Abstract: La qualità della democrazia in occidente sta vivendo una profonda crisi, che non può e non deve essere sottovalutata. Al contempo sono diffuse le pratiche di partecipazione politica e di attivismo civico. Mettere a sistema queste pratiche e allargare gli spazi di partecipazione è una preziosa opportunità, un diritto che andrebbe curato e favorito, così come rivendicato da tutte le comunità.
Sommario: 1. Crisi delle democrazie e movimenti collettivi. – 2. Le disuguaglianze generano insicurezze. – 3. Forme di partecipazione e sistemi democratici. – 4. La partecipazione civica come antidoto.
1. Crisi delle democrazie e movimenti collettivi
Il tema della partecipazione si è affermato nel dibattito pubblico recente, soprattutto come reazione, o possibile risposta, al problema della crisi dei sistemi democratici e della mancanza di fiducia dei cittadini nelle istituzioni. La quasi assenza di fiducia nelle capacità e nelle intenzioni di chi governa è ormai ammessa anche da istituzioni nazionali e internazionali; (1) a essere sotto accusa sono la mancanza di responsiveness (ricettività) della politica nei confronti della domanda dei cittadini, di accountability (il render conto) e di trasparenza, ma anche il meccanismo stesso della rappresentanza. Molte indagini mostrano, infatti, che in quasi tutte le democrazie occidentali i cittadini non si sentono rappresentati adeguatamente, e le élites politiche sembrano avere perso il contatto con le società che governano. (2)
Non migliora il quadro della situazione se si osserva l’andamento dei flussi elettorali recenti: la bassa affluenza alle urne è un trend che contraddistingue quasi tutte le democrazie occidentali. Nei Paesi dell’Europa occidentale la percentuale di coloro che esprimono il proprio voto è rimasta stabile fino agli anni ‘80 dello scorso secolo; dopo tale periodo si è iniziato a registrare un declino, che ha subito un’accelerazione nei seguenti anni ‘90, ancora più accentuata nel decennio successivo. (3) Anche in Italia la partecipazione elettorale, tradizionalmente elevata e stabile, ha mostrato negli ultimi tre decenni una tendenza decrescente sempre più evidente, con un calo maggiormente marcato rispetto a quello europeo. è negli anni ‘90 e 2000 che si registrano i maggiori picchi negativi di astensionismo. (4)
Eppure, è diffusa la retorica fondata sull’idea che attualmente il livello di coinvolgimento degli individui, la loro possibilità di espressione sia ampia: i social media infondono una sorta di senso di libertà, tutti possono dire la loro e farlo in qualsiasi momento, ma nella realtà dei fatti l’esprimersi solo sui social media non consente di incidere nella realtà. La propria voce si perde nell’etere, anche quando a questa si sommano tanti altri possibili consensi. I grandi cambiamenti, infatti, hanno necessità di essere collettivi, di non essere semplici voci che si sommano, ma di essere pensieri che partecipano e che costruiscono una visione sistemica e appunto collettiva. Il non volere accettare le ingiustizie, la rabbia del vivere e del toccare con mano le disuguaglianze, l’irritazione nel vedere perpetrare atteggiamenti iniqui sono – al loro nascere – manifestazioni di sentimenti individuali. Insofferenze che per trasformarsi in un dissenso costruttivo e condiviso hanno bisogno di strumenti. Si badi bene, chi gestisce e governa sa tollerare il dissenso, soprattutto se questo è atomizzato e disperso. Quando, però, il dissenso è organizzato e partecipato diventa, al contrario, una questione – se non un problema – per chi detiene il potere di decidere e determinare la qualità della vita delle persone.
La forza del movimento collettivo e della partecipazione permette a ciascuno e ciascuna di mettere in gioco il proprio pensiero individuale in un’idea collettiva. Essa consente di superare la ritrosia che è smontata agilmente in una condizione allargata: facciamo con maggiore serenità e disinvoltura ciò che avremmo più timidezza nel fare da soli; se ciò è purtroppo vero per le azioni riprovevoli, lo è anche molto per quelle che in realtà consentono di mettere in discussione uno status quo altrimenti inamovibile.
Praticare, quindi, una cittadinanza consapevole è linfa vitale per rinnovare la qualità della democrazia. Il pensiero critico permette, infatti, di porre domande, di interrogarsi in modo costruttivo. Non basta solo porsi delle questioni, ma occorre riuscire a fare in modo che queste siano efficaci. Per esserlo, nuovamente risulta importante il confronto, la declinazione di prospettive, le forme di partecipazione.
2. Le disuguaglianze generano insicurezze
«Le disuguaglianze generano effetti negativi sullo sviluppo e senso crescente di minaccia per vaste fasce della popolazione, sul piano economico, sociale e normativo (minaccia a norme e valori della comunità), con la connessa reazione autoritaria: rigetto della libertà di circolazione di persone e cose; intolleranza per le diversità e gli altri; diffidenza e risentimento verso istituzioni ed esperti; richiesta di poteri forti e sanzionatori». (5) E’ quanto afferma il Forum disuguaglianze e diversità, che evidenzia almeno cinque questioni centrali per l’Italia in un contesto evidentemente globalizzato:
- Aumenta la forbice tra ricchi e Negli ultimi trenta anni le disuguaglianze sono aumentate. è cresciuto il numero di persone che vive in famiglie in condizioni di povertà relativa. Si è allargata anche la forbice salariale: il rapporto tra il salario del 10% dei lavoratori più ricchi e quello del lavoratore mediano è cresciuto di quasi 10 punti percentuali. Stesso aumento si registra per l’indice di Gini.
- Aumenta il divario economico-sociale tra italiani e stranieri dal 1989 sia italiani che stranieri hanno visto il proprio reddito ridursi, ma la diminuzione è stata più marcata per gli stranieri residenti.
- Aumenta il divario del reddito Negli ultimi trenta anni è cresciuto il reddito degli over 60, mentre quello dei giovani tra il 19 e i 34 anni è rimasto sostanzialmente invariato fino al 2008 per poi diminuire.
- diminuisce il reddito delle famiglie più dal 2006 a oggi, sebbene ci sia stata una riduzione per tutte le classi di reddito, il calo è stato molto più forte per le famiglie che si collocano nel primo decile della distribuzione dei redditi.
- Aumenta il divario tra il nord e il sud Italia nei settori chiave di lavoro, istruzione e accesso ai servizi. Tale divario, sia pure in misura ridotta, si registra anche tra il centro e la periferia dei grandi agglomerati.
Simili problemi – seppure con ricorso a numeri assoluti diversi – si estendono a tanti Paesi in Europa, così come – con i giusti distinguo – si rintracciano nell’ampia area definita appunto delle società occidentali. Si tratta di questioni che presentano potenziali rischi per qualsiasi sistema democratico. Il sistema elettorale, ad esempio, è a rischio se l’aumento delle disuguaglianze determina l’aumento dell’astensione che, insieme alle persistenti discriminazioni di genere o di gruppo, diminuiscono la rappresentatività del sistema e allargano il peso delle lobbies economiche. I diritti civili sono a rischio se aumenta la richiesta di restrizione di diritti di gruppi minoritari da parte di una fetta consistente dei cittadini. L’accountability è a rischio se si diffonde l’idea che la maggioranza può forzare le regole e non rispettare la separazione dei poteri e i contrappesi istituzionali. è a rischio anche la partecipazione se le nuove fratture determinano polarizzazione della partecipazione con clima conflittuale, hate speech e rivendicazioni individuali e di gruppo a scapito dell’idea di bene comune.
Se tutto ciò è tristemente attuale, è altrettanto vero che – guardando con attenzione all’Italia – sono due i fenomeni che ne segnano il contesto socio-culturale e politico: senza dubbio, come si scriveva poco sopra: sono crescenti ed elevate le disuguaglianze, è diffusa la paura verso il futuro e cresce la rabbia di chi si sente lasciato indietro; tuttavia, al contempo, interagendo per lo più con le dimensioni locali si registra la tenacia dell’impegno e della creatività diffusi e portati avanti dal mondo dell’associazionismo, da alcuni circoscritti settori della Pubblica Amministrazione, ma anche da una parte avveduta e attenta del settore dell’impresa, dove lungimiranti aziende producono pratiche innovative di contrasto alla disuguaglianza. Il punto centrale è che queste impor- tanti esperienze producono cambiamenti, ma non di sistema: manca una strategia coordinata e di più ampio respiro, che potrebbe elevare a potenza le opportunità che sarebbero in grado di generarsi.
Lavorando da alcuni anni come vice segretaria di Actionaid Italia (7), tocco con mano nel mio quotidiano la capacità delle persone che vivono i territori di riconoscere, sfidare e trasformare le relazioni di potere ingiuste e ineguali che determinano la loro condizione di vulnerabilità; è visibile la capacità di adattarsi positivamente alle mutevoli circostanze e mitigare, prepararsi e riprendersi rapidamente da shock e stress, in modo tale che il benessere di se stessi e della propria comunità e il godimento dei diritti siano salvaguardati.
La percezione della perdita di legittimazione che deriva dalla crisi della rappresentanza, ha innescato una gamma di risposte di apertura alla partecipazione dei cittadini. da una parte si assiste al passaggio tra il paradigma del government – inteso come sistema centralizzato e gerarchicamente strutturato in cui un unico attore soprassiede sul pro- cesso di policy – a quello di governance. Quest’ultimo termine, utilizzato in una varietà di accezioni a partire dagli anni ‘90 dello scorso secolo, è nella sostanza una modalità di produzione di politiche pubbliche non gerarchica e centralizzata in cui si pone l’enfasi sulla collaborazione, il coordinamento, la negoziazione tra le reti orizzontali di governo, settori produttivi, segmenti della società, stakeholders, ecc. Questi nuovi approcci si basano su forme di partecipazione, ma rimangono chiaramente top-down e spesso sono solo di tipo consultivo. (8)
A livello locale molti comuni, specie di grandi dimensioni, hanno prodotto carte della partecipazione per favorire forme di governance partecipativa, come nel caso di Parigi, Roma e Madrid. diverse amministrazioni locali e regionali hanno istituito apposite strutture amministrative o assessorati competenti in materia. In Italia, molti Statuti regionali contengono norme sulla partecipazione e alcune Regioni hanno approvato specifiche normative (Toscana, Lazio, Emilia-Romagna, Puglia, Liguria). Numerosi sono anche gli accordi internazionali in materia di trasparenza, accesso e partecipazione a partire dagli anni ’90. (9)
3. Forme di partecipazione e sistemi democratici
Diversi analisti sociali hanno evidenziato, quindi, come negli ultimi cinquant’anni siano stati elaborati nuovi paradigmi politico-amministrativi incentrati sulla democrazia partecipativa o deliberativa; e siano stati ideati modelli, teorie e tecniche sulla partecipazione, così come sono state effettuate numerose sperimentazioni pratiche. (10) La promozione della partecipazione è diventata parte integrante del discorso politico, anche se spesso in modo rituale, retorico e per molti versi ambiguo. Come messo in luce da numerosi osservatori, infatti, nell’attività politica ormai c’è molta attenzione concettuale e più o meno tutto è considerato un’espressione della partecipazione: dalla militanza nei partiti all’atto del voto; dall’attivismo in un’associazione al coinvolgimento in tavoli di progettazione e/o concertazione; dai consigli comunali dei bambini all’apertura degli urban center, fino alle manifestazioni di piazza, alla trasparenza amministrativa, ai siti interattivi delle pubbliche amministrazioni, ai bilanci sociali e così via. (11)
Nella realtà dei fatti, tutte queste attività sono senza dubbio importanti per la vita democratica, ma sono tenute tra loro da una relazione concettuale troppo indeterminata perché risultino funzionali a una risposta di sistema alla crisi delle democrazie. è anche per questo motivo che appare sempre più necessario dare una definizione più specifica del concetto del partecipare e trovare i modi in cui la partecipa- zione possa contribuire al miglioramento della qualità democratica.
Ricorro alle parole di Marco Polvani, che con semplicità e adeguatezza riporta una riflessione che trovo molto efficace: «Partecipare è un verbo predicativo incompleto: come tutti i verbi predicativi (tipo mangiare, uscire, parlare ecc.) indica un’azione, ma a differenza degli altri non è autonomo, perché non ha significato se non accompagnato dal suo oggetto. Mentre infatti ha senso, in una frase, dire “sto mangiando” o “sto parlando” senza necessariamente specificare altro, non ha senso dire “sto partecipando” se non si aggiunge a cosa. Per questa caratteristica il verbo partecipare (e il suo sostantivo derivato partecipazione) può descrivere azioni spesso molto differenti. In politica, ad esempio, si parla di partecipazione a volte solo per descrivere il coinvolgimento nella definizione di una politica pubblica, in altri casi si estende il concetto anche al volontariato sociale o, al contrario, lo si limita agli atti istituzionali come il voto». (12)
Va da sé che è molto complesso pensare al processo politico come un percorso frazionabile; quindi, non è sempre fattibile differenziare la partecipazione in ambiti diversi (partecipazione elettorale, istituzionale, sociale, ecc.). Ciò detto, è fondamentale distinguere tra partecipazione politica e partecipazione civica, intesa come attività utile al buon funzionamento delle democrazie, ma non definibile appunto come iniziative propriamente politiche. (13) La partecipazione politica, quindi, si riferisce a tutte quelle attività volontarie che contribuiscono alla definizione di una politica, di un progetto o di un sistema di gestione di beni o servizi avente rilevanza pubblica. Quindi di fatto non è possibile confondere la partecipazione politica con le attività di solidarietà o di mutuo aiuto con le quali le persone si scambiano beni o servizi. Tali azioni possono per lo più essere considerate attivismo civico e assumono rilevanza politica solo in quanto inseribili in un percorso più ampio e volto a influenzare le scelte pubbliche o la definizione di policies e di programmi. Le attività di volontariato o le altre forme di cooperazione sociale potrebbero rientrare nelle pratiche di partecipazione politica solo se concorrono alla definizione di una sfera pubblica di natura deliberativa. Ciò evidenzia come sia importante distinguere la partecipazione politica rispetto al sistema teorico nel quale si inserisce. è quindi importante avere presente la differenza tra democrazia diretta, deliberativa e partecipativa, sistemi spesso confusi, ma che indicano appunto tre modi diversi d’intendere il coinvolgimento civico in politica. (14) In estrema sintesi e in una chiave prettamente di partecipazione politica, è possibile affermare che l’elemento caratterizzante della democrazia diretta è l’assunzione, da parte della cittadinanza, di una scelta vincolante su una questione pubblica senza alcuna mediazione da parte delle istituzioni rappresentative (la forma più classica di democrazia diretta è quella del referendum). (15)
La democrazia deliberativa indica quelle procedure partecipative in cui l’attenzione maggiore è rivolta ai modi in cui la cittadinanza elabora le proposte politiche, la cui approvazione interessa comunque alle istituzioni rappresentative. Gli analisti, quando studiano questo modello, si concentrano sulle tecniche e le procedure in grado di garantire discussioni di qualità negli spazi partecipativi e sui modi in cui vincolare le istituzioni a prendere in considerazione le proposte delle sfere pubbliche. (16)
Non vi è, infine, una definizione univoca per intendersi sul concetto di democrazia partecipativa, in generale quando si parla di democrazia partecipativa ci si riferisce a tutte quelle tecniche e procedure che prevedono il coinvolgimento dei cittadini nella governance politica: dai modelli assembleari a percorsi più o meno strutturati di progettazione e gestione di beni e servizi pubblici. (17) Nelle sue più recenti elaborazioni, la democrazia partecipativa non è considerata alternativa ai sistemi democratici di rappresentanza; piuttosto è spiegata come una forma di integrazione delle istituzioni rappresentative per rendere più democratiche le democrazie.
4. La partecipazione civica come antidoto
E’ importante evidenziare che sebbene sia fondamentale fare chiarezza sul concetto di partecipazione e quindi sapere classificare e distinguere i processi partecipativi, questi non sono solo e necessariamente legati a percorsi strutturati di progettazione condivisa. Sono molte le pratiche partecipative non classificabili in metodi specifici: si pensi alle pratiche sociali auto-organizzate come quelle di welfare comunitario, dei centri di ascolto, dell’attività di assistenza a chi vive in condizioni di vulnerabilità e ne potremmo aggiungere molte altre. Più in generale, si tratta di procedure che affrontano problemi di giustizia locale di complessa soluzione e che – non di rado – creano servizi dove non ci sono o dove sono carenti. I tanti esempi di attivazione di reti mutualistiche locali per l’erogazione di servizi di assistenza in occasione della pandemia da Covid-19, rappresentano bene questa tipologia di prassi.18 Seppure queste attività non abbiano un obiettivo dichiarato del volere incidere su una policy, hanno una rilevanza pubblica indiscutibile, in quanto sono in grado di evidenziare, attraverso l’azione, la necessità di rimettere in discussione procedure, processi e regole inefficaci.
I processi partecipativi, oggi più che mai, ricoprono un ruolo decisivo, in quanto sono in grado di dare voce a proposte, valori e orientamenti spesso non rappresentati o che faticano a emergere nella discussione politica. è anche per questo motivo che diventa più che mai urgente la promozione e la salvaguardia di tutte quelle forme di coinvolgimento civico utili a restituire alle persone il potere di accedere al dibattito pubblico e quindi agli ambiti di decisione. Partecipare consente alle persone di essere ancora più consapevoli dei propri diritti e permette, al contempo, di costruire quegli strumenti per definire i modi in cui questi stessi diritti possono essere rivendicati e resi effettivi. dovrebbe essere un antidoto contro le derive autoritarie da assumere con quotidianità.
Katia Scannavini – PhD docente presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Roma Tre e vicesegretaria Generale di ActionAid Italia.
1 OECD, Focus on Citizens. Public Engagement for Better Policy and Services, Parigi, 2020.
2 Il sondaggio «Gli italiani e lo Stato» condotto periodicamente da Demos & Pi evidenzia un livello di fiducia nelle istituzioni decisamente bassa e in continuo calo, http://www.demos.it/rapporto.php.
3 Il trend della partecipazione alle elezioni parlamentari (a livello globale e specificatamente in Europa occidentale) dal dopoguerra a oggi, sia pure con vistose oscillazioni, è piuttosto chiaro: il turnout elettorale inizialmente sale dal 75% circa fino agli anni ‘80; dai primi anni ‘90 la tendenza s’inverte, attestandosi su valori intorno al 62%. Si veda www.idea.int.
4 P. MAIR, Ruling the Void. The Hollowing of Western Democracy, Verso, Londra, 2013.
5 Cfr. https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wikiforum/.
6 Ibidem.
7 Era il 1972 quando a Londra nacque ActionAid, per consentire a 88 bambini in India e in Kenya di andare a scuola. oggi ActionAid è una federazione internazionale al fianco di 15 milioni di persone in più di 45 Paesi in tutto il mondo. Lavora per la salvaguardia dei diritti e al contrasto delle disuguaglianze nel mondo, in particolare si occupa di: sostegno a distanza; contrasto a ogni forma di povertà; contrasto alla violenza di genere; promozione dell’inclusione sociale; ampliamento della partecipazione e promozione della trasparenza, (www.actionaid.org).
8 d. FRIEdERICH, European Governance and the Deliberative Challenge, Citizen Consultation, Ashgate, Farnham, 2013.
9 Per dare alcuni esempi: Il Principio 10 della Dichiarazione di Rio delle Nazioni Unite (1992); L’Agenda 21 (preambolo Sezione III 23.2), ripresa in Europa dalla Carta di Aalborg del 1994 art. I.13; La Millennium Declaration delle Nazioni Unite (2000) in cui si assume l’impegno a creare «processi politici più inclusivi, che consentano una genuina partecipazione dei cittadini»; la Convenzione di Aarhus (1998; e il Regolamento attuativo per paesi UE 1367/2006) in cui la partecipazione costituisce il «secondo pilastro»; la Dichiarazione di Seoul (2005) sulla Governance Partecipativa e Trasparente; La Dichiarazione di Brisbane (2005). Inoltre sono diversi anche i documenti OECD, come ad esempio la Raccomandazione sulla Politica Regolativa e la Governance (2012), che affermano il principio dell’open government. I principi guida dell’OCSE [OECD 2009, 17] sottolineano come le autorità debbano incoraggiare la partecipazione e promuovere le competenze civiche dei cittadini.
10 Per avere una visione ampia sulle principali teorie relative alla crisi delle democrazie e delle principali proposte di riforma si veda D. HELD, Modelli di democrazia, Il Mulino, Bologna, 2007.
11 G. PABA, Partecipazione, deliberazione, auto-organizzazione, conflitto, in AA.VV, Partecipazione in Toscana. Interpretazioni e racconti, Firenze University Press, Firenze, 2009, 15-50.
12 M. POLVANI, Partecipazione e spazi civici. Forme, problemi e opportunità della partecipazione in politica, in K. SCANNAVINI (a cura di), Qualità della democrazia. Spazi civici e partecipazione, Franco Angeli, Roma, 2021, p. 27.
13 Per le principali definizioni cfr. U. ALLEGRETTI (a cura di), Democrazia Partecipativa. Esperienze e prospettive in Italia e in Europa, Firenze University Press, Firenze, 2010; D. DELLA PoRTA, Democrazie, Il Mulino, Bologna, 2011; F. DE TOFFOLL, A. VALASTRO, Dizionario di Democrazia Partecipativa, Centro Studi Politici e Giuridici Regione Umbra, Perugia, 2012; R. LEWANSKI, La prossima democrazia, IRIS, Bologna, 2016, reperibile all’indirizzo: www.laprossimademocrazia.com.
14 Per un approfondimento della distinzione tra i tre concetti cfr. A. FLORIDIA, R. VIGNATI, Deliberativa, diretta o partecipativa? Le sfide del Movimento 5 Stelle alla democrazia rappresentativa, in Quaderni di sociologia 65, 2015, reperibile all’indirizzo: https://journals.openedition.org/qds/369.
15 AA.VV., Direct democracy, in The international Idea Handbook, IdEA, Stoccolma, 2008.
16 Nelle teorie della democrazia deliberativa, anche se in genere non si prevede il potere decisionale diretto dei partecipanti, si richiede che le istituzioni diano sempre una risposta alle proposte delle sfere pubbliche, sia accettandole sia argomentando le ragioni di un eventuale rifiuto. Si veda J. HABERMAS, Fatti e norme: contributi a una teoria discorsiva del diritto e della democrazia, Guerini, Milano, 1996; J. BOHMAN, W. REHG (a cura di), Deliberative Democracy. Essay on Reason and Politics, MIT Press, Cambridge, 1997.
17 C. PATEMAN, Participatory Democracy Revisited, in Perspective of Politics 10, 1, American Political Science Association 2012, pp. 7-19.
18 Un’analisi delle pratiche di mutualismo civico svolte in Italia durante la pandemia da Covid-19 si trova nell’indagine: Mutualismo al tempo del Covid-19 a cura di ActionAid, Legambiente e Fondazione per l’Innovazione Urbana, reperibile all’indirizzo: http://www.fondazioneinnovazioneurbana.it/45-uncategorised/2570-online-la-terza- indagine-mutualismo-al-tempo-del-covid-19.