Non sembri strano ma il nostro è un tempo di pochi credi e molte credenze. Le fedi storiche, da quelle religiose, specie nella loro versione più tradizionale, a quelle laiche: la fede nel progresso, la fede nella grande famiglia umana, la fede nella scienza, hanno il respiro corto e aggregano devoti distratti e frastornati; per contro, le credenze che nascono continuamente dal nulla o dal web godono di ottima presa, suscitano furenti passioni e fanno opinione pubblica.
Trionfa un sentimento diffuso di rabbia e di invidia sociale che si nutre certamente di speranze frustrate e delusioni cocenti ma che ha in sé qualcosa di più profondo, una sorta di nichilismo sociale dilagante.
Sarebbe un errore, ripeto, sottovalutare le cause economiche di questo fenomeno: se la tenuta sociale viene significativamente prostrata da anni di crisi, di perdita di posti di lavoro, di assottigliamento dei livelli salariali, di iniqua redistribuzione delle garanzie sociali, non si può che avere un esito siffatto.
Ma fermarsi a questa spiegazione è riduttivo. Occorre chiamare in causa almeno altri due fenomeni: la crisi delle comunità e la caduta di prospettiva storica.
Il sentire comunitario vive sicuramente una fase di riflusso e al tempo stesso, quasi per nemesi, di rigurgito. Il riflusso non è più, ovviamente, quello identificato ben oltre un secolo fa da Ferdinand Tönnies nella transizione dalla gemeinshaft (comunità) verso la gesellschaft, ovvero verso la società, strutturata su vincoli di appartenenza formale e negoziale, ma pare provocato piuttosto dal combinarsi di due fenomeni molto diversi: il definitivo rarefarsi della disponibilità degli individui ad assoggettarsi ai vincoli di uniformità comunitaria in forza di un diritto all’autodeterminazione, per un verso, e per l’altro l’ampliamento del baricentro culturale e religioso delle nostre moderne società. Le comunità vengono in questo modo scosse da fenomeni endogeni e da cause esterne. Rimane nondimeno il bisogno di sicurezza e di elettività che solo un tessuto comunitario coeso può garantire al singolo individuo, e questa esigenza si afferma soprattutto nella forma di una reazione a pericoli ipotetici e a nemici esterni identificati in maniera apodittica e autoassolutoria.
Si assiste così al sorgere quasi puntiforme di micro comunità reattive, ovvero generate esclusivamente dalla contrapposizione ad un «nemico pubblico» evocato ma prive, per altri versi, di una comune matrice ideologica e di un profondo radicamento ideale.
I moderni movimenti anti-sistema, che vanno concettualmente distinti – ma non avulsi – dai populismi, rispondono sovente a questa dinamica e si nutrono di credenze più che di credi veri e propri. Certo, si potrebbe obiettare che in fondo anche i «credi» sono credenze che hanno avuto successo; ma al tempo stesso occorre riconoscere che quel successo non è del tutto casuale; esso nasceva da tradizioni che avevano dato qualche solida prova del loro fondamento.
La caduta di prospettiva storica vuol dire invece la quasi totale assenza di coordinate storico-culturali che orientino l’agire politico delle comunità così come anche l’agire individuale. Accade cioè che con sempre maggiore e disincantata refrattarietà ci si emancipi, quasi inconsapevolmente, dal tematizzare i processi storici che giustificano il reale e le mete future che si vogliono perseguire. Tutto è schiacciato sul presente e su strategie di corto respiro.
Anche la crisi del progetto europeo è senz’altro figlia di questa incapacità di vedere oltre… e della indisponibilità a proiezioni di lungo termine, perché faticose e non immediatamente remunerative.
In un quadro siffatto, personaggi come il nuovo presidente USA Donald Trump, affermano la loro leadership sulla tolda di un bastimento il cui equipaggio è sfiduciato e incline a credere a qualunque cosa, tanto più se improbabile e se a proporla non è il solito capitano coraggioso, magari animato da buone intenzioni ma comunque incapace di invertire radicalmente la rotta, bensì un armatore con parossistiche capacita predittive in grado di promettere il dominio sui mostri marini. Che in molti consideravamo, ahimè, scomparsi.
DAVIDE ROMANO – Direttore della rivista Coscienza e Libertà.