Le democrazie si reggono sul principio di affidamento, e cioè sulla ragionevole presunzione che l’apparenza corrisponda a realtà […]. Esiste un nesso inscindibile tra verità e democrazia perché la menzogna inganna il cittadino sullo stato delle cose e quindi gli impedisce di esercitare efficacemente i suoi diritti politici. La verità sta alla democrazia come la menzogna sta alla sua assenza.

Luciano Violante, Politica e menzogna, Einaudi, 2013.

Il complottismo non si cura della verità né dell’autenticità delle proprie tesi, ma solo della loro verosimiglianza al fine di insinuare il dubbio su ciò che appare. Karl Popper, tra i primi studiosi del fenomeno, nel suo La società aperta e i suoi nemici, già nel 1945 notava come le teorie cospirazioniste si rifacessero a una visione del mondo per cui esso fosse governato da un disegno basato su tre principi: niente succede per caso, niente è come sembra e tutto è interconnesso. La teoria del complotto fornisce una spiegazione semplice di quanto accaduto, individua il nemico al quale attribuire la responsabilità del misfatto, conferendo paradossalmente un senso di sicurezza.

L’odio

Il mondo occidentale è nelle mani di alcuni potenti che nell’oscurità tramano affinché, attraverso l’immigrazione massiccia, si compia la «sostituzione etnica»: è una delle tante teorie del complotto che popolano il web e i social network, la cui pericolosità è tornata tragicamente alla ribalta in occasione della strage di Christchurch in Nuova Zelanda. Il 15 marzo 2019, durante la preghiera del venerdì, il sovranista bianco, l’australiano Brenton Tarrant, entra armato in due moschee della città uccidendo in diretta Facebook cinquanta persone.

La stessa teoria del complotto, della «sostituzione etnica» o del «grande rimpiazzo», è alla base della strage di Pittsburgh, negli Stati Uniti, dove il 27 ottobre 2018 si è verificato il peggior atto antisemita mai avvenuto nella storia americana: un altro suprematista bianco, Robert Gregory Bowers, fa irruzione nella sinagoga Tree of life uccidendo undici persone.

Poche settimane dopo l’attacco di Christchurch, il 28 aprile 2019, un giovane di diciannove anni entra in una Sinagoga di San Diego in California e durante la funzione della pasqua ebraica uccide a colpi di fucile una donna, ferendo anche tre persone. Poteva essere una strage se non gli si fosse inceppata l’arma semiautomatica. L’autore dell’attacco, John Earnest, qualche ora prima dell’attentato aveva caricato una lettera su un forum online in cui elogiava gli attentati al centro islamico in Nuova Zelanda e alla sinagoga di Pittsburgh.

La teoria dei suprematisti bianchi, per cui ci sarebbe un complotto teso alla «sostituzione etnica» del mondo occidentale – chiamato anche il piano Kalergi – è alla base anche dell’attentato di Charlottesville, in Virginia (USA), in cui il 12 agosto 2017 James Alex Fields ha investito con la macchina la contro-manifestazione ai suprematisti bianchi uccidendo una persona e ferendone 28, nonché della strage di Oslo e dell’isola di Utøya del 22 luglio 2011 in Norvegia, dove Andres Breivik uccise 77 persone.

Vecchie e nuove teorie

Le teorie del complotto sono una categoria particolare della «menzogna»: (1) veicolano ideologie che non solo sono una minaccia per minoranze o comunità di fede, ma possono mettere seriamente a rischio le nostre democrazie liberali. In quanto tali non sono una novità: sono sempre esistite, basti pensare al falso storico dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion risalente ai primi del ‘900 che ciclicamente vengono rievocati. Si tratta di una teoria del complotto pubblicata in Russia nel 1903 su un giornale di estrema destra, con il titolo: «Programma della conquista del mondo da parte degli ebrei». Nella storia tale teoria è stata utilizzata come fondamento del razzismo antisemita sia dal regime nazista, sia da quello fascista (2).

Alle antiche teorie cospirazioniste, mai veramente tramontate, se ne sono aggiunte di nuove date in pasto agli «haters», che grazie alla rete ne hanno centuplicato la diffusione.

Gli studiosi delle teorie del complotto sono d’accordo su un punto: dopo l’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre 2001 c’è stato un vero e proprio coming back di teorie cospirazioniste. E il concomitante arrivo della tecnologia a portata di click ha coadiuvato la nascita e diffusione di teorie del complotto su larga scala.

Revival

Lo stesso attentato alle torri gemelle è stato oggetto di numerose teorie complottiste, per cui a orchestrarlo sarebbe stata la CIA in combutta, secondo alcune versioni, con il Mossad, e secondo altre, con l’Arabia Saudita il tutto per giustificare  la guerra in Afghanistan nel 2001 e nell’Iraq di Saddam Hussein nel 2003.

Molte teorie del complotto hanno l’aria di essere delle mere curiosità. Basti pensare ai cosiddetti «terrapiattisti» che rifiutano l’idea della sfericità del nostro pianeta, o a chi crede che lo sbarco sulla luna avvenuto 50 anni fa sarebbe una gigantesca montatura. O ancora a chi pensa che il mondo sarebbe nelle mani dei rettiliani, una razza aliena che ha creato degli ibridi umani-alieni, che colonizzano i centri del potere politico ed economico da millenni. Per non parlare dei seguaci del «no-vax». La cosa si fa seria quando queste presunte cospirazioni, assai seguite, assumono tratti antidemocratici. Tra le più recenti figura la teoria statunitense del complotto di «Q», o «QAnon», i cui sostenitori credono che ci sia un’élite globale, composta da una specie di lobby pedofila, che tramerebbe contro il presidente statunitense Donald Trump, con lo scopo di sopprimerlo. Si tratta di una sorta di mega-cospirazione, in grado di contenerne al suo interno svariate, con l’anomalia di essere sostenuta da chi si identifica con il potere politico attualmente in sella negli Stati Uniti.

Molto preoccupanti anche le teorie diffuse dai cosiddetti «incells» (involontary celibates), assai diffuse su internet, per cui sarebbe in atto una cospirazione femminista contro gli uomini, soprattutto di piccola statura, tesa alla conquista del dominio mondiale. Idee che seminano odio contro le donne al punto da giustificare lo stupro e il femminicidio.

Nei mesi prima dalla firma, l’11 dicembre 2018, a Marrakech (Marocco) del «Global Migration Compact» circolavano in rete le più allarmanti teorie cospirazioniste, per cui l’intento delle Nazioni Unite era l’importazione di decine di milioni di migranti verso l’Europa per compiere la sostituzione etnica.

Coadiuvata dai social media, la proliferazione delle teorie cospirazioniste accende una retorica feroce e divisiva che possiamo definire, senza timore, fascista, razzista e antisemita a cui oggi si aggiungono retoriche islamofobe e anti-femministe.

Veleno per la democrazia

L’individuazione di un nemico preciso è una caratteristica tipica del complottismo alla quale si aggiunge un altro elemento proprio della retorica di una certa destra sovranista: quello cioè di fomentare consapevolmente la confusione tra il diritto fondamentale alla libertà di espressione e il diritto all’odio. Un meccanismo tossico per il sistema politico democratico.

Le teorie del complotto veicolano lo «hate speech», il discorso di odio che può sfociare in «hate crime», in veri e propri crimini di odio. Specialmente se il discorso di odio viene espresso con sapienza propagandistica da detentori del potere politico, i quali spacciano per realtà minacce inesistenti, conferendo nel contempo legittimità alle loro asserzioni menzognere.

Lungi dall’essere una bizzarria folkloristica, il cospirazionismo è il sintomo di una vera malattia sociale. Per molti decenni il dibattito pubblico era strutturato intorno ad alcuni grandi punti fermi – come la guerra fredda o l’antifascismo -, punti di riferimento condivisi che negli ultimi anni sono andati perduti per una maggiore complessità della realtà, ma anche per il declino delle ideologie o del sentimento religioso, almeno nelle nostre società occidentali (3). In uno scenario in cui le narrazioni di odio subiscono una «normalizzazione», ecco che si fa largo un’ideologia reazionaria che si alimenta dei problemi sociali ed economici della popolazione, vissuti molto spesso come «ingiustizia» o «discriminazione».

Sfiducia generalizzata

Se l’idea di un gruppo occulto che trama nell’ombra per raggiungere obiettivi diabolici non è nuova, oggi è importante capire le cause di questo revival. Gli studiosi sono d’accordo anche su un altro punto: teorie del complotto emergono tipicamente in situazioni storiche in cui svanisce la fiducia nei sistemi di funzionamento delle nostre società. Svanisce nei confronti delle istituzioni, del potere politico, dei mezzi di comunicazione di massa, del sistema bancario, della scienza e delle chiese. Non c’è dubbio che questo particolare momento storico è un terreno fertile per la diffusione di teorie del complotto che, coadiuvate dai social media, hanno riacceso una retorica feroce e polarizzante del discorso pubblico. Il movimento dei «gilet gialli» in Francia sembra essere una risultante di questa sfiducia. Lo stesso vale per i movimenti sovranisti e identitari nel resto d’Europa, come PEGIDA (Patriotische Europäer gegen die Islamisierung des Abendlandes), nata nel 2014, prima della AfD (Alternative für Deutschland). E mettiamoci pure i vaffa-day di Beppe Grillo. E una grossa responsabilità hanno anche certi «attori di propaganda» che approfittano di questa sfiducia generalizzata per veicolare le proprie ideologie dell’odio.

Siamo di fronte alla creazione di immaginari in cui regna il dubbio sistematico che si avvantaggia della disaffezione diffusa, per non dire della rabbia verso l’establishment, per mettere in circolazione narrazioni che a loro volta sono generatrici di odio e di sfiducia.

Aumento dell’antisemitismo

La denigrazione dell’altro, diverso da noi, è una costante delle teorie cospirazioniste. Non a caso il fenomeno si nutre anche di pregiudizi di ordine religioso. Primo fra tutti quello antisemita.

A pochi giorni dalla «Giornata della memoria» del 27 gennaio 2019, il senatore del Movimento 5 Stelle Elio Lannutti pubblicava un tweet – poi cancellato – in cui si leggeva: «Il Gruppo dei Savi di Sion e Mayer Amschel Rothschild, l’abile fondatore della famosa dinastia che ancora oggi controlla il Sistema Bancario Internazionale, portò alla creazione di un manifesto: ‘I Protocolli dei Savi di Sion’». Il senatore, nel frattempo, è stato denunciato per il reato di diffamazione aggravata dall’odio razziale dalla Comunità ebraica di Roma.

Nel 2018 l’antisemitismo ha raggiunto livelli preoccupanti in tutta Europa e soprattutto in Francia (+74%), dove imbrattamenti di negozi e profanazioni di cimiteri ebraici hanno raggiunto nuovi record negativi. A tenere banco sul fronte delle offese antisemite sono stati soprattutto i «gilet gialli», un movimento polimorfo con rivendicazioni contradittorie, dai metodi assai  discutibili.  Abbiamo visto insultare da un gruppuscolo di gilet gialli l’intellettuale francese di origine ebraica Alain Finkielkraut, accusato di «sionismo».

Una ricerca commissionata dalla francese Conspiracy-Watch evidenzia come i gilet gialli siano più permeabili alle teorie del complotto rispetto alla popolazione francese nel suo insieme. Alla domanda: «crede in un complotto sionista mondiale?», il 44% di coloro che si autodefinisce come gilet giallo dice di sì, mentre aderisce a questa versione il 22% dei francesi.

Nel giugno 2018 sempre Lannutti, riferendosi all’odissea dei migranti a bordo della nave di soccorso civile Lifeline, in un tweet affermava che le «ONG finanziate da Soros e da altri ideologi della sostituzione etnica, oltre a essere bandite dovranno essere affondate». Additato, in questo caso, è l’investitore e filantropo ebreo George Soros, di origine ungherese, fautore degli ideali democratici e fondatore della «Open Society Foundation». Nell’ottobre del 2018 tra le teorie del complotto più gettonate che circolavano sui social c’era infatti quella relativa a Soros che, come un burattinaio nell’ombra, aveva mandato i migranti, dall’Honduras via Messico, alla conquista degli USA. Un’idea che lo stesso presidente Trump avrebbe esplicitato ad alcuni giornalisti, dicendo che «non sarebbe sorpreso» se a finanziare la carovana fosse, appunto, Soros.

Colpa degli algoritmi?

Le narrazioni cospirazioniste proliferano nella rete, screditando qualsiasi «discorso ufficiale». Sono narrazioni «alternative», o alt-facts come un neologismo dell’era  della post-verità le ha ribattezzate. Naturalmente i social media hanno dato un’accelerazione al fenomeno. Tra le piattaforme che più hanno contribuito alla sua diffusione c’è YouTube, anche per il diabolico meccanismo dell’algoritmo che propone sempre nuovi contenuti simili a quello che si sta guardando. Tipicamente i complottisti attivi in rete si indirizzano ai loro «seguaci» principalmente attraverso immagini e video, usando molto poco la scrittura. La piattaforma video YouTube non fa intenzionalmente disinformazione, sia chiaro, ma è troppo facile trovare contenuti che veicolino false credenze. Lo stesso vale per Twitter, Face- book, Instagram.

Tuttavia la causa più profonda della diffusione delle teorie del complotto non  sono i social ma la «crisi di fiducia» verso le istituzioni, corredata da uno scarso spirito critico. E una grossa responsabilità nella loro  diffusione  l’hanno  anche certi «attori di propaganda» che approfittano di questa sfiducia generalizzata per veicolare le proprie ideologie dell’odio. Ricapitolando, possiamo dire che le teorie del complotto si diffondono a causa della sfiducia generalizzata, ma generano a loro volta sfiducia… un serpente che si morde la coda. Non dimentichiamo che la fiducia è alla base delle nostre esistenze: alimenta relazioni, orienta comportamenti, progetta futuro, genera speranza.

Prospettive

Le ultime rilevazioni dell’Edelman’s Trust Barometer parlano di una persistente crisi di fiducia in tutti gli ambiti. Ogni anno l’autorevole istituto di ricerca misura l’indice di fiducia nelle istituzioni, nel mondo degli affari, nei media e sui luoghi di lavoro, intervistando online 33.000 cittadini in 27 paesi nel mondo. La sfiducia persiste nell’anno 2018, con un’interessante eccezione, però, che segna un’inversione di tendenza. Per informarsi i consumatori stanno tornando ai media tradizionali, cioè alle testate giornalistiche, a scapito dei post sui social media. Ci sarebbero chiari segnali che lasciano intendere che il pubblico sta cominciando a capire l’importanza di riferirsi a fonti autorevoli e affidabili di informazione. Le fake news e le informazioni manipolatorie preoccupano, c’è maggiore consapevolezza nell’utenza. Forse si sta facendo strada la convinzione che, dopotutto, i media tradizionali rimangono il modo migliore per proteggersi da menzogne, approssimazioni, travisamenti e antagonismi.

Il ruolo delle chiese

E le chiese in tutto questo che cosa fanno? Non sono proprio loro che avrebbero un compito specifico esattamente su questo fronte? Non è il loro «core business», quello di costruire fiducia?

Da questo punto di vista è interessante il segnale che arriva dalle chiese evangeliche tedesche che per il Kirchentag (Dortmund, 19-23 giugno 2019) – la grande kermesse che ogni due anni si svolge in una città diversa della Germania – hanno scelto un motto significativo: «Quale fiducia», tratto dal secondo libro  dei Re (18:19). Nell’era della «post-verità» – si sono chiesti gli evangelici tedeschi – di chi ci possiamo ancora fidare? Delle istituzioni, dei sindacati, dei politici, delle banche? O forse delle chiese?  La fiducia è un bene prezioso, ma vulnerabile, e in questo periodo storico è messa a dura prova. Il Kirchentag ha inteso far capire quanto la fiducia – un antidoto ai pregiudizi – ci aiuti a vivere e con-vivere.

Proporre narrazioni antitetiche

C’è la necessità di ripristinare un linguaggio diverso, una narrazione capace di confronto civile, critica ma costruttiva e inclusiva, rispettosa dei principi democratici, che sappia entusiasmare le persone, e quindi sappia inondare a modo suo l’infosfera, viaggiando sui social, per portare avanti un’idea generatrice di fiducia.

Nell’era della sfiducia generalizzata, della sconfessione e del discredito, ecco che si è affacciato il movimento non-violento e planetario dei ragazzi per il clima, che si organizza e auto-documenta anche grazie ai social. Un nuovo fenomeno che si sta espandendo a macchia d’olio, nato dalla caparbietà di una ragazza sedi- cenne, la svedese Greta Thunberg, che ha cominciato da sola a «scioperare» ogni venerdì davanti al Parlamento di Stoccolma per chiamare i suoi politici ad agire: una possibilità che va nella direzione della proposta di una «nuova narrazione».

Gaelle Courtens – Giornalista della Radiotelevisione Svizzera Italiana

NOTE

1 Luciano Violante , Politica e menzogna, Einaudi, 2013.

2 Per approfondire le vicissitudini della genesi di quella che viene chiamata anche «La Bibbia dell’antisemitismo» rimandiamo a C. G. De Michelis, Il manoscritto inesistente. I Protocolli dei savi di Sion, Marsilio 2004.

3 Marie Peltier, L’ère du complottisme. La maladie d’une société fracturée, Les petits matins, 2016.

Info sull'autore

aidlr