In linea generale si definisce setta un’organizzazione socio-religiosa formatasi per separazione rispetto a una tradizione storicamente consolidata. Capire come nasca o si formi originariamente una setta, aiuta a comprendere quali siano i suoi tratti costitutivi. Aiuta altresì a liberarsi dal pregiudizio, molto diffuso, che essa sia sinonimo di gruppi elitari, chiusi ed esclusivi, con pratiche rituali strane e ideologie pericolose per l’ordine pubblico. La parola assume connotati negativi fra il Settecento e l’Ottocento per indicare associazioni segrete o, in ambito religioso, esoteriche con pratiche occultistiche.

La separazione, come tratto complessivo della setta, è un concetto articolato e composito. Infatti la setta presuppone l’esistenza di un sistema di credenza religiosa già costituito, consolidatosi nel tempo attraverso istituzioni sacre, rispetto alle quali essa sviluppa il germe della separazione. Non basta. E’ necessario che all’autorità religiosa costituita se ne contrapponga un’altra e che attorno a essa si formi un nucleo di persone che accetti di sottoporsi a una nuova disciplina interiore ed esteriore; quest’ultima servirà a rilevare la radicale differenza fra il precedente sistema di credenza e il nuovo che viene proposto. Fin qui abbiamo utilizzato concetti e nozioni che hanno a che vedere con le caratteristiche di una determinata organizzazione religiosa. Perciò la parola chiave, sinora, è «organizzazione». Scegliamo questa strada per sgomberare subito il campo da ogni equivoco terminologico e ideologico. La parola setta suscita, appena pronunciata, sentimenti contrastanti, in genere di ostilità o di antipatia. La storia di questo termine meriterebbe una trattazione a parte. Qui ci limitiamo a osservare che la qualificazione negativa di una setta è stata imposta storicamente da una religione dominante nei confronti di gruppi minoritari sviluppatisi nel suo seno, per giustificare a volte una loro sistematica persecuzione.

Un esempio

Quanto appena detto può essere esemplificato dalla storia della religione Baha’i. Il nucleo originario di questo sistema di credenza si forma in Persia nel 1844 attorno alla figura di ‘Ali Muhammad di Shiraz (1819-1850). Questi, dotato di un carisma personale e di una buona conoscenza della teologia dell’Islam sciita, si proclama la nuova porta (báb) fra l’uomo e la divinità. Per entrare in contatto con Dio, gli esseri umani non hanno più bisogno né del Corano (il testo sacro per eccellenza della rivelazione islamica) né tanto meno di istituzioni sacre (nel caso specifico, dell’autorità del clero sciita). Da qui discesero, da un lato la contestazione dell’ordine politico e religioso costituito e, dall’altro, l’introduzione di pratiche spirituali e di condotta di vita differenti da quelle imposte dalla tradizione sciita stessa, come, ad esempio, l’affermazione dell’uguaglianza fra uomo e donna, l’abolizione del velo per la donna e il principio del matrimonio monogamico. Báb ‘Ali, dopo aver subito varie incarcerazioni, venne alla fine fucilato dal Governo persiano e il suo movimento perseguitato. Ancora oggi è messo al bando in Iran. Dopo la morte del suo fondatore, il movimento si raccolse attorno alla figura di Ali Mina Husayn Nuri (1817-1892) che si proclamò Baha’ullah (letteralmente: lo splendore di Allah) e che trasformò gradualmente l’originario messaggio profetico di Báb ‘Ali nella sistematizzazione di una nuova religione. L’Islam sciita ha dunque inizialmente considerato il movimento come una pericolosa e deviante setta, espressione di una divisione intollerabile in seno alla comunità; l’ha quindi fortemente e negativamente stigmatizzata prima, e perseguitata poi.

La setta nel Cristianesimo

Questo  esempio  ci  consente  di  precisare  ulteriormente  quanto  spiegato  poco sopra. Esaminiamo ora questi stessi concetti, facendo riferimento a una religione mondiale  come  il  Cristianesimo.  Da  essa  sono  scaturite  fondamentalmente  due organizzazioni religiose: la chiesa, da un lato, e la setta, dall’altro. Il sociologo e teologo tedesco di matrice riformata, Ernst Troeltsch, che più di tutti ha riflettuto su questo tema, ha mostrato come da una comune idea religiosa, contenuta nella predicazione di Gesù, siano nati sia un modello di organizzazione come la chiesa sia un altro alternativo alla prima, la setta. La riprova è nella storia stessa del Cristianesimo: il principio settario, sempre fortemente represso e rimosso dal Cattolicesimo romano, è profondamente legato a questa religione tanto da svilupparsi prepotentemente quando Martin Lutero demolì teologicamente il principio della chiesa come mediatrice terrena di salvezza.

Per Troeltsch (1865-1923), che segue in questo i concetti già messi a punto da Max  Weber (1864-1920), esiste una differenza fondamentale fra la chiesa e la setta. La prima è un’istituzione di salvezza nella quale si nasce (allo stesso  modo di altre grandi organizzazioni sociali, come lo Stato o il gruppo etnico), un’istituzione che mira a redimere tutti gli uomini e gli ordinamenti di questo mondo, dunque a dispensare la grazia di Dio al maggior numero di persone possibile, incontrandole nella concreta realtà profana in cui esse vivono. Perciò, in linea di principio, la chiesa non disdegna la ricerca del compromesso con gli ordinamenti di questo mondo. La setta, al contrario, proprio perché si fonda sulla scelta volontaria di conversione di chi vi aderisce, in principio è una formazione socio-religiosa che esprime il bisogno di rinnovamento di un messaggio (quello evangelico) che appare agli occhi dei suoi aderenti come privato di forza. Nel duplice senso: la Parola viva è diventata strumento di potere e, al tempo stesso, ha allontano molte persone dalla fede autentica. La Riforma ha sgomberato il campo dalla pretesa della Chiesa cattolica di essere l’unica via di salvezza possibile, spostando il baricentro dal primato dell’istituzione al primato della Parola (e, dunque, della Bibbia come libro della Parola). Il protestantesimo è diventato storicamente il terreno fertile per la formazione continua di nuove sette che poi sono anche diventate chiese, da cui si sono staccate altre nuove sette e così via.  La precarietà protestante, come l’ha definita felicemente il sociologo francese Jean-Paul Willaime, spostando il principio d’autorità dal Papa alla Parola ha favorito la nascita di comunità di tipo “setta” che, nel corso del tempo, si sono o stabilizzate nella forma-chiesa oppure hanno cercato di mantenere una forma   più fluida attraverso il modello delle congregazioni territoriali, relativamente autonome l’una rispetto all’altra dal punto di vista amministrativo e organizzativo.

Una setta attorno a Gesù?

Forzando  un po’ il discorso, ci si può chiedere che tipo di gruppo era quello che si formò attorno a Gesù. Sia il primo gruppo di discepoli sia le prime comunità cristiane assumono una forma molto fluida da un punto di vista organizzativo: prevalgono, infatti, da un lato l’autorità del carisma personale fin quando Gesù è in vita, e, dall’altro, il sentimento dell’attesa dell’imminente Suo ritorno. Entro certi limiti possiamo applicare quindi la categoria della setta per classificare il primo movimento religioso suscitato da Cristo. Infatti, alle origini, si tratta di un movimento che nasce all’interno del giudaismo: Gesù si batte contro la sclerosi che, secondo lui, aveva colpito la vita religiosa degli ebrei; in particolare critica a fondo il ritualismo e il formalismo cui la classe sacerdotale del tempo aveva  finito per ridurre la ricchezza della tradizione biblica e della legge (Torah). Agisce come un portatore di carisma, innovatore e contestatore dell’ordine costituito. Rispetto, dunque, alla tradizione consolidata dell’ebraismo del tempo, l’idea della comunità fondata sull’amore, segno terreno di Dio e del suo progetto di salvezza dell’uomo e della storia tutta, appare da un lato come il motivo di fondo dell’atteggiamento critico da parte di Gesù verso le sue matrici ebraiche, dall’altro anche come l’affermazione del principio necessario della separazione per chiarimento quale fondamento della conversione interiore e dell’adesione volontaria  a un nuovo messaggio religioso. Chi vi aderiva doveva ripensare i contenuti della propria religione di nascita (che in quel tempo era ovviamente per la stragrande maggioranza della popolazione la religione del popolo di Israele). Allo stesso modo possiamo dire che, anche dopo la morte di Cristo, le diverse comunità che sorgono, conquistate dal suo messaggio, diffuso dai primi predicatori itineranti, si pongono il problema di definire la vera natura di Gesù: chi fosse veramente costui, se semplice uomo annunciatore di un nuovo credo oppure persona umana che condivideva qualcosa della natura di Dio oppure ancora Dio fattosi uomo. Le controversie cristologiche che agitarono per molti secoli la nuova religione fondata da Gesù non furono solo sottili discussioni filosofiche e teologiche. Spesso si intrecciarono, da un lato, con lo sviluppo di un apparato di specialisti in cose sacre che si occupavano di definire il pensiero e il credo ortodossi della nuova religione e, dall’altro, con l’azione degli esponenti dei gruppi dissenzienti dalla linea maggioritaria che veniva imponendosi, gruppi che finirono per essere qualificati come eretici, non ortodossi o, appunto, settari. Del resto, nel linguaggio ecumenico della Chiesa cattolica come vengono considerati i protestanti? Fratelli separati. Una categoria, quest’ultima, che contiene, il positivo e il negativo: abbiamo una radice comune, ma purtroppo vi siete separati.

Separazione da che cosa?

Gli esempi che abbiamo fatto servono a mettere meglio a fuoco il concetto di separazione da cui abbiamo preso le mosse. La setta, insomma, si afferma quando ci si separa rispettivamente da una tradizione religiosa consolidata, o in via di consolidamento dal mondo, ritenendolo sede del male; infine, e a volte radicalmente, dalla società di origine, vivendo nascosti in una realtà che cerca di riprodurre in terra il modello ideale verso cui si tende.

Dunque, in base a quanto detto, possiamo parlare di sette, ad esempio, sia quando facciamo riferimento al movimento degli Esseni, sia quando ci riferiamo a un movimento neo-orientale come quello degli Hare Krishna (almeno dalle sue origini sino agli inizi degli anni Ottanta). Quanto appena detto suggerisce anche che alla base di un fenomeno ricco e vitale come il monachesimo ci possa essere, fra altri motivi, anche il principio ispiratore della setta. Almeno alle origini, infatti, il monachesimo cristiano elabora una via ascetica che conduce i singoli eremiti a riunirsi in cenobi, piccoli nuclei di persone, embrioni di comunità stabili, fuori e distanti dagli ambienti abitati. Lo spirito della setta in questo caso è limitato solo a un aspetto: la separazione dal mondo. Non tocca, almeno in forme esplicite, né i contenuti di una religione stabilita né le forme organizzate che essa assume storicamente.

La setta esprime in forme esplicite o implicite un conflitto di natura religiosa. Questo spiega perché attorno a essa si mobilitino sentimenti di ostilità e si sedimentino successivamente nella coscienza collettiva stereotipi negativi di lunga durata. Il conflitto è una delle cause più importanti alla base della formazione delle sette. Può prendere le mosse da questioni dottrinarie o da questioni relative alla legittimazione dell’autorità di un gruppo religioso. In linea di massima tutti i conflitti hanno a che fare con l’interpretazione di una tradizione più o meno definita e consolidata; si tratta spesso nella storia delle religioni di un processo lungo e complesso, a volte costellato di dispute e lotte violente. Una tradizione è una linea interpretativa maggioritaria che cerca di imporsi su altre rispetto ai contenuti originari di un determinato sistema di credenza religiosa. Questi contenuti possono essere fatti risalire alla parola viva di un fondatore, di un profeta o di un riformatore religioso, parola che viene successivamente trascritta in un testo sacro, in un canone che diventa ben presto la fonte scritta, ultima, invalicabile delle norme etiche e spirituali che nutrono l’esistenza di una religione. Quindi, quando ci troviamo di fronte a figure religiose di tipo carismatico che si oppongono in modo più o meno frontale all’assetto delle credenze e dei riti di una tradizione religiosa consolidata, il conflitto che scaturisce, segue, almeno inizialmente, la logica propria della setta. In fondo, la vicenda di un profeta riformatore spirituale, come Siddharta Gautama (nato attorno al 563 a.C. nel Nepal), sembra offrirci utili conferme. Come Francesco di Assisi, il futuro Buddha (l’Illuminato) rinuncia alla ricchezza e alla nobile ascendenza per cercare la verità profonda delle cose. Fugge allora dal sontuoso palazzo che lo ospitava verso la foresta, si rade il capo e si riveste di stracci. In questo cammino interiore Gautama sperimenta varie vie che alla fine abbandona insoddisfatto. Secondo la tradizione, Gautama si ritira allora in meditazione sotto un albero – chiamato poi il Luogo Immobile – fin quando non ha piena coscienza di aver raggiunto il Grande Risveglio. Contro una religione, come quella induista, fondata sul principio gerarchico, la visione del mondo buddhista era, ed è, profondamente  egualitaria. Attorno alla sua figura, Gautama, come Gesù, non fonda nessuna organizzazione piramidale, coerentemente del resto con l’autorità carismatica che egli esercita; crea invece delle comunità di monaci (i sangha), formate da asceti itineranti che rinunciano al mondo, compiono voti di castità e povertà, si dedicano interamente alla meditazione e allo studio, praticano la non-violenza  e rinunciano a qualsiasi qualificazione sacra. Esce dal sistema induista delle caste, si separa dall’assetto istituzionale sociale e religioso, allo stesso tempo.

Conclusione

William Booth (1829-1912), per dare corpo al suo desiderio di portare il messaggio evangelico ai barboni e ai miserabili dei quartieri più degradati di Londra, fondò nel 1865 un gruppo religioso, distaccandosi dall’originario ceppo del Metodismo. Questo gruppo diverrà poi il nucleo di un movimento più ampio, che assunse il nome di Esercito della Salvezza (oggi diffuso in tutto il mondo, Italia compresa, con circa un milione di aderenti e con più di tremila opere sociali). L’Esercito della salvezza si organizzò sul modello militare per  simboleg- giare lo stile ascetico che i membri avrebbero dovuto acquisire nella loro battaglia quotidiana contro la miseria e il male presenti nel mondo. Così facendo esso apparve come una formazione singolare e bizzarra, non fosse altro perché i salutisti indossavano una divisa militare (uomini e donne indifferentemente), con tanto di gradi, e avevano una struttura organizzativa basata su veri e propri quartieri generali. Essa fu etichettata subito in modo negativo come setta. Oggi nessuno però continuerebbe a considerarla in tal modo, dal momento che questa organizzazione religiosa ha da tempo conquistato sul campo rispettabilità e credibilità per l’impegno socio-assistenziale che promuove.

Per fare ancora un esempio, la Chiesa cattolica ha condannato spesso, lungo la sua secolare storia, movimenti religiosi dissidenti come sette eretiche, come nel caso dei catari o dei valdesi nell’Undicesimo e Dodicesimo secolo. In realtà il movimento, nato attorno alla figura di Valdo (da cui il nome di valdesi) e che ha assunto successivamente il nome di Poveri di Lione (città natale di Valdo), cercò di farsi interprete del messaggio autentico del Vangelo (essere poveri come Cristo) che, a suo dire, la chiesa istituzionale e gerarchica del tempo aveva tradito.

Abbiamo cercato di mostrare come la setta appartenga per così dire alla dialettica interna del campo religioso e sia espressione di conflitti fisiologici che riguardano i contenuti di una determinata tradizione. Dunque, da questo punto di vista, il termine di per sé non evoca nulla di particolarmente negativo o meglio non autorizza a emettere alcun giudizio preventivo di condanna.

Enzo Pace – Professore di Sociologia e Sociologia delle religioni all’Università di Padova

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