Il 10 gennaio 1984 gli Stati Uniti e il Vaticano annunciarono lo stabilimento delle relazioni diplomatiche fra di loro e la nomina, da parte della Casa Bianca, di William A. Wilson come ambasciatore della S.Sede. Il Senato degli Stati Uniti confermò la nomina ed il Congresso autorizzò le spese necessarie.

Un evento sorprendente

Un po’ di storia aiuterà forse a capire questa evoluzione. Il 22 settembre 1983, in maniera inaspettata, il Senato con un voto orale, approvò un emendamento al progetto di legge del Dipartimento di Stato che abrogava l’interdizione del 1867 di utilizzare dei fondi del governo per sostenere le relazioni diplomatiche con la Sede. Questo emendamento è diventato legge il 22 novembre.

In realtà questa decisione del Congresso rappresenta molto di più del semplice fatto di sopprimere un divieto vecchio di 116 anni Infatti è stato detto apertamente che il suo scopo era «lo stabilimento della relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Vaticano». Questo cambiamento radicale dell’antico principio nazionale è stato realizzato senza consultazione né discussione pubblica e senza un particolare dibattito nell’una e nell’altra Camera. Sembra una deroga al procedimento democratico e questo ha provocato inquietudine nel pensiero di molti capi religiosi. Questo problema è stato causa di controversie e divisioni nel passato e ogni volta che è stato sollevato ha provocato vive reazioni.

Le relazioni diplomatiche con lo Stato Pontificio

Tra il 1848 e il 1867 gli Stati Uniti hanno avuto delle relazioni diplomatiche con lo Stato Pontificio. Durante la gran parte di questo tempo il Papa era il sovrano di uno Stato degno di questo nome, che controllava il centro dell’Italia con una popolazione di più di 3 milioni di persone e di cui la capitale era Roma. I presidenti ed i segretari di stato degli Stati Uniti incaricarono i loro inviati a Roma (L’Italia non era ancora unificata e la capitale era Firenze) di occuparsi solo delle «relazioni civili» e dello «sviluppo del commercio» e di proteggere i cittadini americani che viaggia- vano nella parte della penisola controllata dall’autorità secolare del Papa. Tutte le relazioni col Papa, come capo della chiesa di Roma, erano assolutamente escluse.

Nel 1867 il territorio dello Stato Pontificio fu ridotto alla città di Roma. Nel 1870, quando le truppe del re V. Emanuele presero la città eterna d’assalto e ne fecero la capitale dell’Italia unificata, lo Stato Pontificio crollò.

Ragioni per mettere un limite alle relazioni pubbliche

Ecco le ragioni addotte nel 1867 dalla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti per fermare la legazione con Roma: 1) l’intolleranza papale – il culto protestante a Roma era proibito e soggetto all’inquisizione anche nelle case private; 2) il minore bisogno – le relazioni con uno Stato che era sul punto di essere assorbito dal Regno d’Italia non sarebbero state di grande utilità; 3) la natura «ornamentale» del posto non favorirebbe il popolo americano; 4) le spese – la legazione sembrava essere una spesa inutile; 5) il punto di vista costituzionale – era una possibile violazione della separazione tra Chiesa e Stato, soprattutto dopo l’eliminazione quasi totale del potere temporale del Papa.

Il risultato del dibattito alla Camera dei Rappresentanti fu un voto largamente favorevole (82 contro 18) alla chiusura della legazione a Roma. Qualche anno più tardi gli Stati Uniti ebbero di nuovo una legazione a Roma ma questa volta per la nazione italiana.

La Città del Vaticano

Per 60 anni il Papa non poté pretendere il titolo di capo di Stato. Nel 1929 si ebbe una specie di guarigione della ferita politica inflitta al Papato nelle sue aspirazioni ad essere Stato. L’attuale minuscola Città del Vaticano fu creata dal trattato lateranense sotto il governo italiano di Benito Mussolini. Quest’ultimo accordò al Papa la sovranità su 108 agri che circondavano la basilica di S. Pietro e il palazzo del Papa. Il fine era di ammorbidire le relazioni tese col Papato dopo il Risorgimento e l’unificazione d’Italia, e archiviare così l’annosa «questione romana». La Città del Vaticano è diventata uno Stato artificiale. Essa è esclusivamente il capoluogo di una Chiesa — la Chiesa cattolica romana — amministrato dal clero, avente qualche rassomiglianza con uno Stato (francobolli, guardia svizzera ornamentale, un servizio diplomatico, una finanza internazionale) al fine di rendere questo centro religioso del cattolicesimo indipendente dal controllo dello Stato italiano e con maggiore influenza politica. Senza alcun dubbio, nel passato, un sentimento anticattolico motivava l’opposizio- ne alle relazioni diplomatiche degli Stati Uniti col Vaticano, la paura dell’intolleranza cattolica romana (persecuzione religiosa in certi paesi cattolici) e la preoccupa- zione delle libertà civili americane. Oggi, con l’espansione dell’ecumenismo e le migliori relazioni con le chiese, con l’affermazione ufficiale della libertà religiosa al Concilio Vaticano II (1965) e con le attività dell’attuale Papa nella promozione della pace e dei diritti dell’uomo, l’atmosfera è diversa dal 1952 quando il presidente Truman ha cercato invano di nominare il generale Mark Clark ambasciatore presso il Vaticano.

Una forte opposizione nazionale

Tuttavia c’è una forte opposizione nazionale alle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Vaticano. I gruppi o individui che hanno parlato contro rappresentano un largo ventaglio: il Consiglio nazionale delle chiese, l’Associazione nazionale degli evangelici, il Comitato unito dei battisti per gli affari pubblici, la Conferenza generale degli avventisti del 7° giorno, la Moral majority e gli americani per la Se- parazione tra Chiesa e Stato. C’è stata anche l’opposizione da parte degli ebrei ma questa voce è stata attutita: il Vaticano non ha riconosciuto lo Stato d’Israele e si dice che l’opposizione ebraica al riconoscimento della S. Sede da parte degli Stati Uniti è subordinato al riconoscimento di Israele.

Non tutti i cattolici sono entusiasti di questo legame tra Stati Uniti e Vaticano. Alcuni prevedono dei problemi costituzionali, un regresso nelle relazioni tra le chiese, la mancanza di un bisogno pratico, la preoccupazione di una interferenza del Vaticano negli affari degli Stati Uniti e la possibilità di una intrusione del governo americano negli affari della chiesa cattolica. I membri della gerarchia cattolica sono stati cauti sulle relazioni diplomatiche e non si sono espressi. Alcuni non sono desiderosi di vedere un nunzio papale a Washington perché egli parlerebbe a nome del Papa e della Chiesa cattolica, accedendo direttamente al governo sen- za la necessaria mediazione della conferenza episcopale degli Stati Uniti.

Ecco le cinque giustificazioni dell’opposizione:

La separazione tra Chiesa e Stato

Le relazioni diplomatiche con la S. Sede sono contro la tradizione fondamentale del concetto della separazione tra Chiesa e Stato. Un criterio per riconoscere la costituzio- nalità di una legge negli Stati Uniti è la sua capacità di influire negli affari di una chiesa. Non solamente le relazioni con la S. Sede porterebbero gli Stati Uniti a mescolarsi ai problemi, vedute, fini di una chiesa, ma la chiesa sarebbe implicata negli affari politici degli Stati Uniti e del suo governo. Gli ambasciatori del Papa (nunzi) sono stati e sono strettamente impegnati negli affari politici interni e esterni dei differenti paesi (America del sud, per esempio).

Senza alcun dubbio il Papato possiede un potere politico; di conseguenza, nel corso dei secoli passati, la Chiesa di Roma ha dovuto pagare un grande prezzo spirituale. Pertanto l’ambizione politica della Chiesa va contro lo spirito nazionale americano e l’eredità della separazione tra la Chiesa e lo Stato.

Una forma di discriminazione religiosa

È discriminatorio avere delle relazioni diplomatiche col Vaticano. Questo rappresenta una violazione del principio americano del pluralismo e dell’uguaglianza di tutte le religioni e le chiese di fronte alla legge e al governo. Il legame diplomatico in questione mostrerebbe un favore particolare verso una chiesa per la sua grandezza e la sua influenza e perché questa chiesa storicamente ha rivendicato un’autorità civile. La Corte suprema degli Stati Uniti (per es. «Everson contro il Comitato dell’educazione», o «Mc Collum contro il Comitato dell’educazione») ha messo in evidenza che il governo non può far passare delle leggi che aiutino una religione, tutte le religioni, o favoriscono una religione nei rapporti con le altre. Privilegiare la S. Sede, e per conseguenza la Chiesa cattolica romana, e accordarle un accesso diretto al Dipartimento di stato e alla Casa Bianca costituisce una discriminazione verso le altre chiese, soprattutto le chiese mondiali o i consigli ecclesiastici mondiali. È un principio di grande valore per gli americani trattare tutte le chiese e tutte le religioni su un piano di parità indipendentemente dalla loro grandezza e potenza.

Il Papa e la curia formano la S. Sede

È irreale e di fatto impossibile fare una differenza tra il Papa come capo della Chiesa cattolica e capo dello Stato del Vaticano. In realtà, le relazioni diplomatiche non sono col Vaticano e con lo Stato del Vaticano ma con la S. Sede. Il Vaticano è semplice- mente la residenza ufficiale del Papa e il centro della Città del Vaticano. Il Papa e la Curia formano insieme la S. Sede. La S. Sede è generalmente l’equivalente di « Sede apostolica », « Chiesa romana » e « Curia romana », e non della Città del Vaticano.   La S. Sede ha finito per designare il governo centrale della Chiesa cattolica romana, o l’autorità che è dietro al governo (Pontefice) o la comunità governata (Chiesa di Roma) e non la Città del Vaticano come tale.

Un ambasciatore presso la S. Sede è per conseguenza un ambasciatore che rappresenta il capo e il governo della Chiesa cattolica romana. Infatti, lo statuto giuridico della S. Sede non dipende per nulla dalla base territoriale della Città del Vaticano. Ogni interpretazione che separa la S. Sede e la Chiesa cattolica è per lo meno abusiva. La Chiesa cattolica stessa lo mostra chiaramente attraverso il duplice ruolo assegnato ai suoi nunzi come ambasciatori presso i governi e come rappresentanti del Papa presso i vescovi cattolici dei diversi paesi.

E interessante notare che il nuovo pronunzio a Washington, l’arcivescovo Pio Laghi, in una conferenza all’università cattolica d’America, il 6 aprile 1984, ha sottolineato chiaramente che è un errore stabilire le relazioni diplomatiche con la Città del Vaticano in quanto Stato. Egli ha detto che: « Coloro che interpretano la diplomazia papale come proveniente dalla sovranità temporale del Papa non comprendono la vera natura della missione della S. Sede. Le relazioni diplomatiche sono «con la Chiesa cattolica» come tale, e «la diplomazia papale riposa essenzialmente sulla sovranità spirituale della S. Sede» (Pio Laghi cita il libro di R.A. Graham «Vatican Diplomacy» p. 15).

Oggi coloro che sono favorevoli alle relazioni diplomatiche con la S. Sede le vogliono specificamente col Papa e precisamente perché egli è il Capo della Chiesa cattolica romana mondiale. Relazioni con la piccola enclave del Vaticano nella città   di Roma, con una popolazione totale di meno di 1000 persone, sarebbero prive di significato. Un ambasciatore presso la S. Sede non è e non può essere semplicemente un inviato del sovrano della Città del Vaticano. La richiesta delle relazioni diplomatiche è giustificata dall’autorità religiosa del Papa su centinaia di milioni di cattolici. E in gioco la forza religiosa della Chiesa cattolica che influenza la vita internazionale. In una breve discussione al Senato il 22 settembre 1983 il senatore Quale preconizzava il riconoscimento del Vaticano come «Stato   mondiale».

È solo attraverso la S. Sede che il Vaticano assume un ruolo mondiale.

Uno storico cattolico ben conosciuto ha scritto: «Se si deve avere un   ambasciatore americano presso il Vaticano dovrebbe essere accanto al Papa, come Papa. Questo non porterebbe per gli Stati Uniti a riconoscere tutte le rivendicazioni papali implicite nei titoli «Vicario di Gesù Cristo, Successore del Principe degli Apostoli, Sovrano Pontefice della chiesa universale», ma per parlare con realismo, significherebbe che gli Stati Uniti riconoscerebbero che quelle rivendicazioni furo- no fatte, che c’era una realtà che le giustificava e che l’autorità spirituale del Papa giustificherebbe lo stabilimento delle relazioni diplomatiche» (James J. Hennesey, S.J. «Rappresentante degli Stati Uniti in Vaticano » 4.12.65, p. 708).

Relazioni diplomatiche ufficiali inutili

La nomina di un ambasciatore degli Stati Uniti presso la S. Sede non è necessaria. Benché questo rappresenti un trionfo per le attività diplomatiche della Chiesa cattolica, questo non aggiunge nulla, o poco agli Stati Uniti. Tuttavia bisogna aggiungere che il Presidente aveva già un emissario personale; inoltre c’è un’ambasciata degli Stati Uniti molto fornita a Roma. Non è convincente il fatto che il Vaticano nascondeva delle informazioni all’inviato personale del Presidente perché non aveva il titolo protocollare di « ambasciatore ». Questo status permette senza dubbio a William A. Wilson di avere un rango più elevato ma non gli fornisce delle informazioni di maggior valore. Inoltre ogni informazione fornita dal Vaticano perverrebbe naturalmente attraverso i fini, le necessità e i desideri cattolici. Gli obiettivi della diplomazia cattolica romana, con la pretesa del Papa ad una sovranità mondiale come Vicario di Cristo, non sono gli stessi del governo degli Stati Uniti, i quali non sono né religiosi né antireligiosi.

Un possibile danno per le relazioni tra le chiese

Inviare un ambasciatore americano presso la S. Sede non favorisce delle buone relazioni tra le chiese negli Stati Uniti. Nel corso degli ultimi anni, soprattutto dopo il Vaticano II, le relazioni tra protestanti e cattolici negli Stati Uniti sono stati meno tesi che in passato. La nomina di un ambasciatore nel quartiere generale della chiesa di Roma e l’arrivo del pronunzio del Papa a Washington potrebbero turbare le relazioni tra le chiese sollevando nello spirito di molti non cattolici certe questioni legittime, spettri emozionali del passato, e delle preoccupazioni per il futuro.

L’opposizione principale al riconoscimento diplomatico della S. Sede da parte degli Stati Uniti non è fondata su un anticattolicesimo fanatico. Nessuno nega gli sforzi attuali del Papa in favore della pace e dei diritti dell’uomo. Il problema non è l’opposizione al Papa come personalità internazionale. Il problema fondamentale è la necessità del Primo Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti e le relazioni diplomatiche con una chiesa.

B. BEACH – Segretario generale dell’International Religious Liberty Association fino al 1995. Articolo edito in Coscienza e Libertà 8/1985.

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