colpevole la furiosa e talvolta violenta repressione del dissenso, anabattista innanzitutto, o di forme di radicalismo biblico e spiritualista. I riformatori del XVI secolo ben presto dovettero decidere se accettare, tollerare o ripudiare e sopprimere forme di dissenso che si svilupparono in seno alle loro comunità. Si deve altresì riconoscere che le forme di dissenso sulle quali maggiormente si concentrarono gli strali e le invettive dei riformatori magistrali, furono quelle che, ancora una volta, mettevano in pericolo innanzitutto le fondamenta religiose della società e poi l’esistenza stessa della chiesa come unanime assemblea degli eletti. Facciamo due esempi:

Il movimento anabattista venne perseguitato non tanto per il dissenso religioso, specie sul battesimo che esso dichiarava, quanto piuttosto per le implicazioni sociali e politiche che il battesimo degli adulti (altrimenti detto dei credenti) comportava. L’accelerazione verso una chiesa confessante, diciamo così, cioè composta esclusivamente da membri che aderivano scientemente al battesimo cristiano e alla incorporazione a Cristo, avrebbe determinato con largo anticipo la fine della societas cristiana e innescato in anticipo un processo di forte secolarizzazione della società per la quale tutti i riformatori, chi più chi meno, nutrivano severe riserve.

Gli antitrinitari, come Serveto o i cugini Sozzini, furono perseguitati a causa del danno che le loro posizioni arrecavano alla chiesa e alle anime. La chiesa riteneva ancora che ogni forma di dissenso teologico, specie su questioni essenziali (i cosiddetti fundamentalia fidei), costituisse un pernicioso elemento di discrasia del principio di fedeltà alle Scritture cui la chiesa doveva aderire senza indugio.

Le posizioni dei riformatori non furono certo sempre univoche: si possono ad esempio operare distinzioni tra l’atteggiamento più comprensivo e titubante di Lutero e quello più intransigente di Calvino, per quanto quest’ultimo tentò, a suo modo fino all’ultimo, di sottrarre al rogo Serveto. Quasi tutte furono comunque concordi nell’identificare la chiesa come comunione di santi che confessavano Dio nel medesimo modo.

Le voci contrarie si levarono da parte degli esuli per motivi religiosi e da parte di umanisti e religiosi molto importanti come Sebastiano Castellione che, probabilmente con la collaborazione dell’esule piemontese Celio Secondo Curione (1503-1569), scrisse sotto pseudonimo il volume De haereticis an sint persequendi, ponendo al centro della sua argomentazione la libertà di coscienza dell’individuo di fronte a Dio. Ma alla libertà di coscienza si opponeva sovente da parte avversa la necessità della «retta coscienza» obbediente alle Scritture e coerente con la tradizione interpretativa maturata nei secoli.

Le ortodossie confessionali che fiorirono nel corso della seconda generazione, non lasciarono particolare spazio al necessario manifestarsi del pluralismo interno alle chiese. L’ortodossia irrigidì anzi l’istanza dogmatica anche in funzione di consolidamento del confessionalismo nascente, e non seppe dunque offrire alcuna ospitalità alla richiesta di ascolto che proveniva da voci in dissenso e da movimenti minoritari.

La vicenda e l’epilogo amaro dell’arminianesimo ne è un chiaro esempio. Saranno i risvegli, nati da una reazione all’asfissia dogmatica e controversistica delle ortodossie riformate e luterane, a rimettere al centro l’esigenza della predicazione alle anime in ascolto della Scrittura e nella consapevole necessità di coinvolgere tutte le voci individuali della ecclesiola.

Un frutto del risveglio fu certamente la reazione anti-istituzionale ed egualitaria dei Quaccheri o dei fratelli di Plymouth, che garantirono una forma di chiesa più plurale e più inclusiva. Ma anche le chiese nate dai risvegli non furono sempre coerenti nel garantire la libertà di coscienza e di dissenso al loro interno.

Il cristianesimo contemporaneo

Il cattolicesimo moderno e contemporaneo per contro ha conosciuto un progressivo compattamento intorno ai canoni del concilio di Trento e alla definitiva primazia della giurisdizione papale, per quanto non siano certo mancate tensioni e voci distinte al suo interno.

La crisi modernista nel sorgere del XX secolo è stata avvertita come un’autentica sciagura e un compendio degli errori della modernità introdottosi nella grande muraglia della chiesa. Dunque la reazione pontificia al modernismo fu ruvida e tenace, persino dispotica, e determinò un irrigidimento ecclesiale i cui effetti giunsero fino al concilio Vaticano II. In un simile clima le voci e i movimenti interni alla chiesa – che nel nome di un recupero del metodo storico-critico di indagine desideravano offrire il proprio contributo al superamento del ritardo che la Chiesa aveva accumulato rispetto ai tanti fermenti e alle principali istanze della modernità, costituendo una nuova apologetica cattolica di impronta non più neo-scolastica, furono tacitate, ostracizzate e scomunicate senza alcun riguardo: dall’esegeta  francese Alfred Loisy (1857-1940), allo storico Ernesto Buonaiuti (1881-1946)  e  persino al romanziere Antonio Fogazzaro (1842-1911), per fare soltanto alcuni nomi illustri.

Parimenti anche il protestantesimo all’inizio del XX secolo conobbe, principalmente negli USA, il diffondersi di un movimento fondamentalista che rivendicava la necessità di una reazione apologetica a quello che appariva il progressivo estenuarsi di una identità di fede connessa ad alcuni principi dottrinali quali: l’inerranza della Scrittura, la nascita verginale di Cristo e la sua opera espiatrice vicaria, la risurrezione fisica e il suo ritorno personale, ecc. Il fondamentalismo così qualificato in seguito – introduceva così il profondo e intransigente sospetto verso ogni intenzione dialettica tra la chiesa e la modernità critica, ma anche tra la chiesa e il socialismo, se si considera che tra i suoi bersagli polemici preferiti vi fu anche il movimento del Social Gospel.

Il Novecento è stato anche il secolo in cui ha avuto inizio il moderno movimento ecumenico, la cui genesi è convenzionalmente fatta risalire al congresso missionario di Edimburgo del 1910.

Al di là di quelle che erano le preoccupazioni, missionarie appunto, che nel tempo hanno occasionato quell’evento, i suoi sviluppi hanno consentito una vera e, per certi aspetti, inedita libertà di espressione e di coscienza all’interno della chiesa. Il dialogo ecumenico infatti, ovviamente dopo il Concilio Vaticano II, ha fatto emergere sovente una libertà cristiana che nelle singole chiese e nei dialoghi interni non era conosciuta.

Il confronto ecumenico infatti non è stato soltanto confronto tra corpi ecclesiali ma anche e soprattutto confronto e reciproca accoglienza tra credenti, tra storie diverse, tra sensibilità che mai avevano conosciuto intra muros, per così dire, una simile libertà di espressione e di coscienza anche rispetto alle proprie chiese di appartenenza.

Nel dialogo ecumenico ciascuno ha imparato chi era riconoscendo nell’altrui espressione di fede le radici feconde della propria libertà nella fraternità. Nell’ospitalità eucaristica praticata da decenni in alcune assemblee ecumeniche come le sessioni del Segretariato Attività Ecumeniche (SAE), per fare un esempio italiano, tra protestanti, cattolici e ortodossi, si è celebrata simbolicamente ma efficacemente una festa della libertà di coscienza cristiana e di libertà di comunione in aperto e cionondimeno affettuoso dissenso, sovente con le proprie chiese di appartenenza.

Conclusione

In maniera un po’ rapsodica e necessariamente sintetica si è voluto ricordare quanto difficile sia stata e continui ad essere la storia della libertà di coscienza e di dissenso nelle chiese.

La libertà di religione, da ogni fede stabilita; la libertà della chiesa, da ogni ingerenza politica; la libertà di fede, da ogni magistero unico e infallibile, sono state ottenute con molta fatica e grande sofferenza. Rimane il traguardo di una libertà di dissenso e di coscienza, da un sentire comune ecclesiale, pur restando convintamente all’interno della propria tradizione confessionale.

Il pieno raggiungimento di questo traguardo è possibile a patto di resistere a facili rigurgiti identitari cui le chiese e le religioni sono esposte, oggi più che mai, e ricusare altresì goffi e a volte ostinati tentativi di nuove forme di reclutamento da parte del potere politico per funzioni di sostegno ideologico o etico.

Dal pieno raggiungimento di questo traguardo dipende la capacità delle chiese di rappresentare al proprio interno un compiuto modello di accoglienza e di dialogo, non annullando le distanze ma abitandole. La comunione ecclesiale si misura sulla capacità di accogliere sensibilità diverse senza omologarle a un modello esclusivo. La concordia sociale e politica, che non teme il dissenso,  anzi lo nobilita, si gioverebbe molto anche di un esempio di comunione nelle chiese e tra le chiese che non nasconda le differenze ma sappia intrecciarle e renderle fruttuose.

Davide Romano – Direttore di Coscienza e Libertà

NOTE

1 Cfr. Ignazio di Antiochia, Didachè, Lettere a Diogneto, Paoline, Milano 2002, p. 42, ove Ignazio, nella lettera ai cristiani di Efeso, comanda di accogliere la persona del vescovo come si accoglie Dio stesso.

2 Il contrasto verso l’eresia intra-cristiana tra il primo e il secondo secolo, lascerà ben preso maggiore spazio alla polemica contro i Giudei e contro i pagani, come ad esempio l’opera apologetica di Ireneo da Lione dimostra. Si veda ancora Ignazio  di Antiochia, ibidem, p. 43.

3 Cfr. E. Prinzivalli, A. Saéz, Le molteplici strade del vangelo e il consolidamento ortodosso del III secolo, in E. Prinzivalli (a cura di), Storia del Cristianesimo. 1 L’età antica (sec. I-VII), Carocci, Roma, 2019, p. 108.

4   Nestorio, in occasione della sua consacrazione a vescovo di Costantinopoli, poteva esprimere nel suo sermone all’imperatore Teodosio: «Dammi, o principe, la terra libera dagli eretici e io ti darò il cielo come ricompensa. Aiutami a distruggere gli eretici e io ti aiuterò   a vincere i persiani». Si veda, P.  Ricca, Alle origini della libertà religiosa, in Religioni e libertà: quale rapporto? Per una giornata nazionale della libertà di coscienza, di religione e di pensiero, G. Platone (a cura di), Torino, Claudiana, 2008, p.16.

5 Si legga in proposito all’utilità dell’intervento dei poteri legali, Agostino, Lettera 185. Trattato sulla correzione dei donatisti, nn. 28-34.

6 Cfr. K. Lehmann, Tolleranza e libertà religiosa. Storia e presente in Europa, Queriniana, Brescia, p. 23. Si veda parimenti M. Babic, Il cristianesimo: dalla religione di Stato alla libertà religiosa, in Concilium. Rivista internazionale di teologia, vol. 4, 2016 p. 29.

7 Cfr. F. Vecoli, Il monachesimo antico, in E. Prinzivalli (a cura di), Storia del cristianesimo.1 Letà antica (sec. I-VII), Roma, Carocci, 2019, p. 283.

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