Vorrei intanto ringraziare gli organizzatori di questo convegno per l’invito rivoltomi e vorrei manifestare la simpatia e l’interesse della Conferenza Episcopale Italiana per l’iniziativa, che si colloca nel lungo dibattito che riguarda la legge sulla libertà religiosa in Italia.
Posto che si tratta di considerare quale legge (ma già questa mattina il tema è stato dibattuto con ben altra competenza), essa è indubbiamente una legge significativa e importante. Infatti uno dei fondamentali diritti della persona umana è quello alla libertà religiosa, diritto che si fonda sulla dignità della persona stessa. Si legge infatti nella dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae: «Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata» (n. 2).
Una legge che regolamenti il campo della libertà religiosa ha un suo significato non solo per la società civile come la conosciamo oggi, ma anche – e ancor più – per quella futura, infatti può contribuire in maniera determinante a regolare una materia che sarà sempre più articolata, con una sua complessità, e – non ultimo – a stemperare tensioni e prevenire conflitti che oggi possiamo solo presentire.
Ho fatto cenno al lungo dibattito che ha coinvolto giuristi, esponenti politici e religiosi nel nostro Paese. Oggi facciamo questo nostro discorso in un contesto sociale, culturale e religioso molto mutato da quando questo dibattito è iniziato. Sono molti gli elementi che mostrano il carattere radicalmente nuovo dell’attuale contesto socio-culturale, il quale, parlando in generale, si differenzia notevolmente da quello di altre epoche, di tipo sostanzialmente statico. Il superamento di un modello di società di impronta statica lo si può cogliere a diversi livelli. Potrei citare, solo per evocarne qualcuno, l’ambito delle tecnologie applicate alla biologia, le nuove possibilità di comunicazione aperte dalle tecnologie digitali, le forme nuove e plurali dell’etica sia sul piano delle concezioni sia su quello delle prassi. Accanto a questi, e ad altri aspetti che potrebbero essere menzionati, si colloca la mobilità umana che modella le nostre società in un incessante processo evolutivo, con l’effetto di alterarne sempre di più la configurazione in prevalenza monoculturale, come era per il nostro Paese. Questo processo ha subito, proprio in questi anni, una grande accelerazione. Faccio solo l’esempio delle minoranze ortodossa e islamica, notevolmente cresciute…
Come ha osservato il card. Peter Kodwo Appiah Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, la globalizzazione non ha determinato l’omologazione della cultura; non ha neppure standardizzato il mondo; né reso tutti membri di un villaggio globale. «Quanto sta accedendo con la globalizzazione e l’attuale processo di migrazioni internazionali è molto più complesso, dal momento che la mobilità delle persone da un paese all’altro ha provocato mutazioni demografiche, etniche e socio-culturali in molti paesi del mondo, specialmente in Europa e in America». Molti paesi occidentali – continua il card. Turkson – si sono trasformati in «luoghi d’incontro di schiere sempre più grandi di persone e culture, fino a rendere l’Occidente un luogo di straordinaria eterogeneità culturale e patria di diverse culture» (1).
Su questo aspetto specifico legato alla mobilità umana, non constatiamo soltanto il carattere inesorabilmente non più statico ma appunto dinamico del mondo di oggi, anche nell’ambito della vita sociale, ma dobbiamo rilevare pure il tratto altrettanto caratteristico del pluralismo che la contrassegna. Questo pluralismo è evidentissimo sul piano religioso. Certo, le culture umane sono state sempre molte e diverse; ciò che è nuovo sta nella prossimità delle differenze, nella loro convivenza obbligata, con le connesse sfide che proprio la condivisione del medesimo spazio comporta, unitamente al dinamismo impresso alla stessa vita sociale dagli altri aspetti appena richiamati.
Si tratta allora di trasformare una vicinanza casuale, frutto delle dinamiche storiche, economiche e sociali, in una coabitazione. Si tratta di dare un senso alla convivenza, che non può essere solo, che non deve essere più forzata.
L’approvazione di una legge in materia di libertà di religione, colmerebbe quella che alcuni considerano una carenza legislativa; infatti – come è noto – la vigente legislazione sui culti ammessi, che risale al 1929 (tutt’altra epoca, dunque), ovvero quella parte della stessa rimasta in vigore dopo gli interventi della Corte Costituzionale, oltre ad essere ritenuta obsoleta, non offre altro strumento per regolare i rapporti tra lo Stato e una comunità religiosa che l’intesa. E non è dunque in grado di arginare un ricorso sempre più esteso al regime delle intese. L’intesa la ottiene – se la ottiene – chi la chiede, con il rischio di squilibri tra il panorama delle intese stesse, che rischiano tra l’altro di essere copia l’una dell’altra, e la geografia religiosa reale del nostro Paese.
È necessaria una legge che sia garanzia di una buona convivenza tra le diverse comunità religiose in Italia. Mi pare saggio affrontare il pluralismo e il dinamismo che caratterizzano la società italiana oggi come una chance per il Paese piuttosto che come una iattura e al contempo governarla con una intelligente legislazione, tanto più che il futuro che si deve costruire deve rendere possibile la convivenza tra diverse fedi e tradizioni.
Le mie sono dunque considerazioni più che altro sull’orizzonte in cui si colloca una legge sulla libertà religiosa. Il dialogo che la Chiesa cattolica persegue con le altre religioni non significa né cedimento né annacquamento del proprio credo, anzi solo chi vive con serietà la propria fede può attuare un efficace dialogo con l’altro. Per un verso, nel passaggio da una società statica e organica ad una dinamica e plurale, cresce simultaneamente l’esigenza di un rafforzamento della identità e l’esigenza di una apertura all’alterità. La polarità consiste proprio nella necessaria simultaneità dei due processi. Là dove si indebolisce uno dei poli, si indebolisce anche l’altro. Ma è vero anche che là dove si afferma esclusivamente l’uno, si destina l’uno e l’altro insieme all’annullamento. Relativismo e fondamentalismo rappresentano due forme largamente speculari di cedimento al nichilismo (2). Il sincretismo pluralista, d’altra parte, non è antidoto contro le pretese di assolutezza né è un reale incentivo a una seria capacità dialogica. Piermario Ferrari, in un suo contributo relativo al dibattito teologico sul pluralismo religioso, osserva che anche Hans Küng ha sostenuto che obliare le proprie appartenenze, e le normatività che esse comportano, non rappresenta di per sé una capacità relazionale maggiore (3). «Se è vero, da un lato, che la verità non può mai pregiudicare la libertà, anche la proposizione reciproca va ugualmente riconosciuta, e che cioè la libertà non può abrogare la verità: la libertà è sempre libertà per un’accreditata e non incolore responsabilità, libertà per la verità. La normatività interna all’appartenenza sembra davvero essere condizione per una seria interlocuzione dialogica» (4).
Charles Taylor ha messo in rilievo come nelle società europee e nord-americane, benché segnate con maggiore o minore profondità dalla secolarizzazione, la ricerca religiosa e il significato del fatto religioso si esprimono oggi in forme nuove, tanto che egli parla di «Europa post-secolarizzata» (5).
In particolare, l’Europa occidentale, e dunque anche l’Italia – seppure con caratteristiche sue proprie -, si trova coinvolta in un processo di secolarizzazione, che tra l’altro ha fatto pensare negli anni passati (soprattutto dopo la metà del secolo scorso) che la modernizzazione coincidesse, appunto, con la secolarizzazione. Gli studi più recenti hanno rimesso in discussione questa analisi, che risentiva soprattutto dell’orizzonte dell’ambiente (quello degli intellettuali europei) che l’aveva elaborata (6). Sembra di poter dire oggi che si sia trattato di una generalizzazione della situazione europea, tutto sommato infondata. Il Nord America non è certa- mente meno «moderno» dell’Europa occidentale, ma esso appare molto più simile al resto del mondo. Pertanto nei cinquant’anni appena trascorsi abbiamo registrato la tenuta del cristianesimo evangelico negli Stati Uniti, mentre si assisteva, a partire dal secolo scorso, alla crescita del cristianesimo nell’emisfero meridionale, alla diffusione del pentecostalismo nei paesi in via di sviluppo, all’affermazione dell’islam su scala globale, all’ascesa politica del nazionalismo hindu, alla crescita di peso dei partiti religiosi in Israele o dei partiti di ispirazione islamica in alcuni dei più importanti paesi mediorientali (vedi anche i recenti esiti della «primavera araba»). Si potrebbe continuare a lungo, ma questo discorso porterebbe lontano.
Ciò che sembra di poter concludere è che il mondo contemporaneo, nel suo insieme, è caratterizzato da vigorosi movimenti di ispirazione religiosa, che finiranno per lambire anche il nostro Paese.
Insomma, sembra che l’eccezione sia costituita piuttosto dall’Europa e soprattutto dall’Europa occidentale. L’Europa orientale presenta infatti aspetti diversi: accanto a paesi che sembrano avviarsi verso una situazione simile (per fare qualche esempio, la Repubblica ceca o la ex Germania orientale, che si sono omologate all’area europea occidentale, anche dal punto di vista culturale, secolarizzandosi rapidamente), i paesi di tradizione religiosa e culturale ortodossa sembrano vivere una nuova stagione di ripresa della loro identità. Anzi – come osservava Andrea Pacini qualche anno fa – «la novità apertasi con la fine del XX secolo e l’inizio del XXI, in concomitanza con la transizione di quelle società all’epoca post-comunista, è il ritorno della tradizione religiosa e culturale ortodossa nel dibattito pubblico sia nei paesi europei orientali sia a più ampio livello internazionale» (7).
Dico queste cose per evidenziare che le comunità religiose hanno loro caratteristiche proprie, un loro profilo specifico, di cui va tenuto conto. E che esso ha una rilevanza storica ma anche attuale. Per le implicazioni, appunto, storiche, culturali e anche spirituali, queste comunità non sono mere realtà associative. Il pluralismo di cui dicevo fa del nostro Paese uno spazio umano abitato da molteplici comunità di fede. Una legge sulla libertà religiosa non può semplicemente livellare (magari al minimo) simili comunità. Esse sono, al contrario, artefici della coabitazione di domani.
Iain Chambers osserva che il multiculturalismo «rappresenta la risposta liberale che riconosce le culture e le identità altrui per mantenersene al centro, e lasciando queste altre culture in posizione di subalternità, così evitando qualsiasi interrogazione del proprio progetto politico» (8). In altri termini, la politica multiculturale si prefigge – in teoria – di dar vita a una convivenza pacifica tra le differenze all’interno della società, ma finisce per realizzare una società di «esigenze consentite» (per usare un’espressione di Marx nella sua Critica della filosofia del diritto di Hegel), cioè appena tollerate.
Il problema è dunque che il multiculturalismo promette riconoscimento reciproco, ma di fatto rinuncia a una comprensione sociale condivisa (9).
Pierpaolo Donati mette in evidenza la contraddizione del multiculturalismo: «Il limite intrinseco del multiculturalismo […] è la mancanza di relazionalità fra le culture che esso istituzionalizza» (10). Il multiculturalismo «non implica alcun apprendimento reciproco tra le culture»; «laddove riduce la sfera pubblico-politica a neutralità, sia conoscitiva sia morale, verso le differenze (ciò che è proprio dell’ideologia liberale della laicità, pur nelle differenze fra le diverse versioni del liberalismo) non promuove alcuna composizione fra le diverse istanze che possa portare alla costruzione di un qualche bene comune» (11).
Viceversa, scrive Benedetto XVI nella sua lettera enciclica Caritas in veritate: «In una società in via di globalizzazione, il bene comune e l’impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell’intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni, così da dare forma di unità e di pace alla città dell’uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio» (n. 7).
Una legge sulla libertà religiosa in Italia si inserisce in questo orizzonte di ricerca del bene comune, con il contributo delle diverse fedi, di ricerca di una «composizione tra le diverse istanze» e, per quanto detto finora sulle trasformazioni della nostra società in seguito alle migrazioni e alla globalizzazione, potrebbe rappresentare – se nell’impostazione prevale il necessario equilibrio – un momento della costruzione di una via italiana all’integrazione.
GINO BATTAGLIA – Direttore dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso – CEI. Articolo edito in Coscienza e Libertà 46/2012.
NOTE
1 P. K. A. Turkson, «Un manuale per la vita nell’epoca delle migrazioni», in Oasis 11 (giugno 2010),pp. 5-9.
2 Cfr. M. Crociata, Prolusione anno accademico 2010-2011 dell’Istituto S. Bernardino, Venezia, 25 novembre 2010.
3 H. Küng, «Per una teologia ecumenica delle religioni. Tesi di chiarimento», in Concilium, 1 (1996), pp. 156-165.
4 P. Ferrari, «La provocazione del “pluralismo” religioso e il dibattito teologico in corso», in A. Pacini (a cura di), Le religioni e la sfida del pluralismo. Alla ricerca di orizzonti comuni, Paoline, Milano, 2009, p. 40. Cfr. anche gli altri saggi contenuti nel volume.
5 C. Taylor, L’età secolare, Feltrinelli, Milano 2009, pp. 11-38 e 595-673.
6 Cfr. P. L. Berger, G Davie, E. Fokas, America religiosa, Europa laica?, il Mulino, Bologna, 2010, e i lavori dello studioso americano P. Jenkins, La terza chiesa. Il cristianesimo nel XXI secolo, Fazi Editore, Roma 2004; Id., I nuovi volti del cristianesimo, Vita e Pensiero, Milano, 2008, e Id, il Dio dell’Europa. Il cristianesimo e l’islam in un continente che cambia, Emi, Bologna, 2009.
7 Introduzione ad A. Pacini (a cura di), L’Ortodossia nella nuova Europa, Edizioni Fondazione Agnelli, Torino, 2003, p. XIII.
8 I. Chambers, Paesaggi migratori. Cultura e identità nell’epoca postcoloniale, Meltemi, Roma, 2003, pp. 145,146.
9 P. Gomarasca, Meticciato: convivenza o confusione?, Marcianum Press, Venezia, 2009, p. 14.
10 P. Donati, Oltre il multiculturalismo. La ragione relazionale per un mondo comune, Laterza, Roma-Bari, 2008, p. 30.
11 Idem, pp. 24, 25.