Il rispetto delle convinzioni religiose è un diritto difficile da inserire nel quadro delle democrazie che mettono su un piano di uguaglianza la libertà di espressione e di opinione e la libertà di coscienza e di convinzione. L’esigenza del pluralismo necessita di trovare al tempo stesso il modo per realizzare una coesistenza pacifica e tollerante tra i credenti o i non credenti che vivono in una stessa società democratica. Parecchi Stati europei possiedono delle legislazioni che vietano e reprimono, più o meno, la bestemmia e l’ingiuria a carattere religioso. Ma pochissimi reati di questo tipo sono stati commessi negli ultimi anni e le legislazioni europee si sono concentrate diversamente su alcune questioni più «consistenti», come il negazionismo, il razzismo e la discriminazione motivati dall’appartenenza religiosa. Dal canto suo, la Corte europea dei diritti umani ha prodotto delle giurisprudenze equilibrate in funzione delle situazioni nazionali e che si pensa possano mitigare l’eccesso della libertà di espressione quando i sentimenti religiosi di altri sono particolarmente toccati.

L’insieme non sembra tuttavia aver costruito un «uso» democratico e mediatico sufficiente sulle questioni del rispetto della sensibilità religiosa affinché sia evitata la disputa dell’autunno 2005 intorno alle caricature di Maometto. Queste sono state diffuse innanzitutto in un quotidiano danese e poi riprese in altri giornali europei fra cui il settimanale satirico francese Charlie Hebdo, dopo lo shock degli attentati di Londra del luglio 2005. Per alcune associazioni militanti dei diritti umani, come la Federazione internazionale dei diritti umani di Helsinki (1), o per gli Stati musulmani come quelli dell’organizzazione della Conferenza islamica mondiale (OCI) (2), questo caso ha messo chiaramente in evidenza ciò che denunciavano da molto tempo, cioè la discriminazione patente delle popolazioni musulmane in Europa e l’immagine deformata che i media si divertono a dare di esse e della loro religione (3). Ma per i commentatori e le opinioni pubbliche dei paesi europei, è stata una montatura, una manifestazione tangibile dell’attivismo dei fondamentalisti musulmani contro la democrazia e il suo valore fondamentale: la libertà di espressione.

L’organizzazione della Conferenza islamica mondiale, raggruppamento di Stati in seno alla Commissione dei diritti umani dell’ONU – diventata nel marzo 2006 il Consiglio dei diritti dell’uomo (CDH) -, porta avanti dal 1999 una lotta contro la «diffamazione delle religioni, e più particolarmente dell’islam», ovni giuridico che raggruppa al tempo stesso la bestemmia, l’attentato al sentimento religioso, l’incitamento all’odio razziale e religioso o ancora la discriminazione sociale e giuridica a motivo della religione. L’OCI ha ottenuto, attraverso la procedura delle risoluzioni della Commissione (o Consiglio dei diritti umani) e dell’Assemblea delle Nazioni Unite, la condanna di questo insieme, intitolato «diffamazione dell’islam», prima della storia delle caricature. Sempre per iniziativa dell’OCI, l’azione dell’ONU si è intensificata dopo questo fatto con la proposta di una penalizzazione effettiva della «diffamazione delle religioni» sulla base dell’articolo 20 (2), del Patto internazionale delle Nazioni Unite relativo ai diritti civili e politici (1966): «Qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale o religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza deve essere vietato dalla legge». Questa rivendicazione di penalizzazione ha portato, nel 2008, al progetto di una convenzione internazionale sull’argomento, progetto rapidamente abbandonato.

Andiamo a esaminare l’attività militante dell’OCI, le risoluzioni e le continue azioni che questo gruppo di Stati ha ottenuto presso l’ONU, particolarmente dopo il caso delle caricature del 2005, e a constatare che hanno portato alla reazione esattamente opposta a quella che ci si aspettava da parte delle opinioni e degli Stati di diritto occidentali (4). I media hanno infatti sventolato lo spettro del reato di bestemmia e chiesto che sparisca nei paesi di diritto dove ancora esiste, mentre l’OCI chiedeva proprio il contrario, cioè la sua riattivazione. Gli stessi media hanno screditato il ritorno della censura religiosa e hanno difeso, con l’appoggio dell’opinione pubblica, la libertà di espressione come un nucleo in pericolo della democrazia. Il blocco dei governi di Europa e America del Nord ha negato di votare le risoluzioni dell’ONU proposte dall’OCI e di avanzare nel senso delle loro rivendicazioni. La definizione legale dei termini diffamazione, discriminazione e razzismo è stata rilavorata per specificare l’inconsistenza, nella logica normativa dei diritti umani, di una qualsiasi «diffamazione delle religioni» (5).

Il Consiglio d’Europa, attraverso la sua Assemblea parlamentare, ha elaborato un controfuoco teorico molto nutrito per opporre a questa idea di «diffamazione delle religioni» o ad ogni tentazione di limitare le opinioni ostili al contenuto di una religione quando queste opinioni non sono un insulto intenzionale diretto, un incitamento specifico alla discriminazione o un incitamento all’odio, alla violenza o a qualcosa di peggio. I media francesi, ad esempio, hanno difeso ancora di più la libertà di espressione, la laicità, la libertà di opinione, compreso quella che urta, disturba o aggredisce attraverso la satira e la caricatura, altrettante verità riconosciute nelle conclusioni del processo di Charlie Hebdo intentato dalla Grande Moschea di Parigi… Insomma, l’idea che una religione possa essere protetta dalle opinioni critiche, satiriche od ostili, in nome del rispetto che le si dovrebbe o che si dovrebbe ai suoi praticanti, è stata rigettata chiaramente dai governi e dalle opinioni pubbliche dei paesi occidentale, e nessuna modifica legislativa in questo senso è stata decisa.

Tuttavia, oltre l’apparenza estremamente frontale del dibattito, che è sempre in corso, e l’onda d’urto provocata da questa querela-indignazione europea contro l’integralismo religioso musulmano, la difesa ostentata della libertà di parola, la levata di scudi dell’OCI e di altri gruppi che denunciano il disprezzo per l’islam e la discriminazione che i musulmani subiscono in questo modo come in altri -, l’affronto stesso è stato fonte di evoluzione. Il dibattito è in qualche modo avanzato, strattonato da posizioni inconciliabili.

La nozione di diffamazione delle religioni introdotta nel 1999 da una risoluzione della Commissione dei diritti umani dell’ONU

A.  Un’iniziativa dell’Organizzazione della Conferenza islamica mondiale

La prima risoluzione, presentata su iniziativa del Pakistan, rappresentante dell’OCI, è stata adottata senza voto dalla Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite, nell’aprile 1999 (6). All’inizio, si intitolava «Diffamazione dell’islam», ma il testo emendato dopo la discussione ha preso un altro titolo, più generale: «Diffamazione delle religioni». Il suo contenuto denunciava la discriminazione sulla base della religione o della convinzione, cosa che ciascuno poteva ammettere. In seguito, rendeva conto dell’inquietudine della Commissione davanti al moltiplicar- si degli stereotipi negativi contro le religioni, e in particolare contro l’islam, «frequentemente e a torto associato alle violazioni dei diritti umani e al terrorismo». La Commissione chiedeva allora una risoluzione dell’Assemblea delle Nazioni Unite che invitasse i governi ad adottare le misure adeguate per bloccare «l’intolleranza o l’odio religioso» motivando le parole, gli atti di violenza, di intimidazione e di coercizione, come la discriminazione, in particolare delle donne, e la profanazione dei siti religiosi. L’insieme della risoluzione non poneva allora alcun problema e l’espressione «Diffamazione delle religioni» non aveva un contenuto molto specifico ma costituiva piuttosto un titolo-shock. Altre risoluzioni identiche sono state adottate in seguito dalla Commissione fino al 2005, sotto il titolo: «Combattere la diffamazione delle religioni» (7).

Nel frattempo, gli attentati dell’11 settembre, la ripresa dell’Intifada in Israele-Palestina, la creazione di uno Stato palestinese, che è uno degli obiettivi dell’OCI, e l’intervento americano in Afghanistan e poi in Iraq avevano diviso profondamente gli animi. L’OCI ha cominciato a sostituire più attivamente le accuse di discriminazione sociale e mediatica dei musulmani, come la «diffusione di stereotipi negativi» su di loro e sulla religione musulmana, presa come un tutto intoccabile. È allora che scoppia, alla fine del 2001, un primo conflitto molto violento al momento della redazione del testo della Conferenza di Durban dedicata al razzismo, alla discriminazione razziale, alla xenofobia e all’intolleranza che vi è associata. Tenuta in Africa meridionale dal 31 agosto al 7 settembre, questa assemblea si svolge in un clima estremamente ostile all’occupazione israeliana dei territori palestinesi e favorevole alla confusione delle cause. Il testo finale è stato prodotto solo in dicembre e non ha ricevuto l’approvazione di tutti gli Stati. In un seguito di paragrafi rilegati, faceva il confronto tra i ricordi dell’Olocausto e l’aumento della discriminazione contro i musulmani, considerando che ormai questi ultimi rischiavano o erano minacciati di subire un trattamento equivalente a causa di una concatenazione di comportamenti incitativi, astiosi e violenti diventati sempre più importanti (8). Uno dei paragrafi prendeva anche posizione nei confronti della sorte del popolo palestinese e, per la sua posizione nel documento, lasciava intendere che la travagliata situazione di questa popolazione era il risultato del razzismo, della xenofobia e dell’intolleranza dello Stato israeliano nei confronti degli arabi musulmani.

Dopo Durban, parecchi Stati cominciano a rifiutarsi di votare le risoluzioni della Commissione dei diritti umani sulla diffamazione delle religioni: ad esempio, gli Stati Uniti (che ne facevano ancora parte), il Canada e i paesi dell’Unione europea (UE).

B.  La diffamazione delle religioni diventa un dibattito «esplosivo» nel periodo settembre 2005-settembre 2007

1.   Attività e risoluzioni dell’ONU all’indomani della pubblicazione delle vignette (settembre 2005)

La questione delle vignette ebbe luogo a fine estate 2005. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite adotta una prima risoluzione generale sulla «diffamazione delle religioni» nella quale si pone il principio di un rapporto sulla situazione   della discriminazione degli arabi e dei musulmani nel mondo, affidato al Relatore dell’ONU sull’eliminazione del razzismo e di ogni forma di discriminazione. Questa risoluzione è votata il 15 dicembre 2005 (9). L’assemblea deplora «l’impatto continuamente negativo degli eventi dell’11 settembre su minoranze e comunità musulmane nei paesi non musulmani, la proiezione negativa dell’islam nei media e l’introduzione e il rafforzamento di leggi che discriminano specificamente e prendono di mira i musulmani». La «proiezione negativa» dell’islam nei media è confusa allora con la nozione di «diffamazione dell’islam», e la diffamazione dell’islam (attacco contro l’islam) confusa con l’incitamento all’odio e la violenza e alla «discriminazione dell’islam» (10). Questa risoluzione è votata con 101 voti a favore, 53 contro e 20 astensioni.

Alla fine del 2005, è adottata, senza voto, un’altra risoluzione dell’assemblea riguardante gli sforzi globali per l’eliminazione totale del razzismo, della discriminazione razziale e per un’applicazione effettiva della Dichiarazione di Durban e del suo Programma di azione (11). Sebbene centrata esclusivamente sull’intolleranza religiosa, questa risoluzione è rimasta nei limiti del ragionevole denunciando, senza citare esempi, l’aumento dell’intolleranza, dell’odio e della discriminazione a motivo della religione o della convinzione. Il testo insiste particolarmente sulle misure legali di discriminazione istituzionale che sarebbero prese a scapito di alcuni gruppi religiosi e sulla diffusione di discorsi di odio sui media, particolarmente su internet. Utilizza, per qualificare questo odio religioso, i vocaboli antisemitismo, islamofobia e cristiano fobia (12). L’Assemblea decide in questa risoluzione di affidare alla Relatrice speciale della Commissione dei diritti umani sulla libertà di religione o di convinzione la cura di preparare un rapporto specifico sull’intolleranza religiosa.

2.  L’istituzione del Consiglio dei diritti umani e i tre rapporti del 2006 del Rela- tore speciale sull’eliminazione di tutte le forme di razzismo
a)La fine della Commissione dei diritti umani

È in questo contesto di incrocio tra la questione della diffamazione dell’islam e quella dell’aumento dell’intolleranza religiosa in generale che interviene la sostituzione della Commissione dei diritti umani dell’ONU con il Consiglio dei diritti umani, votato il 15 marzo 2006 (13). Le prime elezioni del nuovo Consiglio hanno luogo il 9 maggio 2006 e la sua prima sessione il 19 giugno 2006. I suoi 47 membri sono designati secondo la ripartizione geografica; il 36% di essi appartengono all’organizzazione della Conferenza islamica mondiale (ossia 17 membri nella Commissione e 57 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite). Si può fare un calcolo politico: l’associazione dei membri dell’OCI con i raggruppamenti della Lega araba e degli Stati non allineati permette di ottenere la maggioranza in seno alla Commissione. In una prima risoluzione sulla diffamazione delle reli- gioni, sempre per iniziativa dell’OCI, il nuovo Consiglio dei diritti umani chiede un rapporto sull’incitamento all’odio razziale e religioso e sulla promozione della tolleranza (14). Ma la risoluzione non è votata da tutti. Dodici paesi la rifiutano (15) perché il contenuto del testo considera come equivalente, senza definirli in modo preciso, la diffamazione della religione e l’incitamento all’odio razziale e religioso. La risoluzione chiede poi che il rapporto sia messo in relazione con le implicazioni, per la diffamazione delle religioni, dell’articolo 20, paragrafo 2, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici.

b) Cronologia dei rapporti

Nel dicembre 2005, M. Doudou Diène, il Relatore per l’eliminazione di tutte le forme di razzismo, si vede affidare dall’Assemblea delle Nazioni Unite (A/RES/60/150) il compito di presentare un rapporto speciale, per l’anno 2006, sulla situazione delle popolazioni musulmane e arabe nelle differenti parti del mondo. Lo redige nel febbraio 2006 e lo presenta nel settembre 2006, in occasione della seconda sessione del Consiglio dei diritti umani (16). Gli tocca anche il rapporto normale sull’eliminazione di tutte le forme di razzismo (A/RES/60/251), che renderà pubblico nel gennaio 2007 (17), e infine il rapporto richiesto dal nuovo Consiglio dei diritti umani sull’incitamento all’odio razziale e religioso e la promozione della tolleranza. Per non fare doppioni, quest’ultimo è unito a quello chiesto sullo stesso argomento alla Relatrice sulla libertà religiosa dall’altra risoluzione dell’Assemblea delle Nazioni Unite datata dicembre 2005 (A/RES /60/166). Questo rapporto a due mani è presentato nel settembre 2006 alla seconda sessione del Consiglio (18).

c) Contenuto dei rapporti

I rapporti sono abbastanza lunghi, ma si può tentare di riassumerli in alcune idee forti che affrontano la diffamazione dell’islam senza fissarne veramente il contenuto, se non confondendola con l’incitamento all’odio religioso e razziale come nuova forma di razzismo ed esigendo la sua repressione, allo stesso titolo dei propositi antisemiti.

  1. Una delle conseguenze maggiori della lotta al terrorismo è stata l’emarginazione del processo antirazzista di
  2. Il razzismo è banalizzato in Occidente, particolarmente nell’agenda ufficiale di alcuni partiti Attualmente è mascherato con l’espressione «critica dell’islam».
  3. L’islamofobia è un razzismo specifico legato al senso di superiorità culturale che ha lontane radici nella storia dell’Occidente. Le vignette danesi sono un esempio di questo atteggiamento, ma certamente non l’ultimo.
  4. I musulmani soffrono discriminazioni sempre più apertamente.
  5. La diffamazione dell’islam nel contesto attuale di discriminazione nei confronti delle comunità musulmane, di associazione dell’islam al terrorismo e di diffusione dell’islamofobia nei media deve essere vietata come una forma particolarmente virulenta dell’incitamento all’odio religioso, in virtù dell’articolo 20 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966: «1. Qualsiasi propaganda a favore della guerra deve esser vietata dalla legge. 2. Qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale o religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza deve essere vietato dalla legge».

Questo contenuto è sviluppato molto nel rapporto comune del settembre 2006 e nel rapporto annuale del gennaio 2007.

La parte attribuita alla Relatrice per la libertà di religione offre tuttavia un’altra prospettiva ed è infine questa che sarà adottata dai paesi occidentali. La Sig.ra Asma Jahangir ricorda che spesso sono gli Stati che discriminano e calunniano le loro minoranze. Ella riferisce le affermazioni che ha ricevuto sulla diffamazione di certi gruppi religiosi da parte degli agenti statali. Questi attacchi prendono spesso di mira le religioni poco importanti dal punto di vista numerico e dunque più vulnerabili. Gli Stati devono mettere in opera delle politiche, particolarmente nel campo della formazione, incitando i loro funzionari al rispetto delle religioni, tanto è vero che gli attacchi antireligiosi che provengono dai funzionari rischiano di avere delle ripercussioni gravi. Secondo Asma Jahangir, la diffamazione delle religioni da agenti non statali è una situazione più complessa. Bisogna fare la differenza tra le analisi teologiche del contenuto di una religione e le forme più estreme dell’incitamento alla violenza antireligiosa che può dare adito alle peggiori forme di violenza antireligiosa. Tra questi due estremi si trova una gamma di forme di espressione sui temi religiosi, ivi compresi la satira e i commenti dispregiativi. Il diritto alla libertà di religione o di convinzione protegge innanzitutto l’individuo e, in una certa misura, i diritti collettivi delle comunità religiose o laiche. L’argomento dei diritti umani non è la religione stessa, ma gli uomini e le donne che godono di questo diritto. Quest’ultimo non ingloba il diritto a una religione che sia al riparo da ogni analisi, critica o satira.

La Sig.ra Jahangir riconosce tuttavia che, se gli atteggiamenti critici sono autorizzati, non sono sempre giustificati. Le formulazioni offensive non costituiscono delle violazioni dirette qualificate dei diritti umani, ma rischiano di stigmatizzare i membri delle religioni prese di mira e di incoraggiare un clima di intolleranza. La risposta non sta nell’adozione di leggi che limitino la libertà di espressione, ma piuttosto nel prendere delle misure destinate a suscitare un clima di tolleranza e di inclusione in seno al quale le religioni si eserciterebbero al riparo da discriminazione o stigmatizzazione.

I due delatori propongono, in conclusione, che il Comitato dei diritti umani rifletta sull’adozione di standard complementari sull’interrelazione tra la libertà di espressione, la libertà di religione e la non discriminazione, particolarmente producendo un commento generale dell’articolo 20 della Convenzione sui diritti civili e politici. A nostra conoscenza, questo commento non è stato mai fatto.

3. La risoluzione del Consiglio dei diritti umani del 30 marzo 2007 proposta dal Pakistan in nome dell’organizzazione della Conferenza islamica

Tra le due posizioni del rapporto comune, di cui una porta all’azione legislativa che integra la «diffamazione» dell’islam, allargata alla diffamazione delle religioni, all’incitamento all’odio religioso o alla discriminazione, l’altra porta a sottolineare gli aspetti molto controproducenti di una tale misura e preferendo la prevenzione e l’educazione al rispetto reciproco nel quadro di legislazioni molto rigorose nei confronti della discriminazione e dell’incitamento all’odio, il Consiglio dei diritti umani sceglie, nel marzo 2007, di votare una nuova risoluzione sulla lotta contro la diffamazione delle religioni. Questa riprende i temi precedenti (19). La diffamazione delle religioni, concetto che resta sempre fluido, è tra le cause principali di discordia sociale e conduce alle violazioni dei diritti umani. Secondo questa risoluzione, le dichiarazioni che attaccano le religioni, in particolare l’islam e i musulmani, aumentano nelle reti mediatiche, particolarmente nei forum sui diritti umani. Gli stereotipi negativi e le manifestazioni di intolleranza religiosa e di discriminazione per motivi di religione si moltiplicano. La «campagna di diffamazione delle religioni e del profilo etnico delle minoranze religiose» si intensifica dall’11 settembre. Nella lotta contro il terrorismo, la diffamazione delle religioni diventa un fattore aggravante che contribuisce all’esclusione economica e sociale dei gruppi presi di mira e al fatto che i diritti fondamentali e le libertà sono a loro rifiutate. Il controllo amministrativo delle popolazioni arabe e musulmane aggrava la loro discriminazione (20).

C.  L’opposizione dei paesi occidentali alla «diffamazione delle religioni»

1.  Le reazioni dei paesi occidentali del Consiglio dei diritti umani nei confronti della Risoluzione H/ HRC/4/L.12 del   2007 (21)

Gli argomenti a favore del progetto di risoluzione, avanzati a nome dell’OCI dalla rappresentante del Pakistan prima del voto, sembrano abbastanza ragionevoli mal- grado la confusione tra «diffamazione dell’islam» e propositi islamofobi. La Sig.ra Tehmina Janjua spiega che il progetto di risoluzione non è nuovo e che spera in un consenso senza voto. Sottolinea che hanno avuto luogo delle consultazioni a com- posizione non limitata, proprio come le consultazioni bilaterali con le delegazioni che avevano dei commenti da fare. Insiste sul fatto che questa risoluzione si occupa della diffamazione delle religioni e più particolarmente dell’islam. L’esistenza del fenomeno sarebbe, secondo lei, attestata chiaramente e dimostrata dai Relatori speciali. Denuncia il reato palese di cui sono vittima i musulmani nei paesi non musulmani come una pratica razzista, e dunque una violazione dei diritti umani.

Tra i rappresentanti che auspicano il voto per rifiutare la risoluzione, Birgitta-Maria Siefker-Eberle, rappresentante della Germania, parla a nome dell’Unione europea. Afferma le convinzioni dell’Unione e la risoluzione dei suoi Stati membri di lottare contro il fenomeno di discriminazione fondata sulla religione. Fa notare che, come ha stabilito il rapporto di Doudou Diène, la discriminazione fondata sulla religione non riguarda unicamente l’islam ma anche l’ebraismo, il cristianesimo e alcune religioni e credi provenienti dall’Asia, così come le persone senza religione. Sottolinea che è problematico dividere la discriminazione fondata sulla religione dalle altre forme di discriminazione. D’altronde, ricorda che la promozione della tolleranza religiosa fa già parte della Carta e della Dichiarazione dei diritti umani. Per questo motivo, l’utilizzo del concetto di diffamazione diventa controproducente. Raccomanda quindi un testo fermamente imperniato sulla libertà di religione o di convinzione. Assicurando l’OCI della volontà di dialogo dell’Unione europea, chiede che la risoluzione sia sottoposta al voto e conferma che l’Unione europea voterà contro.

La posizione della Sig.ra Siefker-Eberle è anche quella di Paul Meyer, rappresentante del Canada che auspica che il Consiglio adotti un approccio nuovo e innovatore sul problema dell’intolleranza religiosa, un approccio fondato sulla trasparenza e il dialogo. Si dice turbato che nella risoluzione non si faccia menzione al diritto di aderire a una religione o al fatto che l’insistenza posta su una religione rispetto a tutte le altre ne sia la causa. Paul Meyer ritiene infine che il legame stabilito dalla risoluzione tra discriminazione fondata sulla religione e sul razzismo non è chiaro.

2.   Reazioni al rapporto 21/08/2007 di Doudou Diène su «la manifestazio- ne della diffamazione delle religioni e, in particolare, sulle serie implicazioni dell’islamofobia sul godimento di tutti i diritti»

Ci si rende conto così che, a partire dal 2007, gli Stati ostili al concetto di «diffamazione delle religioni» elaborano un’argomentazione. Nell’agosto 2007, nel momento in cui Doudou Diène consegna il suo rapporto (22), (che sarà seguito da quello dell’Alto Commissario sulla questione, il 25 settembre 2007), si ritrovano le stesse reazioni da parte dello stesso gruppo di Stati. Così, Goncalvo Silvestre, rappresentante del Portogallo, parlando a nome dell’Unione europea, dichiara che l’Unione trova problematico conciliare la nozione di diffamazione con il concetto di discriminazione. Rifiuta di considerare equivalente la critica di una religione e il razzismo. La critica antireligiosa non necessita di una protezione speciale nel quadro dei diritti umani (23).

D.   Il rifiuto del Consiglio d’Europa di accettare la nozione di «diffamazione delle religioni» (proteggere la libertà di espressione e difenderla)

Questa posizione si trova esattamente nelle risoluzioni e nelle raccomandazioni dell’Assemblea del Consiglio d’Europa di questi anni. Nell’ottobre 2005, subito dopo l’inizio della battaglia mediatica sulle caricature di Maometto, il Comitato della cultura del Consiglio d’Europa ordina un primo rapporto. Intitolato Bestemmia, insulti religiosi e incitamento all’odio religioso, questo rapporto sarà reso tardivamente, nel giugno 2007 (24), e completato da un rapporto della Commissione di Venezia, preliminare nel 2007 e finale nel 2008 (25). Nel frattempo, il Comitato della cultura aveva chiesto allo stesso relatore, la sig.ra Sinikka Hurskainen, un altro rapporto sulla libertà di espressione e il rispetto delle convinzioni religiose.

1.  I testi votati dall’Assemblea parlamentare

– La Risoluzione 1510 (giugno 2006): Libertà di espressione e rispetto delle credenze religiose (26)

Il 28 giugno 2006, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) adotta la Risoluzione 1510 (2006) intitolata: «Libertà di espressione e rispetto delle credenze religiose». Il testo sottolinea l’importanza cruciale che rivestono, per una società democratica, sia la libertà di espressione sia la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, garantite dagli articoli 10 e 9 della Convenzione europea dei diritti umani (CEDH). Mette anche l’accento sulla realtà della diversità culturale e religiosa negli   Stati membri del Consiglio d’Europa, aggiungendo che questa diversità dovrebbe essere «una fonte di arricchimento reciproco e non di tensione» ed essere il fondamento del dialogo interculturale, della comprensione e del rispetto reciproco (paragrafo 5). In vista di queste considerazioni e di altri elementi connessi, la risoluzione dichiara che conviene, in una società democratica, che la libertà di pensiero e di espressione integri «un dibattito aperto sugli argomenti relativi alla religione e alle credenze»; che questa libertà è non solo valida per le opinioni favorevoli e innocue, ma anche applicabile alle espressioni che possano urtare, offendere o turbare lo Stato o alcune parti della popolazione, in accordo con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti umani (paragrafo 1). Aggiunge che se «gli attacchi che prendono di mira delle persone e che sono motivati da considerazioni religiose o razziali non possono essere tollerate, le leggi sulla bestemmia non potrebbero essere utilizzate per limitare la libertà di espressione e di pensiero» (paragrafo 3). Ricorda che le leggi che puniscono la bestemmia e la critica delle pratiche e dei dogmi religiosi hanno avuto spesso, nel corso della storia, delle incidenze negative sul progresso scientifico e sociale (paragrafo 7), pur osservando che il «dibattito critico» e la libertà artistica hanno favorito tradizionalmente il progresso individuale e sociale (paragrafo 9). «Il dibattito, la satira, l’umorismo e l’espressione artistica devono dunque beneficiare di un elevato grado di libertà di espressione e il ricorso all’esagerazione non dovrebbe essere percepito come una provocazione», afferma (paragrafo 9).

Il paragrafo 11 enuncia alcuni dei grandi principi della giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani. Osserva particolarmente che, mentre l’espressione politica e il dibattito sulle questioni di interesse generale possono essere unicamente sottoposti a restrizioni limitate, gli Stati dispongono di un margine di apprezzamento più importante quando regolamentano le espressioni «suscettibili di offendere delle convinzioni intime nel campo della morale o della religione». Constata anche che «ciò che è di natura tale da offendere gravemente delle persone di una certa fede religiosa varia considerevolmente nel tempo e nello spazio».

Il paragrafo 12 riproduce l’idea principale del testo: la libertà di espressione garantita dall’articolo 10 della Convenzione dei diritti umani non deve essere limitata oltre per rispondere alla sensibilità crescente di alcuni gruppi religiosi, ma i discorsi che incitano all’odio contro qualunque gruppo religioso non sono compatibili con i diritti e le libertà fondamentali garantiti dalla Convenzione e dai precedenti della Corte.

In questa risoluzione, l’APCE invita gli Stati e i responsabili della società civile a «sviluppare un codice di condotta e una concezione comune della tolleranza religiosa» (paragrafo 14). Sarebbe favorevole che i professionisti dei media discutano sul modo in cui l’etica dei media potrebbe essere applicata specificamente alle questioni trattate e propone la creazione «di organi di reclamo, di mediatori o di altri organi di autoregolazione nel settore dei media […] che sarebbero incaricati di studiare i mezzi di ricorso applicabili in caso di offesa alle credenze religiose» (paragrafo 15). L’APCE incoraggia, d’altronde, un dialogo interculturale e interreligioso al quale parteciperebbero la società civile e i media (paragrafo 16); incoraggia gli organi del Consiglio d’Europa a operare attivamente in favore della prevenzione del «discorso di odio diretto contro differenti gruppi religiosi o etnici» (paragrafo 17). La Risoluzione conclude dichiarando che l’APCE ha deciso di ritornare ulteriormente sulle questioni trattate (paragrafo 18).

La Raccomandazione 1805 sulla bestemmia, gli insulti religiosi e i propositi astiosi contro le persone sulla base della loro religione (29 giugno 2007) (27).

Oltre alla Risoluzione 1535 del 25 gennaio 2007 sulle minacce sulla vita e la libertà di espressione dei giornalisti, particolarmente a causa dell’integralismo religioso (28), l’Assemblea parlamentare ha votato, nel giugno 2007, una   nuova risoluzione sulle questioni inerenti la bestemmia, l’insulto religioso e i propositi astiosi fondati sulla religione. Questa raccomandazione segue tre pareri:

  • quello della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa, nel suo rapporto preliminare del marzo 2007 sulla bestemmia e le offese religiose nelle legislazioni nazionali adottato il 16-17 marzo 2007 (29);
  • il rapporto sulla stessa questione proveniente dal Comitato della Cultura, della Scienza e dell’Educazione dell’8 giugno 2007 (30);
  • la dichiarazione del Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa su «Le osservazioni critiche contro le religioni che non devono cadere sotto la legge penale» dell’11 giugno 2007 (31).

La raccomandazione concilia dunque queste opinioni e considera nel suo paragrafo 66 che se, guardando l’articolo 4 della Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, gli Stati membri devono penalizzare la disseminazione di idee fondate sulla superiorità o l’odio razziale, l’incitamento alla discriminazione razziale e gli atti di violenza o l’incitamento a tali atti contro ogni razza od ogni gruppo di persone di un altro colore o etnia, in compenso, «gli insulti a carattere religioso o diffamazione delle religioni non sono punibili secondo gli standard dell’ONU. “L’assemblea stima” che occorre, in una società democratica, penalizzare solamente le espressioni a contenuto religioso che turbano intenzionalmente e severamente l’ordine pubblico e fanno appello alla violenza pubblica» (32).

Per di più, nel suo paragrafo 17.2.4, la raccomandazione chiede che le legislazioni europee siano riviste «per depenalizzare la bestemmia come insulto alla religione», rispondendo così alle dichiarazioni del Segretario generale e al rapporto prodotto alcuni giorni prima dalla Commissione delle questioni giuridiche sulla depenalizzazione della diffamazione in generale (33).

Acme e ritorno alla calma dal 2008?

A.  Un’opposizione frontale: tra settembre 2007 e novembre 2008

Alla fine dell’anno 2007, come in risposta alle posizioni del Consiglio d’Europa e all’atteggiamento dei media e dei tribunali a cui ci si era rivolti nel continente europeo, le attività condotte dall’OCI e le loro ripercussioni in seno all’ONU contro la questione della diffamazione delle religioni sembrano «esplodere». Eccole in ordine temporale:

– Il 25 settembre 2007, dopo il rapporto di Doudou Diène su tutte le forme della diffamazione delle religioni e, in particolare, sulle incidenze gravi dell’islamofobia sul godimento di tutti i diritti (A/HRC/6/6), e il giorno stesso del rapporto dell’Alto Commissario sulla diffamazione delle religioni, l’OCI propone, attraverso la voce dell’ambasciatore del Pakistan, Masood Khan, di lavorare alla preparazione di una Convenzione internazionale contro la diffamazione delle religioni (34).

– Tre giorni più tardi, una risoluzione del Consiglio dei diritti umani propone l’elaborazione di standard internazionali complementari alla Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, per includere l’islamofobia come incitamento specifico all’odio religioso, allo stesso titolo dell’antisemitismo.

– Il 10 dicembre 2007, in occasione della cerimonia di apertura della prima conferenza internazionale sull’islamofobia organizzata dall’Unione delle ONG del mondo islamico (35) a Istanbul, il Segretario generale dell’OCI, Ekmeleddin Ishanoglou, professore di storia delle scienze e di cultura islamica ad Ankara, fa una dichiarazione nella quale si propone di dotare l’OCI di una sua Carta dei diritti umani (36).

– Nel febbraio 2008, Doudou Diène, Relatore sull’eliminazione di tutte le forme di razzismo, presenta un nuovo rapporto (37), abbastanza equilibrato ma nel quale la formula «diffamazione delle religioni» equivale largamente alla sua lunga descrizione dell’islamofobia. La Risoluzione A/HRC.7/L.14 del Consiglio dei diritti umani del 27 marzo 2008 su «la lotta contro la diffamazione delle religioni» è di gran lunga la più estesa e la più virulenta mai adottata (38). Ancora una volta, i paesi dell’Unione europea si rifiutano di votarla perché, secondo il loro portavoce, lo sloveno Andrej Logar, il concetto di diffamazione delle religioni non è compatibile col contenuto dei diritti umani e il fatto di concentrarsi su questo concetto potrebbe essere utilizzato da governi malevoli per negare le libertà delle loro minoranze.

– Altro argomento di discordia: nel marzo 2008, è accettata a sorpresa una proposta di emendamento (con 29 voci a favore, 15 contro e 3 astensioni). È sponsorizzata dall’Egitto (a nome dei paesi africani), dal Pakistan (al nome dell’OCI), e dalla Palestina (osservatore a nome del gruppo degli Stati arabi) e riguarda il mandato del Relatore sulla libertà di espressione (39): si tratta di chiedere a quest’ultimo di ricapitolare gli abusi della libertà di espressione che costituiscono atti di discriminazione razziale e religiosa sulla base dell’articolo 20 del Patto relativo ai diritti civili e politici. Le reazioni a questo emendamento sono molto vive e rilasciate dalle associazioni Reporter senza frontiere, l’Associazione mondiale dei Giornali e il Forum mondiale degli editori (40). Una petizione è lanciata da quaranta organizzazioni di stampa e dei diritti umani. Dodici Stati rifiutano di votare l’emendamento, tra cui il Canada che era all’origine dell’iniziativa della risoluzione. La Slovenia, a nome dell’Unione europea, accusa l’OCI di deviare il mandato sulla libertà di espressione e di introdurvi delle disposizioni contrarie al suo oggetto. Il Relatore sulla libertà di espressione aveva infatti appena reso il suo rapporto in cui, pur denunciando gli effetti deleteri delle campagne mediatiche ostili ad alcune religioni, spiegava che le restrizioni esistenti contro l’incitamento all’odio non dovevano essere appesantite né interdette, come accade per i punti di vista critici, soggetti a controversia e anche politicamente scorretti (41).

B.  La relativa calma dopo la primavera 2008

Marzo 2008 sembra essere stato l’acme della «Defamation Saga», come l’ha soprannominata il ricercatore Jeroen Temperman. In Europa nel frattempo, e dopo questa data, è presa tutta una serie di disposizioni e ciò dimostra che il fondo o la causa della mobilitazione dell’OCI contro la discriminazione dei musulmani e il disprezzo mediatico e culturale contro la religione musulmana in Europa non erano più considerati come totalmente infondati.

1.  La nascita  dell’Alleanza  delle civiltà

L’Alleanza delle civiltà (42), organizzazione internazionale dell’ONU, è una prima e molto diretta risposta. I suoi effetti sono principalmente mediatici e simbolici, ma ha il merito di esistere e di cominciare a risplendere. Serve a sviluppare delle reti istituzionali, dei programmi educativi sulla coesistenza religiosa e degli spazi di dialogo. Preceduta dal progetto – rimasto senza seguito – di «Dialogo delle civiltà» proposto nel 2001 dal presidente iraniano Mohammad Khatami, questa iniziativa europea proviene dal Consiglio d’Europa. È stata lanciata molto simbolicamente alla fine del 2004, in occasione dell’Assemblea dell’ONU, dalla Spagna (José Luiz Rodriguez Zapatero), terra delle tre culture monoteiste, e dalla Turchia (Recep Tayyip Erdogan), erede di un impero multiconfessionale e Stato laico diretto da un partito islamico moderato che desidera entrare nell’Unione.

La creazione dell’Alleanza delle civiltà è stata suscitata per il miglioramento delle relazioni «tra l’occidente e i mondi islamici» e motivata particolarmente dalla situazione delle popolazioni musulmane in Europa e dal rischio del loro massiccio rigetto sociale, che avrebbe trascinato a cascata il loro spostamento verso il radicalismo. Opportunamente, l’istituzione di questo organismo è stata ritardata in parte dagli attentati di Londra e dalla questione delle vignette. Il primo Alto Rappresentante dell’Alleanza delle civiltà, nominato nell’aprile 2007 dal Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, è stato Jorge Sampaio, ex presidente del Portogallo. Per elaborare il piano di azione e le idee su cui questa alleanza deve basarsi, il Segretariato delle Nazioni Unite ha dato vita a un gruppo di alto livello costituito da 18 persone (43) che appartengono a diverse culture e a tre categorie di attività professionali. Nella prima categoria, ci sono delle ex personalità politiche famose, conosciute anche per il loro potenziale intellettuale e il loro apporto allo sviluppo della cultura. Vi si trovano Mohammad Khatami, l’ex direttore generale dell’UNESCO Federico Mayor, l’ex ministro francese degli Affari esteri Hubert Védrine, l’ex primo ministro senegalese Moustapha Niasse e altre personalità. La seconda categoria comprende intellettuali indipendenti o persone che non occupano alte funzioni amministrative: Karen Armstrong, intellettuale inglese alla quale si debbono parecchi lavori sul tema della religione, particolarmente sull’islam; lo specialista americano dell’islam John Esposito, direttore del Centro per la comprensione tra musulmani e cristiani all’università Georgetown e anche redattore capo dell’enciclopedia di Oxford dedicata al mondo islamico; il russo Vitali Naoumkine, professore all’università di Mosca, presidente del Centro di studi strategici e politici, e direttore del Centro di studi arabi dell’Istituto orientale che proviene dall’Accademia delle scienze della Russia. Nella terza categoria compaiono delle autorevoli personalità religiose, come l’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu e il rabbino americano Arthur Schneier. Questo gruppo deve riunir- si regolarmente e deve definire la filosofia dell’Alleanza. Il primo grande Forum dell’Alleanza delle civiltà si è tenuto a Madrid nel gennaio 2008 e il secondo a Istanbul nell’aprile 2009. Di fatto, l’azione dell’Alleanza non è che ai suoi inizi e ha potuto essere accolta recentemente, sia in Europa sia tra gli Stati musulmani.

2.  Posizioni concilianti dell’Unione Europea

In generale, l’Unione europea ha giocato, durante questi anni, un ruolo importante nella lotta contro le discriminazioni, una lotta che è diventata una priorità della politica pubblica. Fin dalla primavera 2007, un accordo tra gli Stati membri interviene per l’adozione di una decisione quadro sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia (44), che è in itinere dal 2001. Questa decisione quadro prevede di armonizzare, in seno all’Unione europea, le sanzioni penali con cui saranno colpite da ora in poi le infrazioni che si ispirano a motivi razzisti o xenofobi. Se nulla in questo strumento riguarda i «propositi» critici o ostili nei confronti di una religione, un’attenzione particolare è stata riservata al rispetto della libertà di espressione e affinché il divieto di propositi che spingono all’odio sia ben definito.

È così che il primo rapporto dell’Agenzia europea dei diritti fondamentali dell’Unione europea (FRA, Fundamental Rights Agency), fondata il 15 febbraio 2007 e con sede a Vienna (45), insiste particolarmente sulla lotta contro il razzismo e le altre intolleranze per motivi religiosi, particolarmente contro i musulmani. Fa la sintesi delle statistiche raccolte nel quadro del RAXEN (Rete di informazione europea sul razzismo e la xenofobia), del National Focal Points (NFPs) in ogni Stato membro dell’UE e mette in luce degli esempi di «buona pratica». Fornisce l’evidenza del fatto che violenza razzista e comportamenti discriminatori persistono in tutto il continente. Secondo questo rapporto, numerosi paesi non utilizzerebbero la loro legislazione né il quadro offerto dall’Unione. Il rapporto invita gli Stati ad applicare questa legislazione, mentre il 28 febbraio 2008, il Consiglio europeo fissa nove tematiche prioritarie dell’Agenzia per i prossimi cinque anni: 1. il razzismo e la xenofobia; 2. la discriminazione fondata sul genere, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni religiose, l’età o l’orientamento sessuale, la discriminazione verso le persone che appartengono alle minoranze, e ogni combinazione di questi motivi (discriminazione multipla).

Nel gennaio 2008, il Segretario generale dell’OCI e il Commissario europeo per gli Affari esteri si incontrano e viene adottato il principio di una missione permanente dell’OCI a Bruxelles. Il Segretario generale dell’OCI incontra anche il Presidente del Comitato alle relazioni esterne del Parlamento europeo e partecipa a un panel del Parlamento sulla discriminazione e l’intolleranza contro i musulmani in Europa (46).

Su un altro piano, la Commissione europea finanzia, da marzo 2006 a marzo 2009, un ampio progetto accademico intitolato REDco (La Religione nell’Educazione, un contributo al Dialogo o un fattore di Conflitto nell’evoluzione dei paesi europei). Questo progetto di ricerca europea e comparativo porta sulle rappresentazioni dei giovani a proposito di religione, diversità religiosa e possibilità di dialogo che portano con sé ma anche sulle interazioni nella classe e nelle strategie sviluppate dagli insegnanti. REDCo è il primo progetto educativo sulla diversità religiosa a essere finanziato dalla Commissione europea. In questa cornice, sono state condotte inchieste qualitative e quantitative, concernenti principalmente la questione della religione nella vita e nella scolarizzazione degli allievi da 14 a 16 anni. Queste ricerche hanno coinvolto otto paesi (Germania, Inghilterra, Spagna, Estonia, Francia, Norvegia, Paesi Bassi e Russia). Il rapporto del REDco è stato pubblicato nel marzo 2009 ed è stato distribuito a tutte le istituzioni dell’Unione europea, del Consiglio d’Europa, dell’ONU, dei ministeri dell’Educazione dell’Unione europea, delle Organizzazioni non governative (ONG), delle organizzazioni religiose e delle università (47).

3.  Posizione conciliante del Consiglio d’Europa

Durante la «Defamation Saga», e malgrado le risoluzioni e le raccomandazioni molto ferme delle sue Assemblee prese contro l’adozione legale dell’espressione «diffamazione delle religioni», il Consiglio d’Europa non ha mai smesso di lavorare sulla nozione di diversità nelle società pluriculturali, con il terzo summit dei capi di Stato e di governo (Varsavia, maggio 2005), e con la Conferenza dei Ministri della cultura (Faro, Portogallo, ottobre 2005). Questi incontri sono stati seguiti da altri, come la Conferenza internazionale su «Dialogo, tolleranza ed educazione» (Kazan, Federazione di Russia, 22-23 febbraio 2006), e «Dialogo delle Culture e Cooperazione interculturale» (Nizhniy Novgorod, Russia, 7-8 settembre 2006). La «Volga Forum Declaration» adottata durante quest’ultimo incontro ha particolarmente ispirato le discussioni della conferenza successiva, detta «di San Marino» (aprile 2007), che ha riunito i ministri degli Affari culturali del Consiglio d’Europa. In tale occasione si è tenuta la riunione finale del Progetto iniziato nel 2002 intorno al tema «dialogo interculturale e religione», presentata in precedenza. È stata elaborata una dichiarazione comune (48) il cui articolo 8 ribadisce: «La dimensione religiosa delle nostre culture dovrebbe essere riflessa in modo appropriato nei sistemi educativi e nei dibattiti pubblici, compreso nei media, nelle società che rispettano la libertà di espressione garantita dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».

Il Consiglio d’Europa e la sua Direzione dell’Educazione ha riunito peraltro dei periti per elaborare un vero manuale di apprendistato interculturale a uso delle scuole. Questo manuale, pubblicato nel 2007, affronta più che ampiamente la questione della diversità religiosa (49). La Direzione dell’educazione e della Cultura del Consiglio d’Europa ha anche organizzato, nell’aprile 2008, un incontro sull’insegnamento dei fatti religiosi e relativi alle convinzioni negli istituti scolastici (50). L’insieme di queste azioni ha condotto alla pubblicazione del Libro bianco sul dialogo interculturale del Consiglio d’Europa (luglio 2008), lanciato per iniziativa dei ministri degli Affari esteri del Consiglio nel maggio 2008 (51).

Ultima pubblicazione, nell’ottobre 2008: il rapporto finale della Commissione di Venezia sulle relazioni tra libertà di espressione e libertà di religione: regolamentazione e repressione della bestemmia, dell’ingiuria a carattere religioso e dell’incitamento all’odio religioso (52). In questo documento, la Commissione consiglia molto ampiamente di concentrare le politiche pubbliche su dei codici di «buona condotta» in materia di negoziato tra le sensibilità religiose e la libertà di espressione.

Nell’ambito dell’attività parlamentare del Consiglio d’Europa, il 15 aprile 2008 è stata votata una raccomandazione importante, intitolata Le comunità musulmane europee di fronte all’estremismo (53). Essa tocca ancora più precisamente la situazione particolare delle popolazioni musulmane nel continente. Questa raccomandazione è stata elaborata da una commissione preparatoria (54) che ha fissato degli obiettivi precisi: aiutare i musulmani europei ad avvertire il radicalismo religioso e a denunciarlo, aiutare i migrati musulmani a evitare la povertà e la discriminazione; far riconoscere il fenomeno dell’islamofobia. La proposta è interessante perché il rapporto insiste sulla creazione necessaria, nei paesi europei, di un «clima di rispetto di tutte le religioni qualunque esse siano, o dell’assenza di religione», in collaborazione con i media, per elaborare delle «linee direttive etiche» che permettano di lottare contro l’islamofobia nei media. La raccomandazione dell’Assemblea riprende l’idea del rapporto di sviluppare una «buona immagine» dell’islam e dei musulmani, il dialogo delle culture e la nozione di pluralismo attraverso la conoscenza reciproca. Al paragrafo 5 della raccomandazione che segue il rapporto, l’Assemblea riconosce il fenomeno dell’islamofobia e la necessità di farlo scomparire.

4.  Cedimento della discussione all’ONU

Sembrerebbe che la situazione si sia un po’ calmata nel 2009 perché l’OCI ha accettato che la questione della diffamazione delle religioni e dell’islam sia ritirata dal progetto di dichiarazione finale della conferenza sul razzismo tenutasi a Ginevra alla fine del mese di aprile 2009. Era una delle condizioni poste dall’Unione europea per partecipare alla conferenza, quando il Canada aveva segnalato già, dal 23 giugno 2008, che non avrebbe partecipato alla Conferenza per questa stessa ragione.

Già nel luglio 2008, una nota speciale proveniente dal Segretario generale delle Nazioni Unite davanti alla 63ª sessione dell’Assemblea generale e intitolata

«Eliminazione di tutte le forme di intolleranza religiosa» introduceva il rapporto della Relatrice speciale sulla libertà religiosa, Asma Jahangir, chiesta dalla Risoluzione A/62/157. I termini di «diffamazione delle religioni» o «diffamazione dell’islam», sono evitati accuratamente. (A/63/161).

Le associazioni dei diritti umani si sono impossessate massicciamente della que- stione della «diffamazione delle religioni» nell’autunno 2008, prima del voto delle due ultime risoluzioni (Assemblea e Consiglio dei diritti umani), del dicembre 2008 e del marzo 2009. UN Watch, il Becket Fund for Religious Liberty e 180 altre ONG hanno esortato gli Stati a temporeggiare. Mettevano in guardia l’ONU contro la legittimazione delle leggi anti-bestemmia che limitano la libertà di religione, di espressione e della stampa e riducono al silenzio i dissidenti e le minoranze religiose. La petizione di queste ong è stata sostenuta dal parlamentare americano Trent Franks, copresidente del Caucus internazionale per la libertà di religione al Congresso: «Presentato come per tutelare la pratica religiosa e la tolleranza, il concetto di diffamazione delle religioni fa, in realtà, da supporto all’intolleranza. Dà diritto agli estremisti religiosi e ai governi repressivi di sopprimere ogni critica della religione dominante. Molti paesi che promuovono questo concetto criminalizzano la diffamazione, la denigrazione, l’insulto e la bestemmia dell’islam».

Infine, la penultima e lunghissima risoluzione dell’Assemblea generale sulla «diffamazione delle religioni» è stata una felice sorpresa. Pubblicata al tempo stesso con un titolo più moderato e più accessibile legalmente, «Lottare contro la denigrazione delle religioni» (55), essa integra numerosi paragrafi assolutamente concilianti sulle avances compiute nel campo dei propositi malevoli, pur ricordando il quadro protettivo della libertà di espressione. Così l’Assemblea: «[prende] nota dei rapporti presentati al Consiglio dei diritti umani, durante le sue quarta e sesta sessioni, dal Relatore speciale sulle forme contemporanee di razzismo, di discriminazione razziale, di xenofobia e di intolleranza che vi è associata, in cui si sottolinea la gravità della denigrazione di tutte le religioni, e chiedendo di nuovo a tutti gli Stati di combattere sistematicamente l’incitamento all’odio razziale e religioso mantenendo un giusto equilibrio tra la difesa della laicità e il rispetto della libertà di religione e riconoscendo e rispettando la complementarità di tutte le libertà enunciate negli strumenti internazionali relativi ai diritti dell’uomo, compreso il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici».

Parimenti, la risoluzione del Consiglio dei diritti umani, che è seguita a questa, anche se si intitola sempre «Diffamazione delle religioni» (56) non ha conosciuto un così grande successo. La risoluzione sulla diffamazione delle religioni è stata adottata nel marzo 2009 dal Consiglio, ma per la prima volta le alleanze tradizionali sul voto hanno cominciato a fare difetto: 23 voti a favore (i paesi musulmani, la Cina, la Russia, Cuba, l’Africa del Sud, la Bolivia e il Nicaragua), 11 voti contro (i paesi dell’Unione europea, la Svizzera, il Canada e il Cile) e soprattutto 13 astensioni (fra cui quelle dell’India, del Giappone, della Corea e dell’Argentina).

Conclusione

La mobilitazione dell’OCI contro il fenomeno islamofobo continua malgrado questi segni di calma ufficiale. Gli atti islamofobi non sembrano neppure in diminuzione sul continente europeo. Nel luglio 2009, l’osservatorio sull’islamofobia, sostenuto dall’OCI, ha reso il suo secondo rapporto (57) e una nuova organizzazione così come un nuovo sito sono stati creati dall’Unione delle organizzazioni islamiche in Europa: si tratta dell’Osservatorio euro-islamico contro l’islamofobia. Questo organismo ha visto la luce dopo l’omicidio di una giovane egiziana velata avvenuto a Dresda (Germania) a opera dell’uomo che lei aveva appena trascinato davanti ai tribunali per ingiuria.

D’altronde, l’ex-primo ministro danese Anders Fogh Rasmussen è stato nominato a capo della NATO il 4 aprile 2009, dopo che la Turchia, nella persona del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, dapprima contraria a questa nomina a causa del sostegno di Rasmussen al giornale danese che aveva pubblicato le vignette su Maometto nel 2005, ha ritirato le sue obiezioni. L’ha fatto a causa della dichiarazione del nuovo presidente americano Barack Obama che è stato «garante» del rispetto di un certo numero di impegni nei confronti del mondo musulmano. Alla vigilia dell’apertura del secondo forum dell’Alleanza delle civiltà a Istanbul, il 6 aprile, la stampa turca e mondiale aspettava di vedere come Rasmussen avrebbe reagito. Egli non ha presentato per l’esattezza delle scuse, ma ha dichiarato che in quanto segretario generale della NATO avrebbe fatto «particolarmente attenzione alle sensibilità religiose e culturali». E ha aggiunto: «Il nostro dialogo e le nostre relazioni con il mondo musulmano si svilupperanno».

Lo si vede, le tensioni sono lontane dall’essersi calmate. Ma, dopo questo lungo panorama sulla storia della «diffamazione dell’islam» come tema di mobilitazione e di reazione nelle istanze internazionali ed europee da alcuni anni, possiamo concludere che questo andirivieni conflittuale a priori ha prodotto dei risultati positivi. Ha permesso di precisare il contenuto legale delle nozioni di diffamazione, di discriminazione e di razzismo. Il concetto di «diffamazione delle religioni» si è rivelato inadatto e non agile nella filosofia dei diritti umani, ma il malessere che voleva simboleggiare è stato sentito. Questo conflitto ha permesso di precisare il posto necessariamente relativo dell’attentato al sentimento religioso nei sistemi democratici, pur cercando di ridefinire bene il contenuto delittuoso di questo attentato quando si trasforma in incitamento all’odio. Un sforzo di riequilibrio è stato intrapreso anche per dare la precedenza alle politiche pubbliche di non discriminazione, di lotta antirazzista e di costruzione del pluralismo, particolarmente attraverso una rappresentatività positiva delle differenti religioni presenti in Europa e l’apprendistato scolastico del multiculturalismo.

 

BLANDINE CHELINI-PONT – Professore associato presso l’Università Paul Cézanne, Aix-Marseille III, Francia. Articolo edito in Coscienza e Libertà 44/2010.

 

NOTE

  1. Rapporto del marzo 2005, consultabile su http://www.bladi.net/forum/37563-lintolerance-envers-musulmans-europe-rapport-accablant
  2. L’Oci è un’organizzazione fondata nel 1969 su iniziativa dell’Arabia Saudita e la cui segreteria si trova a Jeddah dal 1971. Essa raggruppa oggi 57 Stati membri, che rappresentano oltre un miliardo di musulmani (i quali in totale sono 1,6 miliardi nel mondo). Il suo obiettivo, definito dal suo statuto, è di «parlare con una sola voce per difendere gli interessi degli Stati membri e assicurare il progresso e il benessere delle loro popolazioni e di tutti i musulmani di tutto il mondo». In altre parole, rafforzare la cooperazione economica, politica, sociale e culturale tra gli Stati membri. Adottate per consenso, le risoluzioni del summit e delle riunioni ministeriali (Affari esteri) dell’Oci sono solo moralmente vincolanti per gli Stati membri. Il Programma d’azione decennale adottato nel dicembre 2005 da un vertice straordinario prevede di «ristrutturare l’Organizzazione, di cambiare il suo nome, di rivedere la Carta e le attività» per renderla più efficiente. Esso prevede l’istituzione di un meccanismo per applicare le risoluzioni. Il segretario generale è il turco Ekmeleddin Ishanoglu. Il sito ufficiale dell’Oci è oicoci.org. L’Oci ha fondato alla Mecca, nel 2005, un Osservatorio sull’islamofobia che ha presentato il suo primo rapporto all’undicesimo vertice dell’Oci a Dakar (http://www.oic-oci.org/is11/french/), nel marzo 2008 (http://www.oic-oci.org/is11/french/Islamophobie-Fr.pdf), e il secondo nel maggio 2009, in occasione dell’incontro del Consiglio dei ministri degli affari esteri dell’OCI in Siria (http://www.oicoci.org/uploads/file/islamphobia/islamophobia_rep_may_23_25_2009.pdf, disponibile solo in arabo o in inglese).
  3. Così l’Associazione francese Collectif Contre l’Islamophobie en France (Ccif), fondata nell’ottobre del 2003 durante il dibattito sul velo a scuola, che pubblica un primo rapporto sull’argomento nel 2004 (http://www.islamophobie.net/rapports/rapport-CCIF-2003-2004.pdf), e un altro nel 2008, a disposizione sul sito web: islamophobie.net.
  4. J. P. Teyssier, «Médias et religions: jusqu’où le respect?», in Gaz. Pal., 31 maggio 2006; l. Larcher, «Heurs et malheurs de l’islam cathodique», in La Croix, vol. 15-16 novembre 2008, pp. 17-18.
  5. G. Fellous, R. Prasquier, «Droits humains fragilisés. L’extension de la notion de ‘diffamation des religions’…», in Le Monde, 19 dicembre 2008; J. F. Flauss, «La diffamation religieuse en droit international», in Les Petites Affiches, 23 luglio 2002, pp. 5-17; idem. «La diffamation religieuse», in La protection internationale de la liberté religieuse, Bruylant, 2003; G. Haarscher, «Liberté d’expression, blasphème, racisme: Essai d’analyse philosophique et comparée», in Panóptica, Vitória, anno 2, n. 9, luglio-agosto 2007, pp. 21-53 (http://www.panoptica.org/seer/index.php/op/article/viewFile/231/302); A. Evenhuis, Blasphemous matter. Blasphemy, defamation of religion and Human Rights, Magenta Foundation, 2008, p. 8; J. Teemperman, «The Emerging Counter-Diffamation of Religion Discourse: A Critical Analysis», in Annuaire Droit et Religion 2009-2010, Puam, volume 4, pp. 553-559.
  6. Commissione dei diritti umani, Risoluzione sulla diffamazione delle religioni, 55e sessione, E/ CN.4/1999. L.40. Rev 1, sponsorizzata dal Pakistan, a nome dell’Oci, Ginevra, 30 aprile 1999, resoconto consultabile alla pagina http://www.unhchr.ch/huridocda/huridoca.nsf/(Sym-bol)/E.4.1999.SR.62.Fr?OpenDocument
  7. 2000/84 del 26 aprile 2000; 2001/4 del 18 aprile 2001; 2002/9 del 15 aprile 2002; 2003/4 del 14 aprile 2003; 2004/6 del 13 aprile 2004 (decide su un rapporto sulla situazione di discriminazione dei musulmani e degli arabi in diverse parti del mondo); 2005/3 del 12 aprile e 2005/40 del 19 aprile 2005, relativa all’eliminazione di ogni forma d’intolleranza e de discriminazione fondate sulla religione o la convinzione.
  8. Dichiarazione e Programma di azione, paragrafi 57 a 63, http://www.un.org/french/WCAR/pdf
  9. A/Res/60/150 sul rapporto del Terzo Comitato della Commissione dei diritti dell’uomo (A/60/509/Add.2   (Part   II)) 60/150).
  10. Introduzione, paragrafi 1 a 10. Allegata al testo sulla pagina concernente la 60esima sessione ed evidenziata dalla guida di ricerche della documentazione delle Nazioni Unite, http://www.un.org/Depts/dhl/resguide/r60fr.htm
  11. A/Res/60/166, sul rapporto del Terzo Comitato (documento A/60/507-II). Allegato sulla stessa pagina del testo precedente, http://www.un.org/Depts/dhl/resguide/r60fr.htm
  12. «5. Prende atto con profonda preoccupazione dell’aumento complessivo dei casi di intolleranza e di violenza diretti contro membri di molte comunità religiose e di altre in varie regioni del mondo, compresi i casi dovuti a islamofobia, antisemitismo e cristianofobia; 6. esprime preoccupazione per il persistere dell’intolleranza e delle discriminazioni sociali istituzionalizzate, praticate nel nome della religione o di una convinzione nei confronti di un gran numero di persone; 7. Condanna qualsiasi appello all’odio religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza, se utilizzato a questo scopo da stampa, audiovisivi, supporti elettronici o altri mezzi».
  13. Risoluzione 60/251, 15 marzo 2006.
  14. 29 giugno, principio votato il 30 giugno 2006. Décision 1.107 sur l’incitation à la haine raciale et religieuse et la promotion de la tolérance. Proposta da Algeria, Giordania, Pakistan, Marocco e L’Iran, il Qatar, il Sudan, l’Oman, il Libano, la Malesia, sebbene non membri del Consiglio dei diritti dell’uomo, hanno anche potuto aderire a questa proposta in qualità di osservatori.
  15. Il Canada, la Repubblica Ceca, la Finlandia, la Francia, la Germania, il Giappone, i Paesi Bassi, la Polonia, la Romania, la Svizzera, l’Ucraina e il Regno Unito.
  16. Rapporto che segue quello già prodotto da Doudou Diène, nel marzo 2004 (E/CN.4/2004/18 e Add.1 a 4) sull’argomento, in cui aveva considerato che il «campanello d’allarme era rosso». Il rapporto 2006 sulla situazione discriminatoria dei musulmani (E/CN.4/2006/17) è disponibile alla pagina: https://documents-ddsny.un.org/doc/UNDOC/GEN/G06/107/32/PDF/ G0610732.pdf?OpenElement
  17. Hrc/4/19/, 12 gennaio 2007, http://www.cran.ch/04_PageCentrale/01_DocumentsRefe-rences/Rapport%20general%20%20Doudou%20Diene%20A%20HRC-4-19_Fr.pdf
  18. Diffamation des religions et incitation à la haine religieuse et raciale comme manifestations contemporaines de racisme, de discrimination raciale, de xénophobie et d’intolérance relative, A/Hrc/2/3. http://www2.ohchr.org/english/bodies/chr/special/docs/statements/hrc6thsession/A-HRC-6-6Dieneracism.pdf
  19. A/Hrc/4/L.12, emendata oralmente, http://daccessdds.un.org/doc/UNDOC/LTD/ G07/121/33/PDF/G0712133.pdf?OpenElement. Questa risoluzione è seguita dalla risoluzione A/Hrc/4/L.13 (2007) sull’eliminazione di tutte le forme d’intolleranza e discriminazione fondate sulla religione o la convinzione. Questa seconda risoluzione è stata adottata senza voto.
  20. La risoluzione è stata adottata con 24 voti a favore, 14 contro e 9 astensioni. Hanno votato a favore (24): il Sudafrica, l’Algeria, l’Arabia Saudita, l’Azerbaïdjan, il Bahrein, il Bangladesh, il Camerun, la Cina, la Repubblica di Cuba, la Repubblica di Gibuti, la Federazione della Russia, il Gabon, l’Indonesia, la Giordania, la Malesia, il Mali, l’isola di Mauritius, il Marocco, il Messico, il Pakistan, le Filippine, il Senegal, lo Sri Lanka e la Hanno votato contro (14): la Germania, il Canada, la Finlandia, la Francia, il Guatemala, il Giappone, i Paesi Bassi, la Polonia, la Repub- blica di Corea, la Repubblica Ceca, la Romania, il Regno Unito, la Svizzera e l’Ucraina. Astenuti (9): l’Argentina, il Brasile, l’Ecuador, il Ghana, l’India, la Nigeria, il Perù, l’Uruguay e lo Zambia.
  21. http://www.aidh.org/ONU_GE/conseilddh/07/resol-religion.htm
  22. Rapport du Rapporteur spécial sur les formes contemporaines de racisme, de discrimination raciale, de xénophobie et de l’intolérance qui y est associée, Doudou Diène, sur les manifestations de la diffamation des religions et en particulier sur les incidences graves de l’islamophobie sur la jouissance de tous les droits. A/Hrc/6/6, 21 agosto 2007, presentato il 14 settembre 2007, per la 6a sessione del Consiglio dei diritti umani.
  23. «European Union members of the Council and other countries cautioned against equating criticism of religion with racism. In our view these two are of a different nature. Religions in themselves do not deserve special protection under international human rights law».
  24. Doc. 11296, 8 giugno 2007, Blasphème, insultes à caractère religieux et incitation à la haine contre des personnes au motif de leur religion, Rapporto della Commissione della cultura, della scienza e dell’educazione. Ralatore: Sig.a Sinikka Hurskainen, Finlandia, Gruppo socialista.
  25. http://www.venice.coe.int/docs/2008/CDL-AD(2008)026-f.pdf
  26. http://assembly.coe.int/Main.asp?link=/Documents/AdoptedText/ta06/FRes1510.htm
  27. http://assembly.coe.int/Mainf.asp?link=/Documents/AdoptedText/ta07/FREC1805.htm
  28. http://assembly.coe.int/Mainf.asp?link=/Documents/AdoptedText/ta07/FRES1535.htm
  29. http://www.venice.coe.int/docs/2007/CDL-AD(2007)006-f.asp. Rapporto molto equilibrato, ma che specifica bene, nelle sue conclusioni, al paragrafo 40: «La Commissione ricorda innanzi tutto che in una società democratica, i gruppi religiosi devono tollerare, come altri gruppi della società, dichiarazioni e dibattiti critici pubblici delle loro attività, dei loro insegnamenti e delle loro credenze, a condizione che queste critiche non siano intenzionali e gratuiti insulti o incitamenti a disturbare la quiete pubblica o a discriminare i seguaci di una religione».
  30. http://www.droitdesreligions.net/rddr/europe/conseildeleurope.htm Relatore: Sig.a Hurskainen Sinikka, Finlandia, Gruppo socialista, doc. 11296: «65. Alle Nazioni Unite, il concetto di “diffamazione delle religioni” è stato recentemente utilizzato in una relazione dell’Alto Commissariato per i diritti umani (A/Hrc/4/50 del 1° marzo 2007) e in una risoluzione del Consiglio per i diritti umani (risoluzione 09/04 del 30 marzo 2007 sulla lotta contro la diffamazione delle religioni). Quest’ultima è stata oggetto di critiche giustificate da parte di molti organi di informazione e di difesa dei diritti umani. Essa infatti si basa su un concetto chiaramente inaccettabile perché viola la libertà di espressione. […] 68. Difendendo la libertà di espressione, questo rapporto non deve in nessun modo essere interpretato come una tolleranza verso gli insulti a carattere religioso. Noi vogliamo difendere il principio della libertà di espressione. Vogliamo inoltre promuovere valori come la moderazione e il rispetto del credo religioso e sottolineare l’importanza della dimensione religiosa del dialogo interculturale». (http://www.assembly.coe.int/nw/xml/XRef/X2H-Xref-ViewHTML.asp?FileID=11521&lang=en)
  31. Consultabile sul sito web del Commissario https://www.coe.int/en/web/commissioner
  32. L’Assemblea ha votato nello stesso giorno una raccomandazione su «Stato, religioni, laicità e diritti umani», http://assembly.coe.int/Mainf.asp?link=/Documents/WorkingDocs/Doc07/ FDOC11452.htm, richiamando i principi di separazione e di neutralità alla base delle democrazie e degli Stati di diritto.
  33. Doc. 11305, 25 giugno 2007. Verso una depenalizzazione della diffamazione, Rapporto della Commissione delle questioni giuridiche e dei diritti dell’uomo. Relatore: Jaume Bartumeu-Cassany, Andorre, Gruppo socialista. http://assembly.coe.int/Mainf.asp?link=/Documents/WorkingDocs/ Doc07/FDOC11305.htm
  34. Questa idea è infine stata abbandonata dall’OciI quando, nel marzo 2008, il Shoura d’Arabia Saudita, principale finanziatore dell’Oci, ne ha rigettato il principio, che avrebbe richiesto una reciprocità nella tutela delle religioni non musulmane in terra saudita: http://www.gulfnews.com/news/gulf/saudi_arabia/10198648.html
  35. http://www.oic-oci.org/topic_detail.asp?t_id=707
  36. «In this regard, the Oic General Secretariat is considering the establishment of independent permanent body to promote Human Rights in the Member States in accordance with the provisions of the Oic Cairo Declaration on Human Rights in Islam and to elaborate an Oic Charter on Human Rights. The Oic is also committed to encourage its member States to reinforce their national laws and regulations in order to guaranty strict respect for Human Rights». A/HRC/7/19, http://dacces-un.org/doc/UNDOC/GEN/G08/107/32/PDF/G0810732.pdf?OpenElement
  37. http://ap.ohchr.org/documents/F/HRC/resolutions/A_HRC_RES_7_19.pdf
  38. 28 mars 2008, A/HRC/7/L.24, http://daccessdds.un.org/doc/UNDOC/LTD/ G08/120/37/PDF/G0812037.pdf?OpenElement
  39.  http://www.wan-press.org/article16875.html
  40. Relatore speciale sulla libertà di opinione e di espressione, Ambeyi Ligabo, 28 febbraio 2008, A/HRC/7/14,   http://www.article19.org/pdfs/press/petition-hrc-french.pdf
  41. http://www.unaoc.org/
  42. http://www.unaoc.org/content/view/160/197/lang.english/
  43.  http://www.eu2007.de/fr/News/Press_Releases/April/0420BMJRassismus.htm
  44. Questa agenzia sostituisce l’Osservatorio europeo sui fenomeni di razzismo e di xénofobia (Eumc) che, dal 1998, aveva il compito principale di raccogliere informazioni obiettive, affidabili e comparabili sui fenomeni di razzismo, di xenofobia e di antisemitismo in Europa. L’Eumc ha pubblicato un rapporto molto completo per la prima volta nel 2006 sulla discriminazione nei confronti dei musulmani. Eumc, Musulmans dans l’Union européenne: Discrimination et islamophobie, 2006, http://1001nights.free.fr/textes/Manifestations_FR.pdf
  45. Fonte: sito dell’Oci, http://www.oic-oci.org/topic_detail.asp?t_id=776&x_key=
  46. http://www.iesr.ephe.sorbonne.fr/docannexe/file/5699/redco_recommandations_politi- que_ pdf
  47. San Marino Final Declaration of the European Conference on «The religious dimension of intercultural dialogue», 23 e 24 aprile 2007. http://www.coe.int/t/dg4/intercultural/Source/sanmarinofinal_EN.doc
  48. J. Keast (dir.) Diversité religieuse et éducation interculturelle : manuel à l’usage des écoles, Editions du Conseil de l’Europe, Strasbourg, 2007, 224 pages.
  49. Dal canto suo, il gruppo di esperti sulla libertà religiosa dell’Odhir-Osce ha pubblicato un manuale su tale argomento, Toledo Guiding Principles on Teaching about Religions and Beliefs in Public Schools, Varsavia, Polonia, 2007, 127 pagine.
  50. http://www.coe.int/t/dg4/intercultural/Source/White%20Paper_final_revised_EN.pdf
  51. 17-18 ottobre 2008, 20 p., http://www.venice.coe.int/docs/2008/CDL-AD(2008)026-f.pdf
  52. http://assembly.coe.int/mainf.asp?Link=/documents/adoptedtext/ta08/fres1605.htm
  53. Doc. 11540. 27 marzo 2008, Rapporto della Commissione degli Affari politici. Relatore: João Bosco Mota Amaral, Portogallo, gruppo del Ppe.
  54. Risoluzione adottata dall’Assemblea generale sulla base del rapporto della Terza Commissione (A/63/430/Add.2), A/63/171, 21 dicembre 2008.
  55. A/Hrc/10/L.2/Rev.1, resoconto di stampa su http://www.aidh.org/ONU_GE/conseild-dh/09/10-resol-diff_relig.htm
  56. http://www.oic-un.org/document_report/Islamophobia_rep_May_23_25_2009.pdf

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