Le elezioni statunitensi tenutesi nel 2016 hanno riservato non poche sorprese. L’elezione di Donald J. Trump alla presidenza degli Stati Uniti d’America è testimonianza di quanto sia difficile oggi interpretare i trend politici e sociali anche per gli specialisti. Come ha scritto Lucio Caracciolo: «I mezzi di comunicazione mainstream, a partire dal celeberrimo New York Times ridotto a Pravda clintoniana, sono i grandi sconfitti delle elezioni presidenziali. Aliena dalla pancia e dal cuore del paese, la grande stampa ha allestito un teatro comunicativo dedito a confermare l’élite cosmopolita della nazione nelle sue liberali certezze. Producendo, secondo Graham Fuller, già analista della CIA, «un imponente fallimento dell’intelligence americana», dovuto a una «caratteristica profondamente radicata» nella comunità a stelle e strisce: «L’incapacità di leggere la realtà»» (1). Tale giudizio potrebbe apparire troppo perentorio e senza possibilità di appello, ma la portata della vittoria di Donald Trump appare davvero senza precedenti. Non è ovviamente questa la sede per un’analisi dettagliata e meticolosa delle implicazioni di tale evento politico, preme però provare a evidenziare almeno un punto, ovvero il possibile impatto dell’elezione di Trump sulla protezione del diritto di libertà religiosa o almeno su alcuni suoi aspetti fondamentali.

Nel corso degli anni il dibattito sul valore del diritto di libertà religiosa ha diviso la società e la politica statunitense. Il partito democratico ha assunto sempre più spesso un punto di vista critico delle numerose eccezioni previste dalla normativa vigente e che consentono alcune esenzioni religiosamente motivate. Il partito repubblicano ha invece percepito l’amministrazione Obama come particolarmente ostile rispetto ai valori e agli interessi del suo elettorato appartenente alla destra religiosa. Ne è scaturita una culture war permanente che ha avuto come luogo di scontro principale le aule dei tribunali. Con frequenza è stata chiamata a intervenire anche la Corte Suprema. Le diversità fra i due principali partiti erano riflesse anche nelle piattaforme programmatiche che hanno portato alle elezioni del 2016.

Mentre la piattaforma politica del partito democratico dedicava solo alcuni brevi passaggi alla tutela del diritto di libertà religiosa, il documento prodotto dal partito repubblicano si soffermava in maniera dettagliata sia sugli aspetti interni sia su quelli attinenti alla politica estera relativi a tale diritto. Non è un mistero che all’elezione di Trump abbiano contributo in maniera notevole anche gli elettori della destra religiosa e che per loro, come ha affermato James Dobson, fondatore di Focus on the Family, la protezione del diritto di libertà religiosa sia stata di prioritaria importanza per tutta la campagna elettorale.

Dal 20 gennaio 2017 Donald Trump avrà pieni poteri e sarà chiamato a governare con un Senato e una House of Representatives controllate dal partito repubblicano. Alcune minoranze, già durante la campagna elettorale, hanno sollevato numerose questioni circa le iniziative che verranno intraprese sul tema della libertà religiosa. Su tutte è stata più volte criticata la proposta che Donald Trump ha ripetutamente ribadito durante la campagna elettorale, ovvero quella di voler creare un registro per schedare i musulmani presenti negli Stati Uniti e di voler potenziare le operazioni di sorveglianza sulle moschee e nelle zone residenziali abitate dai fedeli di religione musulmana.

C’è da dire che un programma almeno parzialmente simile a quello delineato da Donald Trump è stato già in vigore negli Stati Uniti tra settembre 2002 e aprile 2011 (2). Il National Security Entry-Exit Registration System, noto anche come INS Special Registration, prevedeva la registrazione obbligatoria per gli immigrati di alcune nazionalità. Era inoltre prevista la conservazione delle impronte digitali, della fotografia e un colloquio con i funzionari della Homeland Security. I cittadini dei Paesi designati potevano entrare e uscire dagli Stati Uniti solo tramite alcuni «port of entry». I paesi coinvolti erano: Iran, Iraq, Libia, Sudan e Siria. Erano inclusi i cittadini nati in questi Paesi ma con passaporto di nazionalità diversa.

Per coloro che, invece, erano presenti sul territorio statunitense già prima del 2002, era stata prevista una registrazione obbligatoria presso un apposito INS Office. I Paesi coinvolti in questo caso erano: Iraq, Iran, Libia, Sudan, Siria, Afghanistan, Algeria, Bahrain, Eritrea, Libano, Marocco, Corea del Nord, Oman, Qatar, Somalia, Tunisia, Emirati Arabi Uniti, Yemen, Paki- stan, Arabia Saudita, Bangladesh, Egitto, Indonesia, Giordania, Kuwait. Il punto è che in questo caso, come ha evidenziato David Cole (3), anche se si dovesse resuscitare un programma simile a quello che è stato in vigore fino al 2011, sarà possibile sostenerne l’incostituzionalità in quanto vi è ampia prova che l’obiettivo di Trump, e della sua amministrazione, sarebbe quello di applicare un regime restrittivo e discriminatorio ai fedeli di religione musulmana.

D’altronde, i segnali che arrivano da alcune pronunce delle Corti inferiori indicano come la previsione di modalità di sorveglianza particolarmente invasiva adottate da alcune città (ad esempio New York) nei confronti delle comunità musulmane, siano in violazioni delle norme e dei principi costituzionali (4). Quello della sorveglianza, e del suo bilanciamento con la tutela della privacy e dei diritti civili, sarà quindi un capitolo sicuramente centrale nelle storie che andremo a valutare nei prossimi mesi. Nel libro pubblicato prima delle elezioni, Donald Trump ha sottolineato ripetutamente come intenda farsi portatore delle istanze di quei gruppi che intendono contestare una lettura troppo liberal dei rapporti tra stato e religione: «What offends me is the way our religious beliefs are being treated in public. There are restrictions on what you can say and what you can’t say, as well as what you can put up in a public area. The belief in the lessons of the Bible has had a lot to do with our growth and success. That’s our tradition, and for more than 200 years it has worked very well» (5). Tenuto conto che il nuovo Presidente sarà subito chiamato a nominare un nuovo giudice della Corte Suprema, potrebbe essere un annuncio foriero di nuove controversie giuridiche, questa volta dagli esiti imprevedibili. Vivremo sicuramente tempi interessanti.

 

PASQUALE ANNICCHINO – Research Fellow presso il Robert Schuman Center for Advanced Studies dell’European University Institute di Fiesole.

NOTE

1 L. Caracciolo, L’America americana, in L’Agenda Trump, Limes-Rivista italiana di geopolitica, 11/2016, p. 7.

2 Questo paragrafo è ripreso da P. Annicchino, Sicurezza nazionale e diritto di libertà religiosa. Alcune considerazioni alla luce della recente esperienza statunitense, di prossima pubblicazione.

3 D. Cole, Why Trump’s Proposed Targeting of Muslims Would be Unconstitutional, in Just Security, 21 novembre 2016, disponibile su: https://www.justsecurity.org/34682/trumps-proposed-targeting-muslims-unconstitutional/.

4 Per tutti i dettagli sia consentito il rinvio a P. Annicchino, Sicurezza nazionale e diritto di libertà religiosa. Alcune considerazioni alla luce della recente esperienza statunitense, op. cit.

5 D.J. Trump, Great Again. How to Fix Our Crippled America, Threshold Editions, New York, 2015, p. 132.

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