In un’epoca di profonda crisi della democrazia e di potente sviluppo di varie forme di populismo (1) può essere (ancora) utile interrogarsi sullo statuto delle minoranze. Come è stato osservato, «se per alcuni il populismo è solidaristico e inclusivo, per altri discriminatorio e insofferente verso i diritti individuali e le minoranze» (2). Questa seconda lettura interpretativa credo sia quella pertinente, che consente di cogliere l’importanza di ampliare il ventaglio delle garanzie al fine di preservare ciò che resta della forma democratica e, questione urgente, individuare appigli mediante i quali tentare di rivitalizzarla.

È certamente opportuno partire da un quadro ormai consolidato di analisi.

Lo statuto delle minoranze in democrazia può essere definito solo ed esclusivamente a partire dall’analisi del rapporto tra maggioranza e minoranza. Il concetto di minoranza (e non, invece, la minoranza ex se) in contesti democratici, infatti, ha senso solo in opposizione al concetto di maggioranza. In seguito, poi, una volta definita l’esistenza di una maggioranza e una minoranza, è utile porsi la questione di «quante minoranze?», per sottolineare che, a livello fenomenologico, il darsi della minoranza è sempre un darsi plurale, attraverso minoranze, ovvero gruppi – più o meno – ristretti che possiedono una caratteristica (opinione politica, religiosa, culturale, di orientamenti e stili di vita, e via dicendo) che li differenzia dal gruppo (o dai gruppi) di maggioranza (3).

Vi è, quindi, la necessità di stabilire un confine, un limite, all’azione della maggioranza (4).

Per fare ciò, è necessaria una riflessione a più livelli sulla democrazia: il livello delle regole del gioco e il livello del contenuto. In breve, si può approssimare questa distinzione a quella tra democrazia formale e democrazia sostanziale (5). Per quanto riguarda il primo livello, esso è quello che ha a che fare con le regole del gioco: se maggioranza e minoranza sono inserite in un contesto democratico, alla maggioranza dev’essere imposto quantomeno un limite in negativo, che le impedisca di trasformare il sistema in uno non democratico. Ciò significa che alla maggioranza non è permesso sopprimere, in primo luogo, la stessa regola di maggioranza, che consenta alle attuali minoranze, in futuro, di divenire maggioranza.

Per garantire il governo del popolo (6), inoltre, è necessaria la regola del suffragio universale (7), che lega il concetto di democrazia a quello di universalità dei diritti politici. Ciò significa, dunque, che in democrazia devono essere garantiti anche i diritti politici della minoranza: essa deve poter esprimere il proprio parere, la propria opinione e il proprio voto contrario a quello della maggioranza, altrimenti non si ha democrazia, ma dittatura.

Questi primi limiti – che, a ben vedere, determinano un contenuto minimo dello statuto delle minoranze in democrazia – identificano la democrazia «solo in base al chi (il popolo o i suoi rappresentanti) e al come (la regola della maggioranza) delle decisioni, indipendentemente dai loro contenuti, cioè dal che cosa viene deciso, anche se tali contenuti sono illiberali, antisociali e perfino antidemocratici» (8). È interessante ricordare, con Luciano Canfora, che il primo teorico del cosiddetto «partito unico», ovvero quella formazione politica che sopprime di fatto l’espressione di qualsivoglia minoranza e pluralismo, è stato il giacobino Louis de Saint-Just, che nei suoi Frammenti sulle istituzioni repubblicane, «sostiene che la virtù è una sola, e che quindi deve essere ammesso solo il partito che in essa si riconosce, mentre tutti gli altri, che le sono contrari, vanno soppressi» (9). E così nel Lessico dello Stato, la monumentale opera ottocentesca scritta dal liberale Karl von Rotteck, si legge che in un regime democratico è legittimo esclusivamente il partito democratico in quanto tutti gli altri partiti finiscono per risultare «in contrasto con le basi dell’ordinamento» (10): lo stesso Canfora ne poteva dunque dedurre che «la teorizzazione in tal senso è un filo conduttore del pensiero politico europeo nelle sue diverse anime, non una trovata di alcuni perfidi personaggi novecenteschi» (11). Ai limiti di cui sopra si deve aggiungere un presupposto fondamentale, che secondo Norberto Bobbio sta nell’esigenza di elezioni periodiche (12): senza la reale possibilità, attraverso il voto democratico, per la minoranza di divenire maggioranza, la regola di maggioranza e il suffragio universale diventano vuote e astratte previsioni.

Le aporie della democrazia formale

Come anticipato, esiste anche un secondo livello della riflessione sullo statuto delle minoranze in democrazia e sui limiti alla maggioranza. Esso si compone dei contributi teorici di coloro che vedono nei limiti sopracitati un carattere esclu- sivamente formale, che non tiene in considerazione il contenuto delle decisioni democratiche, bensì solo le modalità con cui esse vengono prese: si tratta di una concezione che è stata definita «scarna e minimale, costituita da una serie di “regole del gioco”» (13). Secondo i fautori della democrazia sostanziale, dunque, a definire lo statuto di una democrazia – e quindi, necessariamente, anche dei rapporti tra maggioranza e minoranza – non può non concorrere anche l’esito della decisione democratica.

Tale secondo stadio della riflessione è volto a fare i conti con un’accezione particolare della forma di governo democratica: quella costituzionale. Democrazia costituzionale (14) significa, infatti, che la forma di governo democratica è inserita entro l’orizzonte di un sistema costituzionale.

Senza richiamare qui la storia del costituzionalismo (15), è importante ricordare che esso nasce come esigenza di limitazione del potere, aspetto che, ai fini di questo discorso, può essere declinato come esigenza di delimitazione degli spazi d’azione della maggioranza in un sistema costituzional-democratico. Infatti, «a legally unrestricted majority rule, that is, a democracy without a constitution, can be very formidable in the suppression of the rights of minorities and very effective in the suffocation of dissent without any use of violence» (16). Una questione, quella menzionata, che resta centrale anche nei rinnovati progetti di un «costituzionalismo garantista» (distinto dal «costituzionalismo principialista») (17).

Si apre, così, la questione delle aporie della democrazia formale, ovvero di quei vizi che discenderebbero dall’adozione di una concezione meramente formale della democrazia. Si noti che la riflessione in tema di aporie è utilizzata sia da     chi, come Luigi Ferrajoli, ne fa uno strumento per affermare la necessità di sostegno di una concezione più ampia, sostanziale, della democrazia, sia da chi, come in diverse occasioni Norberto Bobbio, pur riconoscendo l’esistenza di tali limiti, concepisce il discorso come problematica interna alla stessa democrazia formale, che rimane «minimo comune denominatore» (18).

Una prima aporia di un approccio meramente formale alla democrazia si può far derivare dall’assenza del rispetto del principio di legalità, da un lato, e del principio di uguaglianza e dei diritti fondamentali, dall’altro (19). Inoltre, secondo queste concezioni sostanzialiste, la sovranità si esprime davvero liberamente (20) se (e solo se) vi è rispetto per i diritti di libertà e i diritti sociali, altrimenti, infatti, libere sarebbero solo le maggioranze (21): vi è necessità di rispetto di un principio di libertà «a tutto tondo», capace di garantire tutela anche (e forse soprattutto) alle minoranze. Vi sono, dunque, alcuni diritti che è necessario riconoscere e che, dunque, la maggioranza non può negare alle minoranze: il problema cruciale, sotto questo profilo, sta nella definizione di tali diritti.

Secondo Jürgen Habermas, tali diritti sono così riepilogabili:

  1. «Diritti che definiscono lo status di membro associato, cioè che individuano chi fa parte del demos e a che titolo;
  2. diritti che tutelano le pari libertà individuali;
  3. diritti a partecipare ai processi discorsivi di creazione del diritto, cioè a esercitare l’autonomia politica;
  4. diritti di ripartizione sociale, cioè diritti a godere di condizioni di vita che consentano di utilizzare con pari opportunità tutti i diritti di cui si è titolari;
  5. diritti ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti» (22).

Si tratta, in sostanza, dell’individuazione dei contenuti di quella che, con parole di Ferrajoli, si definisce «sfera dell’indecidibile» (23) ove si includono non solo i diritti di libertà e di autonomia (ciò che non si può decidere), ma anche i diritti sociali (24) (ciò che non si può non decidere).

Dunque è possibile concepire due tipi di garanzie che compongono, essenzialmente, lo statuto delle minoranze in democrazia.

Un primo tipo di garanzie è quello che si ricollega alla definizione della democrazia come «regole del gioco»: si tratta di garanzie, come si è visto, di natura formale e procedurale.

Un secondo tipo di garanzie, invece, si caratterizza per il carattere materiale o sostanziale che esse, nel regolare i rapporti tra maggioranza e minoranze, acquistano, definendo nei «contenuti» i diritti che, pace il «gioco democratico», devono comunque essere previsti a favore di tutti, e, dunque, anche delle minoranze.

Minoranze e populismo

La nuova ventata populista che pone sotto assedio la democrazia pare, tuttavia, richiedere un terzo livello d’analisi, nonché una terza garanzia che chiama in causa «soggetti collettivi» che dovrebbero costituire un perno del sistema demo- cratico, ossia i partiti e i movimenti democratici; questo, a maggior ragione, nel contesto di una pervasiva diffusione delle nuove tecnologie, dei social network e delle piattaforme digitali, che oltre a prefigurare nuove possibilità di sviluppo della democrazia paiono, di fatto, indebolirne i presupposti e le forme, come dimostra emblematicamente il caso italiano (25).

I partiti, infatti, costituendo l’ossatura della moderna democrazia politica, vanno a sostanziare la stessa vita e le prassi democratiche. «La forma-partito nella sua travagliata vicenda storica» ha scritto Paolo Protopapa «è lo strumento attraverso il quale viene sottratto potere alle oligarchie e alle aggregazioni castali immediatamente investite di autorità decisionale. Esso, infatti, in quanto costituzionalmente garantito nel nuovo quadro di pluralismo culturale, ideale e programmatico, è la legittima, diffusa ed operativa espressione democratica del popolo che sa, vuole e decide» (26). È pertanto proprio in virtù del moderno partito politico di massa che

«il popolo (sovrano) è in grado di esercitare la propria sovranità, cioè di attivare impegno ed assumere responsabilità di pubblico interesse» (27).

Non solo, tra le derive populiste vi è anche quel fenomeno in base al quale, come ha notato un attento costituzionalista come Mauro Volpi, s’instaura «un rapporto diretto e demagogico fra i leader politici, e in particolare di quelli al vertice del potere esecutivo, e il “popolo”, visto come un tutto indistinto, che scavalca gli organismi intermedi (Parlamento, partiti e movimenti politici) ed è insofferente ai limiti costituzionali e ai controlli delle istituzioni di garanzia (…)» (28). Insofferente al pluralismo e alle minoranze, lungi dal costituire un elemento qualificante del processo democratico (sia sul piano delle regole sia sul piano dei contenuti, sia nei contesti istituzionali sia all’interno di partiti e movimenti), i limiti costituzionali e i controlli di garanzia sono visti con fastidio, considerati un intralcio, un ostacolo, qualcosa che fa perdere tempo ed efficacia entro una linea d’azione che deve essere diretta, immediata, repentina. Lo spirito critico finisce così per essere soppiantato da molteplici forme di anti-intellettualismo (29): ciò che conta è la forza e il fascino del leader, nonché quanto il leader incarna – che sia al governo o all’opposizione di questo – sulla scena pubblica (30).

Tutto ciò comporta che l’odierna crisi della democrazia rappresentativa, nonché quella della vera e propria partecipazione democratica, lungi dall’essere affrontata con le modalità proprie di un sistema politico democraticamente maturo e responsabile (facendo riferimento ai tre tipi di garanzia che si è cercato di delineare in queste pagine, e al fondamentale statuto delle minoranze), venga abbandonata a se stessa e anzi acuita proprio da pratiche di populismo che revocano la possibilità stessa, da parte delle minoranze, di poter indicare forma, sostanza, articolazione dei problemi, ossia di mettere in atto una paziente opera di «smontaggio» delle facili ricette populiste (31).

* Ringrazio il dott. Alessandro Di Rosa per il dialogo che ha preceduto la stesura   di questo contributo e per alcuni significativi spunti che ne stanno alla base.

THOMAS CASADEI – Professore associato di Filosofia del diritto – Università di Modena e Reggio Emilia.

Note

1 Entro una letteratura sempre più ampia, si possono vedere: F. Crispini, Del populismo: indicazioni di lettura, Pellegrini, Cosenza, 2011; F. Chiapponi, Il populismo nella prospettiva della scienza politica, n.e., Erga, Genova, 2014; R. Biorcio, Il populismo nella politica italiana: da Bossi a Berlusconi, da Grillo a Renzi, Mimesis, Milano-Udine, 2015; M. Tarchi, Italia populista: dal qualunquismo a Beppe Grillo, Il Mulino, Bologna, 2015; P. De Luca, Gli apprendisti stregoni: mappa del populismo in Europa, Laruffa, Reggio Calabria, 2017; J.-W. Muller, Cos’è il populismo?, con un intervento di N. Urbinati, Milano, EGEA, Università Bocconi, 2017; D. Palano, Populismo, Editrice bibliografica, Milano, 2017; M. Revelli, Populismo 2.0, Einaudi, Torino, 2017; la sezione monografica «Populismi» della rivista Teoria politica, n.s, annali VII, 2017. Per una specifica disamina sul piano del linguaggio, si veda B. Capaci, G. Spassini(a cura di), Ad populum: parlare alla pancia, retorica del populismo in Europa, I libri di Emil, Bologna, 2016.

2 N. Urbinati, Il populismo come confine estremo della democrazia rappresentativa. Risposta a McCormick e a Del Savio e Mameli, in «Micromega – Il rasoio di Occam»: http://ilrasoio- dioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/files/2014/05/urbinati-populismo.pdf. Sulle trasformazioni della democrazia si vedano, della stessa autrice, Democrazia in diretta: le nuove sfide della rappresentanza, Feltrinelli, Milano, 2013; e Democrazia sfigurata: il popolo fra opinione e libertà, Bocconi, Milano, 2014.

3 Cfr., per un taglio sociologico, lo studio di L. Bussotti, Minoranze e multiculturalismo nell’Italia contemporanea. Una prospettiva storica-sociologica, Ibs, Pavia, 2013; e l’intervista G. Fofi, La vocazione minoritaria. Intervista sulle minoranze, a cura di O. Pivetta, Laterza, Roma-Bari, 2009. Quanto più specificatamente alla struttura delle minoranze, poi, cfr., tra altri studi, B. Henry,

«Identità, minoranze e simboli cross-border», in A. Carnevale, I. Strazzeri (a cura di), Lotte, riconoscimento, diritti, Morlacchi Editore, Perugia, 2011, pp. 273-290.

4 Come ha osservato Stefano Petrucciani, «Per quanto si voglia sottolineare l’importanza della discussione, resta il fatto che la democrazia si esplica nel prendere decisioni, e nella maggior parte dei casi per giungere a delle decisioni è necessario ricorrere alla regola della maggioranza. Ma cosa possono decidere le maggioranze in democrazia? Possono forse assumere tutte le decisioni che a loro piacciono? Oppure vi sono decisioni che neanche le maggioranze più ampie (e neppure l’unanime consenso dei cittadini) possono legittimamente prendere?» (S. Petrucciani, Democrazia, Torino, Einaudi, 2014, p. 147).

5 Sulla distinzione tra democrazia formale e democrazia sostanziale si veda, a titolo esemplificativo, L. Ferrajoli, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia, vol. II: Teoria della democrazia, Laterza, Roma-Bari, 2007, pp. 14-15, nonché, per un’ampia trattazione delle due varianti, pp. 165-266, 303-402.

6 N. Bobbio, Stato, governo, società, Einaudi, Torino, 1985, p. 149.

7 Cfr., ex multis, L. Ferrajoli, «La democrazia costituzionale», in Revus. Journal for Constitutional Theory and Philosophy of Law (online), 18, 2012, pp. 69-124, p. 73.

8 Ivi, p. 70.

9 L. Canfora, Intervista sul potere, a cura di A. Carioti, Laterza, Roma-Bari, 2013, p. 227.

10 Cfr. ibidem.

11 ibidem.

12 N. Bobbio, «Democrazia: le tecniche», in Teoria generale della politica, Einaudi, Torino, 1999, p. 379 e segg.

13 V. Ottonelli, I principi procedurali della democrazia, Il Mulino, Bologna, 2012, p. 80.

14 Per una panoramica, si vedano A. Pizzorusso, La Costituzione. I valori da conservare, le regole da cambiare, Giappichelli, Torino, 1996; M. Fioravanti, Costituzione, Il Mulino, Bologna, 1999.

15 Cfr. R. C. Van Canegem, An Historical Introduction to Western Constitutional Law, Cambridge University Press, Cambridge, 1995; N. Matteucci, Breve storia del costituzionalismo (1964), introduzione di C. Galli, Morcelliana, Brescia, 2010; M. Fioravanti, Costituzionalismo: percorsi della storia e tendenze attuali, Laterza, Roma-Bari, 2009; P. Ridola, «Preistoria, origini e vicende del costituzionalismo», in P. CArrozza, A. Di Giovine, G.F. Ferrari(a cura di), Diritto costituzionale comparato, n.e., 2 tt., Laterza, Roma-Bari, 2014, t. II, pp. 737-774; C. Martinelli, Le radici del costituzionalismo: idee, istituzioni e trasformazioni dal Medioevo alle rivoluzioni del XVIII secolo, Giappichelli, Torino, 2016, Edizione 2. Cfr., anche, con riferimento alle diverse e specifiche epoche storiche, S. Gordon, Controlling the State. Constitutionalism from Ancient Athens to Today, Harvard University Press, Cambridge (Mass.)-London, 1999; L. Bianco, «Stato moderno e costituzionalismo antico: considerazioni inattuali», in A. Prosperi, P. Schiera, G. Zarri (a cura di), Chiesa cattolica e mondo moderno: scritti in onore di Paolo Prodi, Il Mulino, Bologna, 2007, pp. 403-419; N. Matteucci, Organizzazione del potere e libertà: storia del costituzionalismo moderno (1976), n.e., Il Mulino, Bologna, 2016; A. Grimaldi, Disegno storico del costituzionalismo moderno, Armando, Roma, 2007; G. Volpe, Il costituzionalismo del Novecento, Laterza, Roma-Bari, 2000. Per alcuni utili interrogativi di fondo si vedano anche G. Azzariti, Il costituzionalismo moderno può sopravvivere?, Laterza, Roma-Bari, 2013; A. Torre (a cura di), Le vie di comunicazione del costituzionalismo contemporaneo, Giappichelli, Torino, 2015.

16 H. Arendt, «On Violence», in id., Crises of the Republic, Harvest Books, New York, 1970, p. 141 (corsivo mio).

17 L. Ferrajoli, «Costituzionalismo principialista e costituzionalismo garantista», in Giurisprudenza costituzionale, 3, 2010, pp. 2771-2816; id., La democrazia attraverso i diritti: il costituzionalismo garantista come modello teorico e come progetto politico, Laterza, Roma-Bari, 2013 (ove, in part. alle pp. 112-122, sono effettuati alcuni aggiustamenti rispetto alle tesi elaborate in precedenza); id., Iura paria. I fondamenti della democrazia costituzionale, a cura di D. Ippolito e F. Mastromartino, Editoriale scientifica Napoli, 2015; id., La democrazia costituzionale, Il Mulino, Bologna, 2016; L. Ferrajoli, J. Ruiz Manero, Due modelli di costituzionalismo: un dialogo sul diritto e sui diritti, prefazione di D. Ippolito, Editoriale scientifica, Napoli, 2016.

18 N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 1984, p. 4.

19 L. Ferrajoli, Principia iuris, cit., vol. II, p. 8.

20 La libertà, qui, sta in una concezione particolare di autonomia (come auto-nomos, «darsi norme da sé»), che non può essere legibus soluta: concezione, questa, in parte discordante dalla definizione del «politicamente libero» secondo Kelsen, che invece sostiene la semplice regola della maggioranza semplice come piena garanzia di libertà (H. Kelsen, Teoria generale del diritto, Etas Libri, Milano, 1984, pp. 289 e segg.).

21 L. Ferrajoli, La democrazia attraverso i diritti, cit., p. 31.

22 J. Habermas, Fatti e norme. Contributi ad una teoria discorsiva del diritto e della democrazia (1992), Guerini e associati, Milano, 1996, pp. 148-149.

23 L. Ferrajoli, Principia iuris, cit., vol. II, p. 19.

24 Sulla diversità di argomentazioni a favore dell’inserimento dei diritti sociali nel nucleo della «sfera dell’indecidibile» si vedano le posizioni di Habermas, Fatti e norme, cit., p. 149, che sono definiti come diritti fondati solo relativamente, in virtù non tanto del loro contenuto, bensì del loro carattere inevitabilmente prodromico (e dunque necessario) all’esercizio degli altri diritti; e Ferrajoli, Principia iuris, cit., vol. II, pp. 397-398, il quale, pur riconoscendone tale dimensione, considera i diritti sociali come un fine e, dunque, ne privilegia il contenuto sostanziale. Per una panoramica sul tema dei diritti sociali sia consentito rinviare a Th. Casadei, I diritti sociali. Un percorso filosofico-giuridico, Firenze University Press, Firenze, 2012.

25 Sul nesso tra populismo e social media risulta particolarmente utile A. Dal Lago, Populismo digitale: la crisi, la rete e la nuova destra, Milano, Raffaello Cortina, 2017. Per alcuni spunti rispetto a fenomeni che sono andati poi incrementandosi si veda anche A. Ianni, Avanti popoli! Piazze, tv, web: dove va l’Italia senza partiti, introduzione di N. Urbinati, Marsilio, Venezia, 2011. Sul punto sia consentito rinviare a due miei contributi «Il mito del popolo della rete e le realtà del capo. Nuove tecnologie e organizzazioni politiche nel contesto italiano», in Diritto pubblico comparato ed europeo, 3, 2015, pp. 877-900 (fascicolo monografico dedicato a «Partiti antisistema e partiti anti-partito nella crisi della rappresentanza politica») e «Tempi brevi della politica e populismo dilagante: il caso italiano», in Il Ponte, n. 8-9, 2016, pp. 159-168 (fascicolo speciale dedicato a «Populismo, democrazia, insorgenze. Forme contemporanee del politico», a cura di Francesco Biagi e Gianfranco Ferraro, all’interno del quale si può vedere, per un’attenta analisi del contesto nazionale, M. Tarchi, L’Italia, terra promessa del populismo?, pp. 169-180).

26 P. Protopapa, In nome del popolo sovrano. Sudditi in democrazia?, Prefazione di V. Spini e Postfazione di G. Moscati, Morlacchi Editore, Perugia, 2016, pp. 31-32. Sulla questione dei partiti si veda anche la lucida disamina condotta in L. Ferrajoli, «Separare i partiti dallo Stato, riportare i partiti nella società», in Lo Stato: rivista semestrale di scienza costituzionale e teoria del diritto, 6, 2016, pp. 11-34. Devo a uno scambio con Giuseppe Moscati la messa a punto delle argomentazioni svolte rispetto a questo passaggio-chiave.

27 Ivi, p. 32.

28 M. Volpi, «Schiacciati tra democrazia e populismo», in Aa.Vv., Come cambia la democrazia, Rocca Libri-Cittadella Editrice, Assisi (PG), 2016, p. 114.

29 Considerazioni stimolanti svolge a questo proposito F. Tonello, L’età dell’ignoranza. È possibile una democrazia senza cultura, Bruno Mondadori, Milano, 2012, in part. pp. 14-26.

30 Sui rischi di questa prospettiva si veda, tra gli altri, P. Ignazi, La fattoria degli italiani. I rischi della seduzione populista, Rizzoli, Milano, 2009.

31 Si vedano, a questo riguardo, i suggerimenti contenuti in J.W. Muller, Cos’è populismo, cit., cap. 3.

 

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