Abstract: La trasformazione del panorama religioso nella società globale rende centrale la questione dell’inclusione delle minoranze a livello politico, sociale e culturale. Si rende dunque necessario, per elaborare strumenti giuridici più coerenti con la mutata realtà, sia conoscere e indagare i diritti di cui godono le minoranze di religione/convinzione, sia misurarne il rispetto e la promozione. In questa direzione si pongono due innovativi progetti: L’Atlas of religious or belief minority rights in the EU countries e Prevenire la discriminazione e la persecuzione. Modelli di inclusione delle minoranze religiose nello spazio Euro-mediterraneo.
Sommario: 1. La crescente diversità religiosa, la questione delle minoranze e la necessità di avere dati precisi per favorirne l’inclusione giuridica e sociale. – 2. L’ Atlas of religious or belief minority rights in the EU countries. – 3. Uno sguardo al di là dell’Europa. – 4. Minoranze religiose: uno studio comparativo in alcuni Paesi dell’area Euro-mediterranea. – 5. Conclusioni.
1. La crescente diversità religiosa, la questione delle minoranze e la necessità di avere dati precisi per favorirne l’inclusione giuridica e sociale
La diffusione di Internet, il progresso scientifico e tecnologico, la globalizzazione e le migrazioni stanno velocemente favorendo il profilarsi di un’ideale Pangea culturale, in cui il fenomeno religioso appare sempre più un amalgama complesso e articolato di gruppi religiosi che si affiancano alle religioni di maggioranza, erodendone la tradizionale funzione identitaria nelle diverse aree territoriali. La convivenza di fedi, convinzioni e culture diverse non è semplice; gli egoismi campanilistici, le logiche egemoniche, la paura e il rifiuto della differenza alimentano tensioni conflittuali. Ne deriva l’urgente necessità di mappare la nuova geografia religiosa, predisponendo adeguati strumenti di informazione, conoscenza, comparazione, analisi e progettazione, (1) finalizzati a favorire l’inclusione giuridica e sociale dei gruppi di minoranza. In questa prospettiva si situano i progetti Atlas of Religious or Belief Minority Rights in the EU countries e Prevenire la discriminazione e la persecuzione. Modelli di inclusione delle minoranze religiose nello spazio Euro-mediterraneo, i quali affrontano la questione delle minoranze sotto il duplice profilo giuridico e sociologico, allo scopo di analizzare se e in quale misura esista un gap di tutela giuridica tra i gruppi religiosi di minoranza e di maggioranza.
L’approccio alla tematica delle minoranze esige una delimitazione del concetto; l’assenza di un’interpretazione univoca della nozione, come ha rilevato il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulle questioni relative alle minoranze, ostacola infatti la piena ed effettiva realizzazione dei loro diritti; egli ne ha quindi proposto la seguente definizione: «Una minoranza etnica, religiosa o linguistica è qualsiasi gruppo di persone che costituisce meno della metà della popolazione nell’intero territorio di uno Stato i cui membri condividono caratteristiche comuni di cultura, religione o lingua, o una combinazione di queste. Una persona può appartenere liberamente a una minoranza etnica, religiosa o linguistica senza alcun requisito di cittadinanza, residenza, riconoscimento ufficiale o altro status». (2)
A livello internazionale, le legittime pretese di uguaglianza di trattamento da parte dei gruppi minoritari sono state riconosciute fin dal 1966, con l’art. 27 del Patto internazionale sui diritti civili e politici; (3) eppure, dopo mezzo secolo, Rita Izsàk, Relatrice speciale per le Minoranze religiose presso l’Onu, ha dichiarato di ricevere «più informazioni relative a gravi violazioni dei diritti delle minoranze religiose rispetto a tutte le altre categorie. […] I problemi e la discriminazione esistono, perfino nelle democrazie più avanzate, e devono essere contrastati». (4)
Il riconoscimento dell’appartenenza a una cosmogonia culturale o religiosa diversa da quella contingentemente maggioritaria e la modulazione del diritto in ragione dell’identità culturale rappresentano presupposti fondamentali per un ordinamento giuridico che consideri la complessità e la diversità come un valore e non come un fenomeno da arginare.
2. L’ Atlas of religious or belief minority rights in the Eu Countries
A fronte di questa crescente diversità religiosa, si è fatta sempre più forte l’esigenza di apprestare nuovi strumenti per tutelare le minoranze. L’Atlas è uno di essi e serve a mappare i diritti di cui godono le minoranze di religione e di convinzione (5) (in inglese religious or belief minorities, RBMs) e a misurarne il rispetto e la promozione: senza questi dati non è possibile elaborare una evidence based policy che possa realmente favorire la promozione dell’identità, partecipazione e parità di trattamento delle RBMs. (6)
Il punto di partenza per quest’opera di misurazione è costituito dagli standard internazionali definiti nei documenti di organizzazioni come le Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa, l’Unione europea e l’OSCE. Quando questi standard sono rispettati si è attribuito a ciascun Paese (o a ciascuna RBM) il valore zero; quando uno Stato promuove i diritti delle minoranze al di là di quanto richiesto dagli standard internazionali si è attribuito un punteggio positivo; un punteggio negativo segnala invece che i diritti delle RBMs non sono pienamente rispettati. In tal modo sono stati costruiti tre indici: l’indice del rispetto e promozione dei diritti delle minoranze (articolato sia per Stati che per RBMs); l’indice dell’uguale trattamento delle minoranze da parte di ciascuno Stato (poiché non è raro che i diritti di una minoranza siano rispettati e promossi più di quelli di un’altra minoranza); l’indice della distanza tra diritti della maggioranza e quelli delle minoranze.
Questi tre indici mostrano che nei Paesi europei gli standard internazionali sono generalmente rispettati. Ciò è dovuto, da un lato, al fatto che le tradizioni culturali e religiose dell’occidente hanno avuto maggior peso di quelle di altre regioni del mondo nella definizione di questi standard; dall’altro al fatto che, per essere universali e quindi applicabili in ogni parte del mondo, questi standards segnano un livello minimo di rispetto e promozione dei diritti delle minoranze. L’elaborazione, ancora largamente carente, di standard applicabili specificamente all’Europa e la loro utilizzazione per misurare i diritti delle RBMs farebbe probabilmente emergere un quadro differente.
Il fatto che i diritti delle RBMs siano generalmente rispettati non significa però che essi siano promossi. L’altro dato che emerge con chiarezza dall’Atlas è che in nessun Paese le minoranze godono gli stessi diritti della maggioranza. Ciò solleva pesanti dubbi sull’efficacia di sistemi giuridici che, invece di accorciare le distanze tra maggioranze e minoranze, sembrano confermarne il distacco.
La promozione dei diritti delle minoranze è disuguale e spesso selettiva; in molti Paesi alcune minoranze godono più diritti di altre che si trovano in una simile posizione e ciò pone in questione il rispetto del principio di uguaglianza. Più precisamente, in quasi tutti i Paesi le minoranze cristiane hanno maggiori diritti di quelle non cristiane. Questo dato si spiega con il fatto che il diritto rispecchia un contesto sociale in cui la tradizione cristiana dell’Europa conserva un peso rilevante ma, al tempo stesso, esso evidenzia la necessità di riforme che prendano atto del mutato panorama religioso del Vecchio continente, in cui le religioni non cristiane segnano una crescita significativa.
Un altro dato che emerge dall’Atlas è che, con l’eccezione del Belgio, le belief organizations sono costantemente in situazione di svantaggio rispetto alle minoranze religiose. Mentre a livello di diritti individuali il fatto di credere o non credere mantiene oggi uno scarso rilievo, a livello di diritti collettivi esso conserva tutta la sua importanza e impedisce che le organizzazioni ateistiche e umanistiche siano poste sullo stesso piano di quelle religiose anche laddove (si pensi all’assistenza spirituale nelle carceri e negli ospedali) ciò sarebbe agevolmente possibile.
Infine, l’Atlas indica che la promozione dei diritti delle minoranze non dipende dal sistema di rapporti tra Stato e religioni in vigore in un Paese né dal suo retroterra culturale e religioso. I diritti delle minoranze possono essere promossi altrettanto bene nella Romania ortodossa come nella Svezia protestante, nell’Estonia separatista o nella Polonia, dove molte minoranze religiose sono regolate da leggi speciali. Il differente contesto sociale e culturale dei Paesi europei sembra invece avere un peso sull’uguale trattamento delle RBMs, che è assicurato nei Paesi dell’Europa settentrionale a tradizione protestante meglio che nelle altre parti del continente europeo. Infine, emerge con sufficiente chiarezza che i sistemi giuridici dei Paesi dell’Europa meridionale sono quelli dove il gap tra maggioranza e minoranze è maggiore.
3. Uno sguardo al di là dell’Europa
La promozione dei diritti delle RBMs è una questione che va ben al di là dei confini dell’Unione europea. Essa riguarda tutto il mondo. Sarebbe però frutto di una vecchia mentalità coloniale pensare che i criteri elaborati per affrontare tale questione in Europa valgano altrettanto bene al di fuori di essa. è necessario quindi aprire una riflessione su cosa significhi promuovere i diritti delle minoranze in regioni del mondo che hanno tradizioni culturali e religiose profondamente diverse da quelle europee. Questa riflessione muove dall’individuazione di una differenza fondamentale. In Europa i membri di una minoranza religiosa vengono inclusi nel sistema giuridico, sociale e politico di un Paese attraverso il riconoscimento del “diritto di essere uguali” ai membri della maggioranza: per raggiungere questo obiettivo, il fattore religioso è stato largamente neutralizzato, ovvero nessun rilievo è attribuito alla religione professata da una persona. Le norme dell’ordinamento giuridico statale che le vengono applicate sono le stesse, indipendentemente dall’appartenenza religiosa. In altre parti del mondo, e segnatamente in molti Paesi medio-orientali, i membri delle RBMs sono inclusi nel tessuto giuridico, sociale e politico di un Paese attraverso il riconoscimento del “diritto di essere diversi”: ciò implica che la religione sia un elemento rilevante nel definire lo statuto giuridico personale, nel senso che la religione professata da una persona ha un impatto sui diritti e doveri che le vengono riconosciuti all’interno dell’ordinamento giuridico dello Stato. Le norme sono diverse a seconda dell’appartenenza religiosa. Tanto in Europa che nei Paesi del Medio oriente esistono eccezioni a questa regola, ma in linea generale questa differenza è abbastanza evidente.
Entrambi i sistemi presentano punti di forza e di debolezza. Il sistema europeo corre il pericolo di privatizzare eccessivamente la religione e di restringere troppo la libertà religiosa in nome dell’uguaglianza; quello medio-orientale rischia di concedere troppo spazio alla religione nella sfera pubblica e di limitare eccessivamente l’uguaglianza in nome della libertà di religione. In Europa prevale la tendenza a neutralizzare l’impatto di tutte le norme religiose che implicano un differente trattamento degli individui a causa della loro religione; in molti Paesi medio-orientali, invece, si preferisce riconoscere la rilevanza di queste norme religiose e accettare che gli individui possano essere trattati in maniera differente a causa della religione che professano.
Posto che un valido sistema di promozione dei diritti delle RBMs è fondato su entrambi i diritti (quello di essere uguali e quello di essere diversi), è opportuno chiedersi se sia possibile trovare un punto di convergenza tra questi due differenti orientamenti. Per rispondere a questa domanda, è stata predisposta una seconda ricerca che pone a confronto la disciplina delle RBMs in alcune Paesi europei e medio-orientali.
4. Minoranze religiose: studio comparativo in alcuni paesi dell’area Euro-mediterranea
Il progetto Prevenire la discriminazione e la persecuzione. Modelli di inclusione delle minoranze religiose nello spazio Euro-mediterraneo, finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, coordinato dalla Fondazione Bruno Kessler, coinvolge un’unità di ricerca internazionale e interdisciplinare guidata dal prof. Silvio Ferrari, costituita da diversi studiosi di diritto e religioni.
Oggetto di studio è la condizione giuridica di alcuni gruppi di minoranze religiose in cinque Paesi dell’area Euro-mediterranea (Portogallo, Danimarca, Grecia, Libano, Egitto), distanti tra loro a livello geo-politico, con diverso background storico, culturale e religioso. La comparazione tra tre Paesi con differenti tradizioni cristiane e due (Libano ed Egitto) a maggioranza musulmana si focalizza su due policy areas – scuola/educazione e matrimonio/famiglia – particolarmente significative per conoscere e individuare il grado d’inclusione delle minoranze religiose nel tessuto sociale, desumibile sia dalla considerazione delle modalità della loro tutela giuridica e della sua applicazione pratica, sia dalla rilevazione di eventuali forme di discriminazione.
La scuola è infatti l’istituzione più idonea ad assicurare la formazione, l’informazione, l’inclusione, l’istruzione e l’educazione della coscienza, a promuovere la capacità di convivere in armonia e nell’uguale dignità, rispettando le molteplici identità di una società sempre più multietnica e multireligiosa. (7) Relativamente alla policy area matrimonio/famiglia, uno degli ambiti sociali più sensibili alle trasformazioni epocali in atto, il focus viene posto sul rilievo che le norme religiose rivestono sia nel momento costitutivo di un matrimonio valido per lo Stato, sia nella successiva fase di regolazione del rapporto matrimoniale e familiare, con particolare riguardo agli istituti dell’adozione, dell’affidamento dei figli e della successione.
Alla luce delle indicazioni che emergono dai dati relativi ai diversi Paesi, e all’interno di una logica proattiva, il progetto è finalizzato a valutare la possibilità di elaborare, a livello giuridico e politico, strategie efficaci per favorire la promozione dei diritti delle minoranze religiose e per la prevenzione, o quantomeno la riduzione, delle discriminazioni. La sinergia con esperti nel settore giuridico e sociologico dei Paesi coinvolti nel progetto consente di inquadrare i dati nella duplice prospettiva, quantitativa e qualitativa, efficace per interpretarli in senso più ampio rispetto ai parametri prettamente numerici.
Tale inquadramento viene altresì agevolato dallo strumento metodologico adottato, consistente nella somministrazione di due questionari: il primo, rivolto a giuristi che svolgono il ruolo di corrispondenti nazionali per i cinque paesi presi in esame – scelti tra i membri dell’ICLARS (International Consortium for Law and Religion Studies) – registra i dati normativi relativi allo status quo dei diritti garantiti ai gruppi religiosi di minoranza nei sistemi giuridici nazionali; il secondo, rivolto agli esponenti delle minoranze religiose, intende misurare la loro percezione del grado di discriminazione valutando la concreta applicazione dei diritti formalmente assicurati.
L’analisi comparativa della condizione giuridica delle minoranze religiose, e in particolare l’approccio interdisciplinare, possono contribuire a delineare nuove coordinate ermeneutiche, utili per orientarsi nella complessità sempre più congestionata della realtà socio-religiosa e culturale.
5. Conclusioni
In un’epoca di crescente diversificazione religiosa, è inevitabile che la questione delle minoranze diventi sempre più centrale. Le migliori chance per raggiungere l’obiettivo di una piena inclusione delle minoranze religiose nel tessuto politico, sociale e culturale di un Paese sono offerte, a parere di chi scrive, da un pluralismo giuridico che sia sostenibile e che consenta a individui e gruppi di contribuire al bene comune, ciascuno a seconda della propria specifica concezione della vita e del mondo, all’interno di una cornice di principi condivisi. Racchiuso in questa formulazione sta un nodo di problemi che toccano l’universalità dei diritti umani, l’opportunità di una loro applicazione attenta ai diversi contesti storici, il rapporto tra diritti individuali e collettivi, la dialettica tra libertà e uguaglianza: tutti temi che non possono essere affrontati in questa sede ma che sono sottesi alle due ricerche illustrate in questo scritto. I nuovi dati che esse forniranno saranno utili per rendere la riflessione su questi temi più ricca e concreta.
Silvio Ferrari – Già professore ordinario di Diritto ecclesiastico e canonico nell’Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze giuridiche “Cesare Beccaria”.
Silvia Baldassarre – Borsista di ricerca in Diritto ecclesiastico, Dipartimento di Scienze giuridiche, Università di Firenze.
N.B. Del presente contributo, frutto di collaborazione tra gli Autori, sono da attribuire a Silvio Ferrari i paragrafi 2, 3, 5 e a Silvia Baldassarre i paragrafi 1, 4.
1 Cfr. S. FERRARI, Le minoranze religiose escluse. Introduzione al tema, Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 13, 2021, p. 7.
2 Rapport du Rapporteur spécial sur les questions relatives aux minorités, 2019, disponibile in https://digitallibrary.un.org/record/3823138.
3 Art. 27 «In quegli Stati, nei quali esistono minoranze etniche, religiose, o linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione, o di usare la propria lingua, in comune con gli altri membri del proprio gruppo».
4 L. OLTEANU, «Le minoranze religiose viste dall’ONU» – intervista a Rita Izsàk, in Coscienza e Libertà, 54, 2017, disponibile in https://coscienzaeliberta.it/coscienza-e- liberta/rivista-n-54/le-minoranze-religiose-viste-dallonu-intervista-a-rita-izsak-n-54- anno-2017/.
5 L’Atlas considera, accanto alle minoranze religiose, anche le organizzazioni ateistiche e umanistiche, che sovente debbono affrontare problemi analoghi a quelli che si presentano per le prime.
6 Attualmente l’Atlas copre 12 paesi dell’UE (Austria, Belgio, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Italia, Polonia, Romania, Spagna, Ungheria e Svezia), 13 RBMs (buddisti, cattolici, ebrei, indù, mormoni, musulmani, ortodossi, protestanti (mainline e evangelici), aderenti a Scientologia, Sikhs, Testimoni di Geova, membri delle “belief organizations”) e 4 policy areas (statuto giuridico delle RBMs, assistenza spirituale, scuole pubbliche e simboli religiosi).
7 L’indagine si focalizza essenzialmente sull’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche e sul suo carattere obbligatorio o facoltativo, sulla possibilità di indossare simboli della propria religione a scuola, sull’astensione dall’insegnamento e dalla frequenza scolastica in occasione delle festività religiose, sulla disponibilità di cibo non proibito dalle regole religiose nelle mense scolastiche, sul diritto di aprire scuole confessionali, sull’accesso delle scuole confessionali a finanziamenti pubblici, sull’autonomia delle scuole confessionali nella scelta degli insegnanti, dei programmi e dei libri di testo.