Nel luglio 2006, il governo britannico pubblica Contest – un documento contenente la strategia per il contrasto del terrorismo internazionale – nel quale internet viene indicato per la prima volta, in un documento governativo, come un dominio in cui le “opinioni radicali”, di qualsiasi matrice, vengono pericolosamente promosse. (1) Con il passare degli anni, la comunicazione violenta di gruppi o persone online, è diventata sempre più oggetto di interesse per la sicurezza delle nazioni, ma anche per chi, da un punto di vista scientifico, cerca di indagare il fenomeno con l’obbiettivo di prevenirlo o arginarlo.
Oggi, siamo purtroppo diventati familiari con il fenomeno del discorso d’odio in rete, che non si riferisce esclusivamente a quelle comunicazioni online che portano a effettive azioni violente offline, ma anche – come ci ricorda il Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa (1997) – a “tutte le forme di espressione che si diffondono, incitano, sviluppano o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo e altre forme di odio basate sull’intolleranza e che comprendono l’intolleranza espressa attraverso un aggressivo nazionalismo ed etnocentrismo, la discriminazione l’ostilità contro le minoranze, i migranti e i popoli che traggono origine dai flussi migratori”.
Da questa prima definizione, numerose sono state le riformulazioni che hanno tentato di inquadrare le varie forme in cui viene espresso l’odio. (2) Numerose proprio perché nessuna sembra essere sufficientemente esaustiva, completa e rigorosa, nel definire un fenomeno che cambia con il mutare dei costumi e dei linguaggi delle società e che, oggi più che mai, si presenta sotto varie forme proprio a causa della crescita dell’uso di internet e della sua capacità di connettere le persone e facilitare la diffusione di informazioni tra utenti che possono anche dissimulare, o nascondere, la propria identità. (3)
Comunità LGBTI, donne, migranti, rom, sono i gruppi più targettizzati in Europa dalla comunicazione d’odio (4) on e off line, ai quali si aggiungono minoranze religiose come ebrei e musulmani. In particolare, proprio questi ultimi risultano essere tra i gruppi più colpiti dall’odio in rete in Europa (Gallup 2016). Negli ultimi anni, infatti, oltre ai tragici episodi di terrorismo collegati al fondamentalismo islamico, si è unita anche la crisi migratoria alla costruzione della narrazione di una pericolosa invasione islamica. (5) Il tema della sicurezza e della “islamizzazione dei valori cristiani” sono stato, infatti, più volte al centro della propaganda populista dei partiti di destra e contribuendo al progressivo inasprimento dei sentimenti antislam tra i cittadini europei. (6)
Del resto, come sottolinea J. Waldron nel suo libro The Harm in the Hate Speech, il tentativo di chi promuove una campagna d’odio è proprio quello di disumanizzare gruppi o individui, categorizzandoli approssimativamente per determinate caratteristiche ritenute pericolose per l’integrità del gruppo di maggioranza. Quest’ultimo gruppo, quindi, avvertendo la minaccia si sente autorizzato a reclamare il diritto di difendersi anche ricorrendo alla violenza.
Facile immaginare come oggi internet giochi un ruolo essenziale nella circolazione delle comunicazioni che aiutano a costruire l’immagine del nemico. Il report The State of Islamophobia in Europe (2018) evidenzia infatti come proprio la diffusione dei contenuti anti-islam sul web sia uno dei motivi principali della radicalizzazione dei gruppi di destra. A tal proposito, Maria Ranieri (2016), analizzando la comunicazione online di alcuni movimenti di estrema destra in Europa (7) ha paradossalmente evidenziato come la loro propaganda anti-islam sia caratterizzata dalla “strategia della negazione” della loro matrice razzista. Nelle loro comunicazioni pubbliche, infatti, questi gruppi affermerebbero di agire nell’interesse del gruppo sociale a cui appartengono e nel rispetto, quindi, delle istituzioni democratiche. Una condotta che nel tempo ha facilmente sdoganando espressioni come “non sono razzista, ma…”, che contribuiscono oggi a innalzare il livello di tollerabilità dell’intolleranza.
Islamofobia in Italia tra online e offline
L’“islamofobia” viene generalmente descritta come l’ostilità infondata nei confronti dell’islam e alle conseguenti pratiche di discriminazione che ne derivano a danno di persone e comunità musulmane (Runnymede and Trust 1997). E’ difficile oggi continuare a usare questo termine senza tenere conto dell’insidia che si nasconde dietro la parola “fobia”, utilizzata per descrivere un fenomeno che sembra affondare le radici nell’irrazionalità e nell’inconscio del soggetto che la prova, e di conseguenza rendendo inutile, o più arduo, qualsiasi tentativo di estirparla.
Per questo motivo in questo breve saggio si prediligerà, ove possibile, il ricorso a espressioni come “odio anti-islam/musulmani”, che meglio restituiscono la complessità di un fenomeno inteso come un costrutto sociale che si presenta oggi in forma sistematica.
Come già detto in precedenza, internet è uno dei terreni più fertili per la diffusione dei discorsi anti-islam tra Europa e Stati Uniti, soprattutto dopo l’11 settembre 2001, ma è in particolare con l’utilizzo dei social media che questa retorica violenta ha raggiunto la sua eco più ampia. Fake news, bot, clickbait, (8) sono oggi gli strumenti attraverso i quali la propaganda contro i musulmani si moltiplica e circola in maniera incontrollata in rete.
E’ l’organizzazione Hope not Hate (9) a segnalare che la diffusione online dei discorsi anti-islam, avviene sui social media proprio grazie all’utilizzo sistematico di bot, ovvero tramite software che simulando il comportamento umano – e quindi pur sembrando dei veri account – riescono a diffondere messaggi in forma automatica e con velocissima replicabilità. Lo studio dell’organizzazione sottolinea, inoltre, che tra marzo e novembre del 2017, negli Stati Uniti e nel Regno Unito, i follower di alcuni dei più famosi profili Twitter che diffondono contenuti d’odio contro le comunità musulmane sono aumentati del 117% rispetto all’anno precedente, probabilmente proprio grazie all’impiego di bot.
Per quanto riguarda, invece, l’Italia alcuni dei numeri più recenti sulla diffusione dell’odio online contro i musulmani ce li restituisce il Barometro dell’odio di Amnesty International Italia, (10) che durante il 2018 ha raccolto tutti i post e le interazioni pubblicate nelle ultime tre settimane della campagna elettorale, (11) sui profili Facebook e Twitter, dei 1.419 candidati ai collegi uninominali di Camera e Senato. I risultati del report evidenziano che il discorso di odio è stato veicolato in modo costante durante tutte le tre settimane di monitoraggio. In ventitré giorni, gli osservatori hanno fatto 787 segnalazioni, ossia hanno rilevato online più di un messaggio offensivo, razzista e discriminatorio all’ora, senza considerare la ricondivisione. (12) Tra tutte le categorie che son state discriminate (13) dai politici, il 91% delle dichiarazioni ha avuto come target migranti e immigrati e l’11% ha riguardato discriminazioni di tipo religioso, veicolando sentimenti contro i musulmani. L’analisi ha riscontrato che i candidati hanno ripreso i temi della “islamizzazione” del Paese, della pericolosa presenza di associazioni islamiche estremiste, dell’invasione dei musulmani, dell’eccessiva presenza delle moschee sul territorio nazionale, dell’incostituzionalità dell’islam, ed infine dell’islam come una religione che impone la “propria” legge. Gli stereotipi sull’islam si cristallizzano, inoltre, sulla figura della donna musulmana, associata solitamente al velo e alla sua situazione di inferiorità in cui vive nei paesi di religione musulmana. (14)
L’associazione VOX – Osservatorio sui Diritti – in collaborazione con le università di Roma, Milano e Bari, ha sviluppato e aggiorna con cadenza annuale, la Mappa dell’Intolleranza, ovvero un database che raccoglie i messaggi d’odio diffusi sulla piattaforma Twitter in Italia. Anche in questo caso i musulmani insieme a donne, omosessuali, disabili, ebrei, migranti, risultano essere tra i gruppi più odiati. (15) Nella prima mappa del 2016 la ricerca evidenziava che sul totale dei tweet raccolti tra agosto 2015 a febbraio 2016, il 72,3% conteneva messaggi d’odio contro i musulmani.
Il progetto della Fondazione Bruno Kessler, Hatemeter, evidenzia, inoltre, che i discorsi di odio su Twitter contro l’islam si ritrovano spesso nella combinazione di parole chiave e hashtag, che interessano in molti casi i partiti politici, o i loro leader, come: #Salvini; #SalviniPremier; #iostoconsalvini; #SalviniNonMollare; #Lega; #casapound; #centrodestra; #fratelliditalia.
L’enorme quantità di questi messaggi e notizie riguardanti la comunità musulmana che circolano online e anche sui media più tradizionali, finiscono certamente con l’alterare anche la percezione che gli italiani hanno della presenza, o della migrazione, della comunità musulmana in Europa e in Italia. Lo spiega bene lo studio IPSOS (16) che evidenzia come la maggioranza degli italiani creda che la percentuale di immigrati residenti in Italia si aggiri intorno al 30% della popolazione totale, quando il dato reale è il 7% e che tra questi la presenza di musulmani sia del 20%, quando invece si tratta del 4%. (17)
Del resto, le drammatiche immagini degli attentati terroristici sono vivide nella nostra memoria collettiva: la loro cruda e violenta messa in scena – intenzionalmente ricercata dagli attentatori stessi – si pone infatti proprio l’obiettivo di costruire la narrazione di una minaccia islamica costante, capillare e onnipresente, che si presta facilmente all’amplificazione del racconto da parte dei media e della politica, soprattutto se unita al racconto propagandistico di una crisi migratoria che porta terroristi sul territorio europeo. (18) Tale narrazione dello “stato di assedio” accresce, dunque, smisuratamente il divario del rapporto tra la percezione del rischio che i cittadini europei hanno della “minaccia musulmana” rispetto al reale pericolo che questa comunità rappresenta, soprattutto considerando la proporzione con il numero dei musulmani che vivono in Europa. (19)
Fermo restando che il fondamentalismo islamico rappresenta una minaccia reale globale, risulta altrettanto evidente come in Europa il fanatismo di questa minoranza sia, oggi, una delle cause che contribuiscono al peggioramento della qualità della vita di una maggioranza di musulmani con la quale da lungo tempo conviviamo. (20)
Prospettive di intervento contro il discorso d’odio
Nel quadro legislativo nazionale è importante sottolineare che, nel 2017, l’Italia ha adottato una legge che vieta il cyberbullismo (21) e che può essere utilizzata anche nei casi relativi all’incitamento d’odio online verso singoli individui per varie motivazioni, inclusa la discriminazione religiosa. Il Codice penale italiano, all’art.595 prevede, inoltre, sanzioni che riguardano i reati di diffamazione, declinati anche per motivi religiosi, di razza, etnia e nazionalità. (22) Infine, anche la legge Mancino, del 1993, contiene misure contro la discriminazione razziale, etnica e religiosa, e quindi includendo potenzialmente anche l’islamofobia. (23)
Tuttavia, in Italia, la criminalizzazione del razzismo, del sessismo e dell’omofobia, spesso si scontra con il diritto alla libertà di parola (24) delle persone. Il confine tra il discorso d’odio e libertà di espressione, diventa, infatti, molto labile in quei paesi in cui quest’ultimo diritto fa parte dei principi fondativi della democrazia, costituzionalmente garantiti. Proprio per questo motivo, l’applicazione di sanzioni avviene solitamente in quei casi in cui la discriminazione si manifesta attraverso il ricorso alla violenza fisica, piuttosto che alla sola espressione di idee violente.
Fuori dal più ampio quadro normativo nazionale, è orma evidente come una società realmente inclusiva, oggi, debba da un lato educare i suoi cittadini alla conoscenza della diversità e alla sua complessità, mentre dall’altro deve fornire loro le risorse e le competenze necessarie per informarsi e comunicare correttamente a riguardo, anche sulle piattaforme virtuali. In questo scenario, non devono essere da meno gli interventi di prevenzione e contrasto dell’hate speech, i quali per avere un reale impatto devono necessariamente posizionarsi nell’intersezione tra educazione offline e online degli individui, in quella sfera della vita che il filosofo Luciano Floridi (2015) ha definito onlife.
Alessandra Vitullo – Ricercatrice presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca.
NOTE
1 Countering International Terrorism: The United Kingdom’s Strategy July 2006, https://assets.publishing.ser- vice.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/272320/6888.pd.
2 Per un approfondimento sul dibattito relativo alla definizione di hate speech, cfr. Countering Hate Speech Online http://unesdoc.unesco.org/images/0023/002332/233231e.pdf.
3 Ricerche che hanno confrontato conversazioni online e offline hanno riscontrato una maggiore polarizzazione delle posizioni nelle conversazioni avvenute attraverso uno schermo. Cfr. Roos et al. 2021.
4 Si veda il report Words Matter https://eeagrants.org/sites/default/files/resources/KAR-FMO- HateFolder_November%2B2014_V03-WEB.pdf.
5 Come si vedrà successivamente nel testo, è infatti frequente il fenomeno dell’etnicizzazione dell’appartenenza religiosa dei migranti che arrivano in Italia e in Europa, i quali vengono comunemente associati alla fede islamica.
6 Si veda il report dell’European Council on Foreign Relations https://ecfr.eu/special/the_2019_euro- pean_election/
7 In sette paesi Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Italia, Slovenia, e Regno Unito.
8 è un termine che indica un contenuto web la cui principale funzione è di attirare il maggior numero possibile di utenti per generare rendite pubblicitarie online. Generalmente, il clickbait si avvale di titoli accattivanti e sensazionalisti o di fake news che incitano a cliccare link con notizie false, che fanno leva sull’aspetto emozionale di chi vi accede. Il loro obiettivo è quello di attirare gli utenti e di incoraggiarli a condividerne questi contenuti sui social media, aumentandone quindi in maniera esponenziale i proventi pubblicitari. Per una maggiore approfondimento del legame tra fake news e islamofobia cfr. Douglas 2018.
9 Hope not Hate (2017). Bots, Fake News And The Anti-Muslim Message On Social Media
10 Conta fino a 10. Barometro dell’odio in campagna elettorale: https://www.amnesty.it/barometro-odio/.
11 Precisamente dall’8 febbraio al 2 marzo 2018.
12 Le segnalazioni sono state attribuite a 129 candidati unici, di cu 77 sono stati eletti. Complessivamente il 51% delle dichiarazioni è da attribuirsi a candidati della Lega, il 27% a Fratelli d’Italia, il 13% a Forza Italia, il 4% a Casa Pound, il 3% a L’Italia agli Italiani, e il 2% al Movimento 5 Stelle.
13 Il Barometro evidenzia, inoltre, che: il 6% delle dichiarazioni discriminatorie ha avuto per oggetto la comunità LGTBI, il 4,8% i rom, e l’1,8% le discriminazioni di genere. Il report evidenzia, inoltre, che: 7% delle dichiarazioni ha incitato direttamente alla violenza; il 32% delle segnalazioni ha veicolato fake news e dati alterati. Per quanto riguarda l’immigrazione, il 10% delle segnalazioni ha riguardato la questione della sicurezza e il 7% il tema dell’accoglienza con toni di emergenza, identificando nell’immigrazione una “bomba sociale”, in grado di portare allo “scontro sociale” e alla “guerra in casa”.
14 Le donne musulmane, sono ad esempio una delle categorie più discriminate in Italia, cfr. ENAR, European Network Against Racism http://enar-eu.org/IMG/pdf/forgotten_women_report_italy_-_final.pdf.
15 Per tutte le mappe si veda il sito voxdiritti.it.
16 Ipsos 2017 https://www.agensir.it/italia/2017/09/27/ricerca-ipsoscdec-cresce-in-italia-lintolleranza-verso-gli-immigrati-e-i-musulmani.
17 Più della metà degli immigrati in Italia sono cristiani (52,2%). Si veda Dossier Statistico Immigrazione 2019 https://www.epicentro.iss.it/migranti/dossier-statistio-immigrazione-2019.
18 Nello studio del 2016 dell’Istituto di ricerca Demos su “Immigrazione e insicurezza”, già il 41% delle 1008 persone intervistate (offline) si dichiaravano “fortemente d’accordo e/o d’accordo” con l’affermazione: “Gli immigrati sono una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza”. Cfr. http://www.demos.it/a01257.php.
19 A tale proposito si veda il report Terrorism in the EU: terror attacks, deaths and arrests in 2019 https://www.europarl.europa.eu/news/en/headlines/security/20180703STO07125/terrorism-in-the- eu-terror-attacks-deaths-and-arrests-in-2019.
20 Si veda European Islamophobia Report, 2019.
21 Si tratta della legge n.71, del 29 maggio 2017, recante “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”.
22 Article 19 (2018), Responding to ‘Hate Speech’: Comparative Overview of Six EU Countries, London: Article 19, p.23 https://www.article19.org/wp-content/uploads/2018/03/ECA-hate-speech-compilation-report_March-2018.pdf.
23 eMORE, Monitoring and Reporting Online Hate Speech in Europe, An Overview on Hate Crime and Hate Speech in 9 EU Countries, p. 41.
24 Anche fonti transnazionali, come l’articolo 10.1 della Convenzione europea sui diritti umani e l’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sostengono il diritto alla libertà di espressione.
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