Liviu Olteanu: Mi piacerebbe iniziare questa intervista chiedendole di parlare del suo mandato presso le Nazioni Unite, in particolare del suo ruolo di “relatrice speciale” e, per i nostri lettori, di dirci qualcosa sulle questioni relative alle minoranze.

Rita Izsák: Innanzitutto è un vero e proprio privilegio ricoprire la carica di relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle questioni relative alle minoranze. Sono la seconda persona a occupare questa posizione, creata nel 2005. Sono una degli oltre 50 titolari incaricati dal Consiglio per i diritti umani e il mio compito consiste nell’affrontare le questioni delle minoranze e le preoccupazioni relative ai diritti dell’uomo che colpiscono queste minoranze a livello mondiale. Per certi versi, lotto per i diritti delle minoranze nel mondo intero all’interno del sistema dell’Onu. Spesso mi viene chiesto chi sono esattamente le minoranze.

Per prima cosa, il mio lavoro è basato sulla Dichiarazione delle Nazioni Unite dei diritti delle persone appartenenti a minoranze religiose e linguistiche, nazionali o etniche; questo significa che esamino i problemi che devono affrontare queste quattro categorie di persone. Infatti, le questioni riguardanti le donne, le persone con degli handicap, l’orientamento sessuale e i gruppi politici non rientrano nel contesto del mio mandato. In quanto relatrice speciale, dispongo di alcuni strumenti e azioni che mi permettono di svolgere al meglio il mio lavoro. Alcuni implicano un coinvolgimento diretto con alcuni paesi specifici per far fronte alle sfide che i gruppi di minoranza devono affrontare. Basandomi sulle informazioni che ricevo, posso scrivere a tutti i paesi per sollevare delle preoccupazioni e chiedere al governo di darmi una risposta ufficiale. Uno dei mezzi più importanti a mia disposizione è la prerogativa di effettuare delle visite ufficiali nei paesi, cosa che mi permette di rendermi conto da sola della situazione e di parlarne a tutte le parti interessate, comprese le comunità minoritarie e i loro rappresentanti. Purtroppo, devo ricevere un invito da parte del governo e gli Stati non sono sempre pronti ad accogliermi a braccia aperte. Tuttavia, quando questo avviene, può diventare un’occasione molto costruttiva perché ho la possibilità di redigere un rapporto e di proporre delle raccomandazioni sul modo in cui ogni governo potrebbe migliorare la maniera in cui vengono trattate le minoranze e le questioni relative a esse.

Un altro aspetto importante del mio lavoro è quello di formulare delle raccomandazioni generali che potrebbero essere applicate in tutti gli Stati, per esempio come migliorare la partecipazione delle minoranze in tutti gli aspetti della vita e come far sì che le minoranze beneficino dello sviluppo, degli orientamenti politici e dei programmi nazionali. Una delle mie responsabilità è di avere il privilegio di condurre i lavori del Forum delle Nazioni Unite sulle questioni delle minoranze: una piattaforma di dialoghi e di discussioni dove tutti gli anni, nel mese di novembre, a Ginevra, partecipano all’incirca 500 persone.

L.O.: Ha, immagino, la possibilità di visitare diversi paesi del mondo in relazione ai vari settori relativi alle questioni delle minoranze. A quali conclusioni è arrivata in rapporto ai problemi mondiali delle minoranze?

R.I.: Purtroppo devo segnalare che in tutti i paesi del mondo, le minoranze continuano a dover affrontare quotidianamente discriminazioni, esclusioni sociali, emarginazioni e, in alcuni casi, perfino minacce e violenza. Certo, ci sono situazioni peggiori di altre e sono particolarmente preoccupata quando le minoranze devono affrontare persecuzioni, soprusi e atrocità di massa e diventano un bersaglio di violenza a causa della loro identità.

Tuttavia i problemi delle minoranze sono frequenti anche in altri settori, anche se queste non devono confrontarsi con la violenza. Io e il mio predecessore abbiamo effettuato delle visite ufficiali in più di 16 paesi del mondo, osservando alcune tendenze relative alla situazione delle minoranze che esistono in quasi tutti i paesi. Per esempio si può constatare una mancanza di partecipazione delle minoranze alla vita politica a tutti i livelli; inoltre, le minoranze sono anche scarsamente rappresentate negli organi decisionali. Questo significa che i loro problemi e le loro preoccupazioni o non vengono mai presi completamente in considerazione o sono del tutto ignorati. In tal caso si potrebbe causare un impatto su numerosi altri diritti e sul pieno esercizio dei propri diritti e delle possibilità per le persone che fanno parte delle minoranze: per esempio nel settore dello sviluppo, dell’educazione o delle questioni sociali e culturali. Riscontriamo spesso che i membri delle minoranze sono esclusi o sono vittime di discriminazione in caso di ricerca del lavoro o in altre sfere della vita economica. Quando persone di origine africana, rom o minoranze religiose cercano un lavoro nei paesi europei, per esempio, devono sempre far fronte alla discriminazione; le loro richieste vengono rifiutate a causa del colore della pelle, della religione, del nome o del domicilio. Le minoranze sono spesso costituite dalle persone più povere dei paesi più poveri e quando vivono nei pasi più ricchi del mondo, tendono ad abitare nei quartieri meno abbienti, con un reddito modesto e con un accesso ridotto ai servizi, all’acqua, alle strutture sanitarie e alle cure mediche.

Le minoranze devono affrontare così tante sfide nel mondo che è impossibile elencarle. Tuttavia credo fermamente che quando i paesi promuovono i diritti delle minoranze, la situazione può migliorare. Così percepiscono l’inizio di un cambiamento in materia di non-discriminazione e di uguaglianza.

L.O.: Una parte importante delle minoranze è rappresentata da quelle religiose. Cosa pensa di queste minoranze e quali sono secondo lei le conquiste importanti o i bisogni delle minoranze religiose su scala internazionale?

R.I.: Devo dire che sono molto preoccupata dalla situazione delle minoranze religiose nel mondo, cosa che mi ha portato a concentrarmi maggiormente sui loro problemi. Recentemente ho fatto un lavoro in quanto relatrice speciale dell’Onu insieme con alcuni miei colleghi come Heiner Bielefeldt, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione e di credo. Ricevo più informazioni relative a gravi violazioni dei diritti delle minoranze religiose rispetto a tutte le altre categorie. Sono spesso sconvolta nel vedere la brutalità degli attacchi e la violenza utilizzata contro persone e gruppi a causa della loro fede o del loro credo. Senza parlare delle violazioni dei loro diritti che si estendono in tutti i settori: civile e politico, economico, sociale e culturale.

È la ragione per cui nel 2013 ho deciso che il Forum delle Nazioni Unite sulle questioni delle minoranze avrebbe dovuto mettere l’accento sulla protezione e la promozione dei diritti delle minoranze religiose. Tuttavia, nonostante la maggiore attenzione rivolta alle minoranze religiose da parte della comunità internazionale e dall’Onu, è importante continuare su questa strada e compiere ulteriori progressi per proteggere le minoranze religiose, anche sfidando gli Stati a fare ancora meglio.

L.O.: Lei crede che all’Onu, al Consiglio d’Europa, all’Unione europea e all’Osce oggi si parli di più di libertà religiosa e delle minoranze religiose perché si tratta di un tema politicamente delicato?

R.I.: Spero davvero che queste importanti istituzioni parlino sempre più di minoranze religiose e delle questioni legate alla libertà religiosa. È proprio quando queste questioni vengono discusse apertamente e francamente su tutti i livelli che si rilevano i problemi, che possono quindi venire affrontati. Non possiamo evitare le situazioni col pretesto che sono delicate. Proprio per questo dobbiamo impegnarci a rispondere e sono contenta di vedere l’attenzione particolare accordata a queste minoranze religiose. Questo dialogo è molto importante, così com’è importante che gli organismi influenti come l’Organizzazione delle Nazioni Unite creino degli spazi per discussioni su questi temi, e, in caso, che raccolgano la sfida e facciano di tutto affinché gli Stati rispettino i diritti umani e gli altri impegni. Penso che i dibattiti importanti e sensibili sulle questioni come la diffamazione della religione e il discorso dell’odio abbiano avuto come risultato una migliore comprensione delle sfide e delle sensibilità e abbiano contribuito a farci proseguire correttamente per trattare le minoranze nella maniera più appropriata. […] Lei ha menzionato alcuni organismi europei ma vorrei anche che le questioni delle minoranze, comprese quelle religiose, fossero trattate in maniera più diretta in altre parti del mondo, specialmente dalle organizzazioni regionali in Africa, in Asia e altrove.

L.O.: Secondo lei quale ruolo possono avere le minoranze religiose in funzione della pace e della sicurezza nel mondo?

R.I.: Penso che i capi religiosi debbano svolgere un ruolo essenziale per cercare di assicurare la pace e la sicurezza, prima di tutto e soprattutto nelle loro società, ma anche su scala internazionale e mondiale. Vorrei vedere i dirigenti prendere più spesso posizione contro l’odio religioso e l’incitazione alla violenza. Il loro impatto può essere notevole e dovrebbero usarlo per smorzare le tensioni e aiutare a costruire ponti di tolleranza, comprensione e rispetto reciproco. Le minoranze religiose, per la loro stessa natura, hanno la tendenza a essere meno importanti sia a livello numerico che sociale; e politicamente non sono dominanti. Capita quindi spesso che i responsabili delle religioni maggioritarie prendano il sopravvento. Tuttavia penso che tutte le religioni, di maggioranza o di minoranza, abbiano alla base un messaggio di amore, di pace, di perdono e di armonia ed è per questo che tutte le religioni hanno un ruolo da svolgere nella diffusione di questi messaggi, non soltanto nei confronti delle loro congregazioni e dei loro membri ma anche nei confronti della società nel suo insieme. La religione deve e può essere una forza per il bene su scala nazionale e internazionale ma in troppi casi costituisce una causa di divisione. Sono stata profondamente impressionata da alcune iniziative interreligiose a cui ho assistito. Per esempio in Nigeria, dove mi sono recata di recente, i dirigenti musulmani e cristiani lavorano insieme per risolvere i problemi e promuovere la pace e la comprensione. A volte sono delle iniziative strettamente locali ma sono un esempio per tutti noi e bisogna rallegrarsene, sostenerle e svilupparle. Vorrei vedere gli stessi messaggi veicolati a livello internazionale perché credo davvero che riuscirebbero a essere uno strumento per la pace e per la sicurezza il tutto il mondo.

L.O.: Quali sono le tendenze locali e mondiali per quanto riguarda le minoranze religiose?

R.I.: E’ una domanda difficile a cui rispondere. Alcuni organismi di ricerca, come il Pew Research Center, fanno un lavoro eccellente per valutare le tendenze che ci aiuteranno a capire meglio a cosa prestare maggiore attenzione. Hanno condotto degli studi che rivelano, per esempio, che i membri dei gruppi religiosi sono le vittime di molestie in più dell’80% dei paesi del mondo. Sentiamo spesso parlare di islamofobia nei paesi occidentali e non-islamici ma anche di cristianofobia in quelli islamici, in particolare durante questa epoca «post 11 settembre» e nel contesto della «guerra contro il terrorismo». Spero che usciremo da questo periodo di sfiducia e di crescenti tensioni tra le religioni per raggiungere una nuova era di comprensione e di dialogo. Ma c’è ancora tanto da fare per instaurare la fiducia e le condizioni di dialogo e di comprensione. In alcuni paesi, i sentimenti contro le minoranze e le ideologie di estrema destra stanno guadagnando terreno, creando un ambiente ostile per le minoranze religiose.

Non dobbiamo dimenticarci che in alcune parti del mondo, le minoranze sono state vittime di violenza e di ricorrenti atrocità, una tendenza preoccupante che sembra essere in aumento in alcuni paesi come il Pakistan, l’Iraq, la Repubblica Centrafricana e la Nigeria.

Un’altra tendenza che mi preoccupa è la discriminazione contro la fede «non tradizionale» o i gruppi di credenti come i testimoni di Geova, i bahai, i pentecostali e molti altri. In alcuni paesi, la libertà religiosa è accordata solamente ad alcuni gruppi religiosi ortodossi o tradizionali ma non ad altri, considerati come illegittimi o etichettati come «sette».

Il diritto internazionale esige che tutti i gruppi religiosi siano trattati allo stesso modo. Ma nella pratica, gli atteggiamenti discriminatori contro coloro che hanno convinzioni differenti, non riconosciute ufficialmente dallo Stato, continuano.

L.O.: La «maggioranza» contro la «minoranza» e il «principio di democrazia» contro «il principio di non discriminazione»: tenendo conto della sua posizione in quanto esperta indipendente, crede che si possano appianare questi conflitti? R.I.: Innanzitutto vorrei dire che non vedo nessuna opposizione tra il principio della democrazia e quello della non discriminazione. In effetti, i due si armonizzano bene insieme e una democrazia sana e funzionale nella quale tutti i cittadini possono far sentire la propria voce contribuisce, nella maggior parte dei casi, a garantire un ambiente di non discriminazione. Ovviamente ci sono delle sfide e a volte le scelte democratiche del popolo ci stupiscono, come per esempio quando danno l’appoggio ai gruppi di estrema destra.

Ma laddove i diritti umani e il primato del diritto sono protetti, laddove non si accettano discorsi pieni di odio, la democrazia è generalmente una solida base per la non discriminazione e il diritto delle minoranze. Tuttavia, non dovremmo mai essere compiaciuti. I problemi e la discriminazione esistono, perfino nelle democrazie più avanzate, e devono essere contrastati. Questo dimostra che in tutti i paesi dobbiamo sempre «sorvegliare la salute» della nostra democrazia e della nostra società e identificare i problemi non appena insorgono.

Dobbiamo quindi continuamente sforzarci di vegliare affinché tutti all’interno delle nostre società siano appropriatamente rappresentati e abbiano la possibilità di esprimersi liberamente.

L.O.: Lei pensa che i problemi odierni legati alla «libertà religiosa» e alle «minoranze religiose» siano più una questione «di equilibro» oppure occorre assumerle come una vera «sfida»?

R.I.: Ci sono senza dubbio numerose sfide relative ai diritti delle minoranze religiose che bisognerà affrontare per garantire la libertà religiosa e di credo. E’ importante che tutte le parti interessate, gli Stati, i dirigenti politici, i capi religiosi e forse in primo luogo la gente comune, continuino a sforzarsi per raggiungere l’armonia o «l’equilibrio», come diceva lei. E’ un obiettivo raggiungibile. E quando questo equilibrio sarà raggiunto, persone di confessioni diverse vivranno fianco a fianco, rispettando le fedi altrui, dando valore alle feste e ai giorni festivi dell’altro, imparando e rispettando le cose che hanno in comune invece di concentrarsi sulle differenze che li dividono. Sono ottimista perché lo vedo realizzarsi in varie parti del mondo, quindi so che non solo è possibile raggiungere questo obiettivo, ma lo   si può anche mantenere! Tuttavia, bisogna incoraggiare e sviluppare nel corso del tempo il raggiungimento di questo scopo, anche perché ci sono sempre quelli che vogliono frenare l’azione.

Se vogliamo avvicinarci all’equilibro e all’armonia, è indispensabile che le voci moderate e i messaggi di pace e di rispetto controbilancino la rabbia e l’odio. Anche l’educazione ha una grande importanza per raggiungere questo scopo e i nostri sistemi di educazione devono essere pensati per fare in modo che i messaggi ricevuti dai giovani siano i messaggi positivi contenuti nella maggior parte se non in tutte le religioni: l’amore, l’ospitalità e il rispetto di coloro che sono diversi o che hanno delle credenze diverse. Nessun bambino è nato odiando qualcun altro, gli è stato insegnato a odiare.

L.O.: Tutti hanno bisogno di avere un giorno di riposo alla settimana, un giorno non lavorativo, del tempo riservato alla famiglia, agli amici, alla religione, allo sport o alla solidarietà. Nel gennaio del 2014, il Parlamento europeo ha ospitato a Bruxelles un dibattito interessante: la seconda conferenza organizzata da «The European Sunday Alliance» (L’alleanza europea per la domenica), co-patrocinata da alcuni membri del Parlamento europeo (Mpe), in merito alla proposta di «libera la domenica» per l’Europa.

La proposta è stata motivo di preoccupazione per alcune minoranze religiose come i musulmani, gli ebrei e gli avventisti del settimo giorno, ovvero milioni di persone in Europa, che osservano il venerdì (i musulmani) o il sabato (gli ebrei e gli avventisti) come giorno di riposo. In questa occasione è stato proposto «un impegno in vista delle elezioni europee 2014 per una domenica libera dal lavoro e per un lavoro decente», firmato da diversi deputati europei.

In questo impegno si legge: «In quanto membro attuale o futuro del Parlamento europeo, mi impegno ad assicurarmi che tutte le normative comunitarie pertinenti rispettino e al tempo stesso favoriscano la protezione di un giorno di riposo settimanale comune a tutti i cittadini dell’Unione europea, che sarà in linea di massima la domenica, con lo scopo di proteggere la salute dei lavoratori e promuovere un maggiore equilibrio tra la famiglia, la vita privata e il lavoro».

Per quanto riguarda questa iniziativa del Parlamento europeo, l’eurodeputato Hannu Takkula sottolinea: «Sosteniamo il principio di conservare l’opportunità di un giorno di riposo settimanale perché tutti hanno bisogno di una vera e propria pausa dopo la settimana lavorativa. Inoltre, coloro che rispettano la domenica hanno tutto il diritto di riposarsi e di avere il culto in quel giorno, se lo ritengono adeguato. La legislazione non deve mai discriminare le persone per motivi religiosi. Votare una legge in favore della domenica come giorno di riposo universale (giornata non lavorativa) equivale a procedere nella direzione di queste discriminazioni».

Ha anche evidenziato che «la libertà religiosa e di culto è un fondamentale valore europeo. Questo principio deve essere promosso e tenuto in seria considerazione in tutte le discussioni in merito al ruolo di un giorno di riposo settimanale. L’Unione europea deve garantire a tutti gli stessi diritti, ovvero la libertà di celebrare il giorno di riposo seguendo il proprio credo».

In quanto esperta indipendente delle Nazioni Unite, lei è d’accordo con il deputato Takkula sul fatto che una legislazione dell’Unione europea per una «domenica come giorno di riposo» possa influenzare e discriminare le minoranze religiose? Come evitare questo tipo di discriminazione e cosa raccomanderebbe di fare?

R.I.: Permettetemi di rispondere dicendo che mi sembra legittimo che un paese o una zona del mondo con una fede «maggioritaria» e una tradizione di lunga data rifletta i principi fondamentali di questa fede nella società. Per i paesi la cui storia è in prevalenza cristiana, la domenica è largamente riconosciuta come il tradizionale giorno di culto e di riposo, e penso che sia normale che queste società mantengano queste tradizioni.

Questo vale anche per i paesi a larga maggioranza musulmana, induista, buddista o cattolica. Qui non si tratta di discriminazione. La difficoltà consiste nel gestire delle società multireligiose nelle quali coesistono insieme diverse religioni minoritarie che hanno un giorno di culto e di riposo diverso rispetto a quello della tradizione di maggioranza.

Si tratta quindi di trovare una soluzione che permetta al tempo stesso di riconoscere e di proteggere i diritti di coloro che appartengono a diverse confessioni religiose, per permettere anche a loro di praticare e di godere/beneficiare pienamente della propria religione.

Prendiamo l’esempio di una comunità musulmana stabilitasi in un paese prevalentemente cristiano, più precisamente in una data area o località, dove rappresenta una percentuale elevata di popolazione: alcuni Stati sono riusciti ad adattarsi concedendo diversi gradi di autonomia culturale, sociale e a volte perfino politica a questa zona, permettendo alla minoranza religiosa di esercitare un controllo maggiore sui propri affari.

Questo può portare a differenze locali, in particolare riguardanti i giorni religiosi o di riposo. Nel caso di una minoranza religiosa maggiormente diffusa nella società, bisogna trovare altre soluzioni, come per esempio permettere ai musulmani di prendere come giorno di permesso il venerdì invece della domenica e risolvere i problemi in materia di educazione per le minoranze religiose.

Nelle società sempre più diversificate, le soluzioni devono essere flessibili per poter garantire tutti i diritti. Al contempo però non bisogna aspettarsi dalle società e dai governi che cambino le fondamentali tradizioni sociali e storiche della loro società. Questo porterebbe inevitabilmente ad alcune tensioni.

Quello che bisogna fare, è consultare le comunità religiose, comprenderne i bisogni, le preoccupazioni e rispondervi per quanto possibile, con lo scopo di assicurare alle minoranze di poter fruire a pieno dei propri diritti.

L.O.: Sappiamo che il Consiglio d’Europa è un pioniere dei diritti umani. Ma all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa organizzata a Strasburgo dal 7 all’11 aprile 2014, il relatore francese Rudy Salles ha presentato, a nome della «Commissione delle questioni giuridiche e dei diritti dell’uomo», una risoluzione e una raccomandazione sulla «protezione dei minori contro gli eccessi delle sette». Varie chiese europee, minoranze religiose e alcune Ong hanno rifiutato questa proposta sulle «sette», facendo nascere degli accesi dibattiti in merito al significato delle parole: «sette» ed «eccesso». Durante questa assemblea parlamentare, si è notata una forte opposizione da parte di due gruppi: da un lato, il relatore francese e i deputati francesi; dall’altro gli altri deputati parlamentari. I deputati europei rappresentanti della Norvegia, del Regno Unito, della Moldavia e dell’Ucraina, hanno insistito sulla necessità di definire il termine: «setta». Hanno suggerito di cambiare il termine «sette» con «minoranze», termine già in uso all’Onu. Il relatore ha rifiutato la loro proposta, respingendo l’espressione «minoranze» utilizzate dall’Onu. La soluzione dell’Assemblea parlamentare contro gli «eccessi delle sette» alla fine è stata votata con qualche piccola modifica, ma la raccomandazione è stata respinta. Cosa ne pensa? Si tratta di una nuova tendenza a livello del Consiglio d’Europa riguardante la libertà religiosa e le minoranze religiose? Come riuscire a coordinare le iniziative dell’Onu con quelle del Consiglio d’Europa o del Parlamento europeo, dell’Osce, evitando le discriminazioni contro i gruppi religiosi e le minoranze religiose?

R.I.: In quanto governi e società possiamo non essere d’accordo con la fede di alcune persone ma dobbiamo rispettare il loro diritto di professare e praticare liberamente il loro credo. Sono preoccupata dall’uso eccessivo del termine «setta» e della sua applicazione a determinati gruppi a causa della loro fede e convinzione; questi gruppi esistono da lunga data, hanno migliaia di membri e le proprie credenze e attività collegate sono a tutti gli effetti legittime. Penso che dovremmo procedere con cautela nell’utilizzare questa parola che ha sovente una connotazione estremamente negativa in quanto associata alla manipolazione degli indivi- dui, agli eccessi, al lavaggio del cervello e ad altri atti criminali.

Alcuni utilizzano questo termine per denigrare la fede o il credo, ancora una volta «legittimi», di alcuni gruppi che non approvano, con cui non vanno d’accordo o con cui non sono in confidenza.

E’ importante ricordarsi che tutti noi abbiamo il diritto fondamentale e la libertà di credere in ciò che vogliamo e di seguire la fede di nostra scelta. I governi hanno la responsabilità di proteggere le persone contro gli atti criminali ed è vero che alcuni gruppi e alcune persone hanno approfittato di persone vulnerabili commettendo crimini per i quali dovrebbero essere perseguiti. Ma quei gruppi che «funzionano», che esercitano la loro fede o che seguono le loro convinzioni conformemente alla legge, non dovrebbero subire le stesse restrizioni, molestie o divieti. Tuttavia, questi gruppi minoritari segnalano spesso dei problemi nell’applicazione della propria libertà religiosa.

L.O.: In generale, che ruolo pensa che dovrebbero avere la società civile, le Ong, in materia di difesa dei diritti umani, di libertà religiosa e di minoranze religiose? Quali sono le sue reazioni sulle iniziative, i progetti e l’attività dell’Associazione Internazionale per la Difesa della Libertà Religiosa (AIDLR) in favore dei diritti umani e della libertà religiosa per tutti, specialmente dopo aver partecipato alla Conferenza internazionale di Madrid? E cosa ne pensa alla luce della sua iniziativa a livello regionale, nazionale e internazionale? Quale messaggio vorrebbe lasciare ai lettori della rivista Coscienza e Libertà?

R.I.: Penso che il ruolo della società civile e dei difensori dei diritti umani sia estremamente importante nella tutela di tutti i diritti umani e dei diritti delle minoranze religiose. Ho un grande rispetto per le centinaia di organizzazioni e per le persone che a volte mettono la loro vita in pericolo per proteggere i diritti umani e prendere posizione contro l’oppressione e la violenza. Non vengono debitamente riconosciuti né sostenuti ed esorto i governi affinché li proteggano e si impegnino con loro per aiutarli a portare a termine questo lavoro essenziale. Mi preoccupa sapere che molti debbano affrontare un ambiente stressante, minacce in ambito lavorativo, sempre a discapito della loro sicurezza; e a volte tutto questo avviene anche da parte dei propri rispettivi governi.

Senza il lavoro e le informazioni che ricevo quotidianamente dalla società civile e dalle Ong, l’Onu non potrebbe garantire la sua responsabilità che è quella di proteggere i diritti umani; noi relatori speciali, non potremmo svolgere il nostro compito che è essenzialmente basato sul loro. A livello internazionale, nelle conferenze delle Nazioni Unite, per esempio, abbiamo solamente una panoramica dell’azione delle Ong, vediamo soltanto la punta dell’iceberg. Il risultato principale si svolge a livello nazionale e locale, dove collaborano spesso con le comunità e avviano dei progetti e dei programmi creativi, spesso con pochi finanziamenti o addirittura senza nessun tipo di aiuto. Vi faccio un piccolo esempio di ciò che succede nel mondo. Sono stata recentemente in Nigeria, nelle regioni che hanno subito violenza comunitaria. Ma lì ho trovato delle iniziative che puntano a ricostruire la pace mediante alleanze tra i capi cristiani e quelli musulmani e attraverso l’utilizzo di strumenti come il dialogo interreligioso e la mediazione nei conflitti comunitari. A Jos, l’iniziativa Women Without Walls è stata fondata da dirigenti cristiane e musulmane che lavorano a progetti comunitari rivolti alle donne e ai giovani. Una «educazione per il progetto della pace» è assicurata unicamente da una giovane donna del Bauchi che lavora con centinaia di bambini e che insegna loro i valori di comprensione, fiducia e accettazione reciproca al di là delle differenze etniche e religiose.

Il mio messaggio per loro e per tutte le altre persone che partecipano a questo lavoro, compresa l’Associazione Internazionale per la Difesa della Libertà Religiosa, è il seguente: «Vi incoraggio a continuare il vostro lavoro perché il vostro messaggio e il vostro esempio sono di ispirazione per tutti».

Grazie.

 

RITA IZSÁK – Relatore speciale per le Minoranze religiose presso l’Onu.

LIVIU OLTEANU – Segretario generale associazione AIDLR.

Info sull'autore

aidlr