Il Parlamento è la sede per antonomasia del potere legislativo pur in un caleidoscopio mondiale di sfaccettature. Tuttavia è ben notorio che il valore e la forza della legge negli Stati contemporanei risulta significativamente indebolita dall’incapacità di regolare la complessità del mondo reale e le continue trasformazioni dei processi socio-tecnologici. E quindi in buona parte sostituita da altri modi di normare, dalla soft law al diritto dei privati. Ma l’afasia e l’apatia della legge è altresì dovuta alla superficialità e all’infingardaggine dei parlamentari e governanti con i loro annessi staff che redigono testi sovente sgrammaticati, con marchiani refusi (1) ovvero incomprensibili, ambigui, vaghi e oscuri, degni di legulei manzoniani. Essi minacciano la certezza del diritto, l’equilibrio fra i poteri costituzionali, l’efficienza della giustizia e, in ultima analisi, l’osservanza stessa della legge (2) quale fissata in Italia dal dovere ex art. 54, primo comma, Cost. Per non parlare delle cosiddette leggine, ovvero leggi provvedimento che si sono succedute nei decenni di storia repubblicana quali aventi a tema materie pacificamente disciplinabili a mezzo normazione regolamentare secondaria se non meramente amministrativa (3).

Peraltro, accanto alle tre classiche funzioni parlamentari riconducibili all’azione legislativa, all’attività d’indirizzo e all’opera di controllo, se ne accosta una quarta che é emersa in tempi più recenti, per quanto poco scrutinata dalla dottrina.

Si tratta della funzione dialogante che è volta a costruire un costante e permanente dialogo con le espressioni della società civile e degli interessi organizzati. L’obiettivo è intraprendere un continuo confronto con i destinatari dell’azione parlamentare onde assicurare la qualità dei processi decisionali e l’efficacia degli atti adottati (4).

All’evidenza si materializza una funzione strumentale all’esercizio delle restanti del Parlamento posto che, per svolgere degnamente l’attività legislativa interpretando correttamente i desideri della Nazione e affrontando i problemi del Paese, occorre che le Assemblee non si rinchiudano in una sorta di turris eburnea per l’intera durata del mandato elettivo. Al contrario, il Parlamento dovrà sistematicamente aprirsi alla società civile onde ascoltare gli interessi che maturano nel Paese e compiere scelte nell’interesse generale.

Tali momenti di dialogo fra le istituzioni parlamentari e la società civile si distinguono a seconda del soggetto attivo e del ricettore dell’iniziativa. Così, se esiste un processo ascendente dalla società civile al Parlamento fondato su alcuni strumenti partecipativi previsti nelle Costituzioni, altrettanto esiste un processo  discendente dal Parlamento alla società civile disciplinato nei regolamenti parlamentari.

Circa la fase ascendente il riferimento è alle disposizioni costituzionali che assicurano il ruolo delle formazioni sociali e garantiscono il diritto di libera associazione, il diritto di partecipazione popolare, il diritto d’iniziativa legislativa popolare e il diritto di petizione. In Canada e nel Regno Unito la petizione è uno strumento con cui non soltanto si esprime una doglianza, ovvero una necessità al Parlamento, ma anche un mezzo con cui un parlamentare, su diretto impulso di un suo elettore, presenta una formale richiesta al Governo. Così, le petizioni pubbliche indirizzate alla Camera dei comuni, ovvero presentate dai deputati, rappresentano una delle vie di comunicazione più dirette tra il Parlamento e i cittadini. Le petizioni sono quindi uno strumento per influenzare – almeno in via teorica – il processo di decisione politica portando all’attenzione delle Assemblee legislative questioni d’interesse dell’opinione pubblica.

Le petizioni, al pari delle altre prerogative riconosciute a livello costituzionale, sono disciplinate nel dettaglio dai regolamenti parlamentari che hanno però generalmente individuato ulteriori forme di «ascolto» delle componenti della società. Il riferimento è alla possibilità di svolgere inchieste parlamentari, indagini conoscitive ovvero udienze legislative.

In questo quadro s’inseriscono le determinanti regole volte a disciplinare la partecipazione dei portatori d’interessi particolari (i cosiddetti lobbisti) nel processo decisionale del Parlamento onde regimare le sue attività ed evitare che trascendano nel puro clientelismo, se non nella mera corruzione.

Negli Stati Uniti esiste un vero e proprio diritto costituzionale a influenzare il processo decisionale del Parlamento posto che sin dal I Emendamento del 1791 è fissato il right to petition to the government. Considerato che il termine petition deve tradursi con il termine lobby, che significa influenzare, non si tratta del semplice diritto di presentare petizioni bensì di un diritto più ampio teso a esercitare la propria influenza sui decisori pubblici. La conseguenza è stata la previsione nei regolamenti del Congresso americano della cooptazione dei gruppi di pressione sin dalla fase istruttoria dei provvedimenti mediante specifiche udienze (hearings). Nonché l’istituzione, sin dal Federal Regulation of Lobbying Act del 1946 (poi sostituito dal Lobbying Disclosure Act del 1995, a sua volta sostanzialmente  modificato dall’Honest Leadership and Open Government Act  del 2007), di un registro pubblico dei lobbisti.

Tale disciplina, tesa a includere gli interessi organizzati della società civile nel processo legislativo secondo regole trasparenti, si rinviene anche in altri ordinamenti, soprattutto di stampo anglosassone. E’ il caso anzitutto del Regno Unito laddove l’United Kingdom Public Affairs Council (UKPAC) è un organismo creato nel 2010 allo scopo di riunire le tre principali organizzazioni lobbistiche (5) con- servando un elenco pubblico a iscrizione volontaria in cui sono iscritte di fatto tutte le lobby onde evitare ogni perdita di credibilità. Piú recentemente, con il Transparency of Lobbying, Non-Party Campaigning and Trade Union Administration Act del 2014, è stato previsto che i consultant lobbyists, ovvero coloro che svolgono attività di lobbying per conto terzi, devono obbligatoriamente iscriversi in un registro pubblico tenuto dal Registrar of Consultant Lobbyists, autorità indipendente che vigila sulla correttezza delle informazioni trasmesse e può irrogare sanzioni pecuniarie e amministrative in caso di violazioni degli obblighi. A sua volta, nel giugno 2015, la responsabilità della tenuta del registro dei lobbisti è passata  al  Chartered Institute of Public Relations (CIPR), associazione professionale dei lobbisti esistente sin dal 1948, che sovrintende all’United Kingdom Lobbying Register. Si veda emblematicamente al riguardo la  recente vicenda  con annesse polemiche sul soggiorno «privato» ai Caraibi del Premier Johnson, quale indicato dal medesimo nel Register of Interests come «dono» da parte di un noto tycoon. Tale registro è tenuto da organismo governativo per assicurare trasparenza sugli interessi finanziari dei suoi membri e allontanare il rischio d’eventuali conflitti o violazioni dell’etica pubblica.

Identici meccanismi sono presenti in Australia, Canada e Israele. Particolarmente nell’ordinamento canadese, sin dal Lobbyist Registration Act del 1989 è stato fissato l’obbligo di iscriversi in un albo pubblico indicando i propri dati, le fonti di finanziamento e di redigere una relazione annuale sull’attività svolta.

In Francia lo stesso strumento di trasparenza lobbistica è stato introdotto nel 2009, quando ambedue le Camere istituirono un registro pubblico in cui sono tenuti a iscriversi coloro che svolgono attività di lobbying. L’iscrizione non è obbligatoria ma i soggetti che si iscrivono hanno diritto di accedere alle Camere e visionare in anteprima la documentazione parlamentare (per esempio il fascicolo degli emendamenti) con divieto di cedere gli atti a titolo oneroso, di ottenere informazioni con mezzi fraudolenti, fornire informazioni parziali, erronee o inesatte, nonché di svolgere attività commerciale o pubblicitaria all’interno delle sedi istituzionali.

Esperienze di segno diverso

Al contrario, in altri ordinamenti mediterranei (Grecia, Italia, Portogallo e Spagna) nonché in tutti i Paesi dell’Europa centro-orientale e Latinoamericani, il rapporto fra lobbisti e parlamentari è avvolto da una totale oscurità per motivi riconducibili al ruolo, pressoché di monopolio, dei partiti politici nell’intermediazione fra Stato e società civile, al basso livello di cittadinanza attiva nonché pure al «mito» dell’interesse pubblico di stampo francese, che solo nell’ultimo ventennio sembra in via di lento superamento. Infatti, in forza di una deleteria visione giacobina del  processo decisionale, si riteneva che il decisore pubblico, e quindi anche il parlamentare, dovesse rappresentare l’interesse generale quale frutto di una valutazione autonoma e indipendente dai fattori socio-economici e culturali. Tuttavia, oggi, l’assenza di confronto con i destinatari della decisione appare insostenibile, posto che chiunque sia chiamato ad assumere decisioni di rilevanza pubblica deve necessariamente acquisire informazioni tecniche da chi opera nel settore oltre a verificare l’impatto della decisione sui destinatari, al fine di evitare effetti non voluti.

D’altro canto è noto come nel nostro Paese l’istituto della petizione al Parlamento sia, per quanto ancora utilizzato, del tutto sminuito e raramente capace di influenzare l’attività delle Camere (6). Né il cittadino elettore detiene titolo ad agire quale potere dello Stato avanti la Corte costituzionale in sede di conflitto di attribuzione contro l’Assemblea parlamentare che non esamina la sua petizione (7). In Italia la partecipazione di individui e interessi organizzati al procedimento normativo non è in alcun modo regolamentata in maniera sistemica a livello nazionale e forse mai lo sarà. Si è infatti parlato di regolamentazione «strisciante ad andamento schizofrenico» (8) laddove sono in primis i politici a non  gradire una disciplina delle lobbies che li attorniano in chiave clientelare onde perpetuare così anche le forme più svariate e innominabili di corruttela. A livello regionale, tuttavia, esistono diverse norme finalizzate a includere i lobbisti nel processo decisionale. Tutti gli Statuti regionali individuano specifici strumenti, mentre alcuni ordinamenti regionali – come Abruzzo, Calabria, Emilia-Romagna, Lombardia, Molise, Toscana e Umbria –, prevedono normative specifiche che, nonostante rappresentino buoni esempi di analisi e sintesi del fenomeno, difettano però del tutto di un’effettiva e concreta attuazione (9).

L’esame comparato denota come nei sistemi parlamento-centrici in cui l’assise è forte, sussiste sempre una strutturata regolamentazione del rapporto fra rappresentanza parlamentare e lobbies. Al contrario, alla mancata disciplina corrisponde un Parlamento debole con il cosiddetto assalto alla diligenza da parte    dei «poteri selvaggi» della società civile (10). Infatti è comprovata l’equazione di proporzionalità inversa per cui la valenza degli interessi organizzati è tanto maggiore quanto minore è l’azione di governo delle istituzioni rappresentative (11). L’approccio che connota gli ordinamenti anglosassoni appare tuttavia in espansione anche nel resto del mondo, da sempre recalcitrante di fronte a sistemi di legislazione condivisa in Parlamento. Del resto, la democrazia rappresentativa necessita di un dialogo costante e trasparente tra decisore politico e interessi organizzati di pressione ed è naturale e auspicabile che tale rapporto non si esaurisca in occasione del finanziamento privato delle campagne elettorali. Le regole da introdurre sono perciò finalizzate a riordinare quel “confusionismo sociale” che contraddistingue, nell’assenza colpevole di norme, le democrazie pluraliste (12). Inoltre ne risulterebbe incrementata la connotazione democratica della legge parlamentare (13).

Nei sistemi democratici le Costituzioni e i regolamenti parlamentari devono de- finire limiti e garanzie quanto più organiche e puntuali possibile, affinché la decisione legislativa sia assunta secondo regoli trasparenti e nel rispetto di principi etici che assicurino l’indipendenza del decisore e il divieto di ogni vincolo esterno al suo mandato parlamentare. E’ quindi proprio in Parlamento che i gruppi organizzati della società civile devono trovare un ruolo parossistico perché le assise parlamentari sono le istituzioni aperte alla società, un luogo d’inclusione i cui atti e le sedute sono pubblici.

Il futuro dei Parlamenti nazionali, culle della democrazia, si gioca quindi tutto sull’adagio del costituzionalista Manzella per cui «all’incontro tra la filiera verticale della rappresentanza generale e la filiera orizzontale delle rappresentanze organiche c’è il Parlamento che può ritrovare un ruolo centrale di prestazione di garanzia e di integrazione dell’ordinamento» (14).

Fabio Ratto Trabucco – Professore a contratto in Diritto pubblico comparato all’Università di Cassino e del Lazio meridionale

NOTE

1 Un esempio di errore grammaticale contenuto nella disposizione di cui all’art. 58, c.1, d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361,  recante  il  testo  unico  delle  leggi  recanti  norme  per l’elezione della Camera dei deputati (sino alla modifica e relativa correzione  apportata dall’art. 1, c. 10, lett. a), l. 21 dicembre 2005, n. 270), per cui il presidente  di seggio elettorale «estrae dalle rispettive cassette o scatole una scheda per l’elezione del candidato  del collegio uninominale e le consegna all’elettore», quale evidenziata in corsivo la palese discordanza della forma. Cfr. G.G. Floridia, Partita a tre. La disciplina elettorale tra Corte, referendum e legislatore, in «Giurisprudenza costituzionale», 1995, 1, 106.

2   Cfr. T.E. Frosini, Rappresentanza e legislazione nell’età della globalizzazione, in «Annuario di diritto pubblico comparato e di studi legislativi», 2017, 1, 305.

3 Un esempio palese di legge provvedimento è la l. 19 luglio 1988, n. 310, recante «Intervento straordinario per la riparazione di una gru danneggiata nel porto di Ancona», quale esito del disegno di legge d’iniziativa governativa Atto Senato n. 738.

4 Cfr.  P.L. Petrillo, I Parlamenti, in T.E. Frosini (cur.), Diritto pubblico comparato. Le democrazie stabilizzate, Bologna, 2019, 147.

5   Association of Professional Political Consultants (APPC), Chartered Institute of Public Relations (CIPR) e Public Relations Consultants Association (PRCA).

6 Cfr. M. Lussana, Dall’uniforme scolastica all’antidoping a Sanremo: in Parlamento arrivano le petizioni più strane, in http://notizie.tiscali.it/politica/articoli/petizioni-strane-in-parlamento-/, 13 novembre 2019.

7   Corte costituzionale, ordinanza 20 marzo 2009, n. 85. Cfr. F. Fabrizzi, Gli “esclusi” dai conflitti tra poteri dello Stato, in «federalismi.it», 2011, 13, 4-5 e R. Romboli, In tema di conflitto tra poteri dello Stato, in «Il foro italiano», 2009, 7-8, 1988-1990.

8 Cfr. P.L. Petrillo, Forme di governo e gruppi di pressione, in «Rassegna parlamentare», 2015, 3, 565-618.

9 Cfr. A. Zagarella, P.L. Petrillo, Interessi organizzati e individui nei processi decisionali pubblici regionali, in «Percorsi costituzionali», 2016, 1-2, 113-134.

10   Cfr. L. Ferrajoli, Garantismo e poteri selvaggi, in «Teoria politica», 1998, 3, 11.

11 Cfr. L. Paolazzi, M. Sylos Labini (cur.), Cambia Italia, Roma, 2012, 67.

12 Cfr. A. Lucarelli, La partecipazione al procedimento amministrativo tra democrazia e disordine sociale, in «Politica del diritto», 2003, 1, 130.

13   Cfr. P. Torretta, Qualità della legge e informazione parlamentare, Napoli, 2007, 87-88.

14 Cfr. P.L. Petrillo, I Parlamenti, cit., 172-175.

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