ABSTRACT

Il conflitto tra Russia e Ucraina ha rilanciato il tema cruciale delle persecuzioni russe verso le minoranze religiose. I primi segnali di un irrigidimento della Federazione
Russa nei confronti dei gruppi religiosi minoritari si colgono in una decisione della Corte Suprema russa del 2017, in virtù della quale i Testimoni di Geova sono identificati come un’organizzazione estremista; in tale frangente, si ordina la confisca di tutte le proprietà della comunità religiosa nel Paese, rendendo i singoli fedeli vulnerabili all’arresto. Nel mese di giugno del corrente anno, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha emesso una storica pronuncia a favore della comunità dei Testimoni di Geova, riconoscendo che le azioni perpetrate dallo Stato russo violano
gli artt. 5, 9, 10 e 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In realtà, già nel 2004 (Jehovah’s Witnesses of Moscow and Others v. Russia) la Corte di Strasburgo aveva statuito all’unanimità che la decisione della Corte Distrettuale di Golovinskiy di sciogliere la comunità, poiché contraria alle disposizioni legislative sulle associazioni religiose, costituiva una netta violazione dell’art. 9, oltre che dell’art. 11 Cedu circa il rifiuto studi delle autorità russe di effettuare la registrazione dello Statuto della comunità dei Testimoni di Geova. Lo scenario delineato induce inevitabilmente a riflettere sull’improprio approccio della Russia al fenomeno religioso, ben diverso da quello adottato a livello europeo. Al contempo, appare opportuno interrogarsi sull’effettiva incidenza della recente sentenza dei giudici di Strasburgo, alla luce dell’esclusione della Russia dal Consiglio d’Europa.

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